IL CINEMA DEI GIUSTI - “TIR”, IL VINCITORE DEL FESTIVAL DI ROMA, ARRIVA NELLE SALE: DOPO LE POLEMICHE, ORA SI POTRÀ GIUDICARE SUL SERIO


Marco Giusti per Dagospia

"Tir" di Alberto Fasulo

Ci siamo. Polemica! Polemica! Ricordate il gran finale del Festival di Roma 2013 con Paolo Mereghetti, e molti altri critici scatenati per i vincitori, soprattutto per il primo premio, il Marc'Aurelio d'oro a "Tir" di Alberto Fasulo, e per quello della Migliore Attrice Protagonista a Scarlett Johansson in "Her" di Spike Jonze nel ruolo/non ruolo della voce del cellulare? Allora Mereghetti parlò di "un verdetto da follia collettiva contro il cinema". E si chiese: "perché la giuria presieduta da James Gray abbia scelto questo film per il massimo riconoscimento resterà un mistero, aperto alle più deliranti teorie dietrologiche".

Ricordiamo anche, però, che proprio James Gray, il presidente della giuria, dichiarò agli altri giurati che il solo film che aveva amato era "Tir", l'opera prima del nostro Alberto Fasulo. Ora che "Tir" esce nelle nostre sale ce ne potremo fare un'opinione anche noi. La verità, mi sembrò, allora, che tra i film italiani "Tir" dell'esordiente Alberto Fasulo, serissimo documentarista trentasettenne friulano che si era fatto dieci anni di esperienza a Roma come fonico, aiuto regista, operatore e qualsiasi altra cosa possibile, seguendo anche produzioni televisive importanti come "Avere vent'anni", aveva soprattutto le grandi qualità da film da festival internazionale.

Era/è cioè, un po' come "Salvo" di Grassadonia, un film immediatamente riconoscibile da un pubblico non italiano come un film d'autore, pronto per Cannes, Venezia e qualsiasi altro festival. Non solo. E' anche un film di grande serietà e concentrazione sulla realtà non solo italiana, ma europea, di tanti lavoratori che preferiscono guidare notte e giorno sulle autostrade tra Italia, Spagna, Germania, Austria, spesso sfruttati da padroni e padroncini, lontani dalle loro famiglie e costretti a una vita solitaria o coatta, piuttosto che guadagnare un terzo insegnando nel proprio paese.

Non a caso è infatti nato come documentario, e per questo vinse il Premio Solinas nel 2010, ma è poi stato poi trasformato in una sorta di documentario con attori, quindi una fiction, con l'attore slavo Branko Zavrsan, bravissimo, anche cosceneggiatore, nel ruolo del protagonista. Anche se la visione da documentario d'arte rimane, la presenza di un attore come Branko Zavrsan, già protagonista di "No Man's Land" rendeva il tutto una cosa diversa.

Ma sia Fasulo che il suo attore hanno cercato il più possibile di ricostruire alla perfezione, nella cabina del tir e nella sua vita di tutti i giorni sulla strada la realtà del camionista che passa di paese in paese per lavoro. "'Più che fare un racconto sociologico", spiegò allora Fasulo, "mi interessava entrare sotto la pelle del mio personaggio e riprenderlo in un momento di crisi personale, in cui si vedesse obbligato a compiere una scelta non solo pratica, ma anche etica ed esistenziale".

Quel che viene fuori è un racconto commovente, a noi sconosciuto, della realtà di un'Europa attraversata e vissuta da centinaia di persone in movimento alla ricerca di una tranquillità economica che non riescono a vivere a casa propria nella grande crisi di questi anni. Cinema rosselliniano, insomma, e non vedo perché la cosa abbia disturbato Mereghetti. Inoltre il film è stato girato con un budget ridicolo, 350 mila euro, dopo anni di lavoro preparatorio, da ragazzi che ci hanno davvero creduto, con Fasulo che ha fatto quasi tutti i ruoli sul set.

Magari era più approfondito e accattivante, come studio sui camionisti, il documentario che Michele Santoro e la sua redazione realizzarono qualche anno fa per la Rai, ma "Tir" non è certo un semplice documentario "con attori", cioè un ibrido, ma un vero film con una sua forza visiva e una reale struttura anche se per entrarci dentro devi fare un certo sforzo e per molti può sembrare troppo poco narrativo. Inoltre il suo protagonista, Branko Zavrsan, obbligato come il Tom Hardy di "Locke" a stare sempre chiuso in cabina a parlare al telefono, è favoloso, una specie di Kris Kristofferson in "Convoy".

Il film, che batte bandiera friulana con tutte le sue film commission e i piccoli sponsor, a cominciare dai valichi internazionali, mostra una strada internazionale per il nostro cinema da festival, infatti uscirà presto in Francia e in altri paesi, una strada insomma un po' meno provinciale di certe commedie d'autore. E tale è l'intensità e la concentrazione dei suoi autori che merita tutto il nostro rispetto e la nostra attenzione. In sala dal 27 febbraio.

 

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