LA CRIMINALITÀ PRENDE FORMIA - L’UCCISIONE CON UN COLPO DI PISTOLA IN FACCIA DEL BLOGGER MARIO PICCOLINO È LA DIMOSTRAZIONE, SEMMAI SERVISSE, CHE LA CAMORRA DILAGA NEL LAZIO E CHE A COMBATTERE SUL WEB SI RISCHIA LA VITA

Francesca Paci per “la Stampa

 

omicidio di mario piccolino  3omicidio di mario piccolino 3

Quanti prima di piangerne la morte conoscevano l’impegno contro la camorra di Mario Piccolino, l’avvocato blogger freddato venerdì nel suo studio di Formia? Nella risposta negativa a una domanda retorica c’è la storia di questo signore 71enne che aveva accantonato la professione di legale per dedicarsi al sito Freevillage.it e denunciare l’illegalità dilagante nell’Agro Pontino ma c’è anche l’intima contraddittoria natura del mestiere-non-mestiere di blogger, un figura emersa all’inizio del terzo millennio come sintesi tra «citizen journalism» e richiesta di democrazia dal basso e trasformatasi in breve nella bestia nera di regimi, organizzazioni criminali, teocrazie, gruppi di potere di vario genere. 


POTENTI E INDIFESI
I blogger sono potenti quanto indifesi, perché approfittano dell’audience infinita del web ma scontano la solitudine della prima linea senza le spalle coperte da media o editori. I blogger sono voci libere quanto potenzialmente fuorvianti rumori di fondo, perché, come internet, si prestano alla solitaria coraggiosa denuncia ma anche al più conformista populismo o al veleno cospirativo della dietrologia. I blogger sono mordaci quanto effimeri, perché smascherano i propri bersagli con la pazienza di chi non lo fa per uno stipendio a fine mese ma sono spesso assai più noti ai diretti suscettibili interessati che al resto del distratto mondo. 

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Mario Piccolino era un blogger. Per quanto già avanti negli anni quando il fenomeno si è imposto come la rivincita della generazione Y, i Millennials orfani di ideali quanto di arene politiche, Piccolino ha trovato nella forma del diario online l’opportunità di denunciare le infiltrazioni malavitose nel suo territorio come nello stesso momento, a migliaia di chilometri di distanza, faceva la ragazzina pakistana e futuro premio Nobel per la Pace Malala Yousafzai rivendicando il diritto all’istruzione femminile contro il teo-oscurantismo dei talebani. 


Pochi conoscevano Piccolino quando nel 2009 era stato aggredito a colpi di cric dopo una lunga serie di teste di animali mozzate recapitate davanti alla porta di casa a mo’ di avvertimento. Ma allo stesso modo pochi conoscevano Malala quando nell’ottobre 2012 i sicari del feroce mullah Fazlullah le spararono alla testa non uccidendola per miracolo.

 

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E anche i blogger bengalesi ammazzati nei mesi scorsi nell’esercizio delle loro funzioni critiche da lucidi folli incapaci anche solo di sentir mettere in discussione l’esistenza di Dio non avevano esattamente una notorietà internazionale. Chi aveva mai sentito parlare di Ananta Bijoy Das, Avijit Roy, Washiqur Rahman prima che i loro carnefici, quelli sì bene informati, ne portassero l’opera alla ribalta in forma di epitaffio funebre? 


C’è chi come l’iraniano Sattar Beheshti o il libico Mohammad Nabbous ha pagato il proprio blog anti-regime con la vita ma c’è anche chi lo fa con il carcere, l’emarginazione sociale, la morte metaforica decretata con lo stigma nazionale come il saudita Raif Badawi, condannato a 1000 frustrate in pubblico e 10 anni di prigione per aver affidato al forum «Free Saudi Liberals» il dubbio volteriano circa l’enigma insondabile dell’aldilà. 

Le organizzazioni paladine della libertà di stampa mettono in guardia da anni rispetto al crescente numero di vittime tra reporters in cui la parte del leone la fanno freelance e blogger. 

Di blog si vive, si sopravvive sottovivendo (come i temerari blogger necessariamente anonimi di Raqqa che raccontano ogni giorno la routine sotto il giogo sanguinario dello Stato Islamico) e si muore. Nel mondo arabo musulmano, in Messico dove il j’accuse contro i cartelli del narcotraffico viaggia in Rete competendo in velocità con la risposta delle pallottole, nella Cina che incarcera 

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Qin Zhihui, per «provocazione di guai» online, nella Cuba di Yoani Sanchez, in quel che resta delle intrepide primavere arabe guidate nel 2011 all’assalto del cielo proprio dalle avanguardie di blogger come la tunisina Lina ben Mhenni, nella Russia dello zar Putin allergico ai post di Alexey Navalny. La lista è lunga, cresce e comprende Formia, Lazio, Italia, Occidente.

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