“'ARRAPAHO'? OGGI CI ARRESTEREBBERO PER OSCENITÀ MENTALE. IL POLITICAMENTE CORRETTO ANNULLA LA LIBERTÀ D'ESPRESSIONE” – CIRO IPPOLITO RACCONTA LA GENESI DEL SUO FILM-CULT GIRATO CON GLI SQUALLOR, CHE VERRÀ PROIETTATO LA NOTTE DEL 31 AL MODERNISSIMO DI BOLOGNA: “ALL’INIZIO NESSUNO LO VOLEVA. BUSSAI ALLA TITANUS DI GOFFREDO LOMBARDO, CHE MI CACCIÒ. DISSE: SIETE PAZZI, QUESTA È UN'ENORME CAZZATA. ALLORA HO DECISO DI FARE DA ME” – “GLI ATTORI? LI HO CERCATI CANI. AI PROVINI SCARTAVO QUELLI BRAVI, COSTAVANO E NON MI FACEVANO RIDERE…” - VIDEO
trailer di arrapaho
Estratto dell’articolo di Massimo Cutò per “il Secolo XIX”
L' annuario Morandini l'ha definito il più brutto film della storia. Sono orgoglioso del primato: spero che resti imbattuto per sempre». Distante un'era geologica dal 1984 quando uscì, "Arrapaho" è ancora una pietra miliare. Di che cosa non lo sa neppure il suo creatore Ciro Ippolito, 75 anni da gagà napoletano, foulard al collo, capelli bianchi con l'onda naturale.
Cane sciolto. Autore del soggetto, sceneggiatore, attore, produttore e distributore di un fenomeno comico insperato e insuperato della cinematografia nazionale. Verrà proiettato la notte del 31 al Modernissimo di Bologna, a cura della Cineteca che riporta nelle sale la pellicola restaurata: duecento copie stampate per il 2026 dopo il sold out dell'anteprima estiva.
[...] Anziché indiani metropolitani, scendono in campo gli indiani partenopei Froceyenne e Cefaloni: tribù rivali perché la bella Scella Pezzata, promessa sposa a Cavallo Pazzo, è innamorata di Arrapaho. Poi ci sono Mazza Nera, Palla Pesante, Capo di Bomba, Linguamatic, Cornetto Solitario, Latte Macchiato, Luna Caprese. Guazzabuglio dadaista, concentrato di assurdità. Ed è subito trionfo, che prosegue in platea di padre in figlio.
[...] Davvero un film come "Arrapaho" sarebbe impresentabile oggi?
«Ci arresterebbero per oscenità mentale. In questo momento storico devi pesare ogni parola, altrimenti scattano l'indignazione, la suscettibilità, l'offesa al pudore. Figuriamoci se per ridere mostri una tribù di gay. Il politicamente corretto annulla la libertà d'espressione».
Libertà che vi siete presi a pacchi. Come nacque l'idea?
«Avevo visto "Il senso della vita" dei Monthy Pyton, mi conquistò il loro stile surreale. Cercavo un'ispirazione simile. Una sera mi ritrovai a cena alla Bersagliera, davanti a Castel dell'Ovo. Uscito dal ristorante ho attraversato via Caracciolo: quasi mi mette sotto una Cinquecento.
Dal tettuccio aperto spuntavano quattro ragazzotti, con i tamburi e una canzone sparata a palla dalle casse. Era "Arrapaho" degli Squallor. Restai folgorato. Il titolo del film era già pronto, un western con pellerossa napoletani e altre follie. Il bello è che quel popolo indiano esiste sul serio, però ha una erre in meno nel nome».
E poi?
«Chiamai immediatamente Alfredo Cerruti, leader del gruppo e genio degli sketch con Arbore a "Indietro tutta!". La mattina dopo ero a Milano: lui sarebbe stato la voce narrante. Totò Savio fece le musiche, Giancarlo Bigazzi l'Uomo sulla slitta, Daniele Pace il capo Palla Pesante. Erano parolieri e compositori di hit come "Gloria", "Si può dare di più", "Rose rosse", "Lisa dagli occhi blu", "Nessuno mi può giudicare", "Maledetta primavera". Non c'era niente di scritto, solo battute da caserma che venivano fuori chiacchierando».
Chi produsse il film?
«Nessuno lo voleva. Bussai alla Titanus di Goffredo Lombardo, che mi cacciò. Disse: siete pazzi, questa è un'enorme cazzata. Allora ho deciso di fare da me. Mio padre era impresario teatrale, io ho cominciato a lavorare nel cinema a sette anni, sono stato l'aiuto di Rossellini, ho fatto il cantante nei Brutos, ho partecipato a film di successo, sono stato autore e interprete delle sceneggiate di Mario Merola. Avevo dei soldi da parte e ho rischiato».
[...] Quanto costò "Arrapaho"?
«In vecchie lire 135 milioni. Girammo quindici giorni fra la Tiburtina e la Cassia: le tende issate nella Centrale del latte, cinque cavalli noleggiati da una scuderia in rovina, il totem».
Gli attori?
«Li ho cercati cani. Ai provini scartavo quelli bravi, costavano e non mi facevano ridere. Capo di Bomba era il figlio della direttrice di mensa agli studi De Paolis. Tinì Cansino aveva appena esordito in tivù a "Drive In", l'agente la spacciava per nipote di Rita Hayworth. La presi nel ruolo di Scella Pezzata, parlava mezzo greco e mezzo italiano: il suo nudo frontale non si dimentica. Arrapaho era il nero svizzero Urs Althaus, che poi sarebbe stato Aristoteles ne "L'allenatore nel pallone", altro film stracult. Gli spiegai che la storia era come Romeo e Giulietta, lui credeva di recitare Shakespeare».
L'accoglienza al film?
«Portai le uniche due copie in macchina il 14 agosto a Viareggio e il 15 a Ischia, estate dell'84. Il lancio pubblicitario su Radio Mare e comprando una pagina del Corriere dello Sport con gli ultimi soldi rimasti. La folla premeva fuori dai cinema».
E i critici?
«Fruttero e Lucentini stroncarono il film sfiorando l'insulto personale. Al contrario del pubblico, non avevano capito che era un capolavoro alla rovescia. Battute improvvisate, parodie di spot per allungare il brodo, riprese sgangherate, scene ripetute tre volte senza tagli: era tutto voluto. Nei titoli di coda il mio nome era preceduto dalla frase: disastrosamente diretto da».
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Il botteghino rispose?
«"Arrapaho" incassò cinque miliardi. Richiamò la Titanus, Lombardo staccò un assegno da un miliardo per il seguito. Risposi: commendatore, non ce l'abbiamo. Lo lasciai lì sulla scrivania. Ma la mattina dopo tornai di corsa e girammo "Uccelli d'Italia"». [...]
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