CRISTO, MA DOV’E’ LO SCANDALO? - PER DUE ANNI LO SPETTACOLO DI ROMEO CASTELLUCCI, “SUL CONCETTO DI VOLTO DEL FIGLIO DI DIO”, È STATO RAPPRESENTATO ANCHE IN PAESI CATTOLICI. E NESSUNO HA GRIDATO ALLA BESTEMMIA. E ALLORA SOSPETTO CHE A SMUOVERE IL VATICANO QUESTA VOLTA NON SIA UN PROBLEMA CULTURALE, NÈ RELIGIOSO, NÈ ESTETICO: MA POLITICO. CON P. MINUSCOLA, PERÒ…

1- CRISTO, MA DOVE E' LO SCANDALO?
Alessandra MammÌ per il suo blog, http://mammi.blogautore.espresso.repubblica.it/

Per promemoria ripubblico la cronaca della prima messa in scena dello scandaloso spettacolo di Romeo Castellucci. Ad Essen, due anni fa. Là in mezzo alla città dell'archeologia industriale trasformata in centro culturale (i tedeschi queste cose le fanno bene) c'erano critici di ogni parte di Europa, studenti, generici spettatori paganti e persino famiglie con bambini.

Molti di loro suppongo cattolici. Nessuno si è sentito offeso. Anzi. Semmai turbato, commosso e colmo di pietas per il profondo sentimento cristiano di quest'opera. Per due anni lo spettacolo è stato rappresentato anche in paesi cattolici. E nessuno ha gridato alla bestemmia. E allora sospetto che a smuovere il Vaticano questa volta non sia un problema culturale, nè religioso, nè estetico: ma politico. Con p. minuscola, però.


2- ROMEO: TROPPO CRISTIANO PER ESSERE CATTOLICO...
da "L'espresso" numero 31 del 05-08-2010 pagina 100

"Mi aspettavo che il pubblico ridesse di più. Io ho riso tanto durante le prove, cercavo di trattenermi per paura di irritare gli attori, ma ero esilarato. A lei, questo spettacolo, non ha fatto ridere?". Veramente non molto: "Sul concetto di Volto del Figlio di Dio" della Societas Raffaello Sanzio qui nelle vesti del solo Romeo Castellucci (benché bellissimo) non è proprio roba da Monty Python.

Gli spettatori che ad Essen assistevano alla prima performance di una messa in scena, pensata per cambiare tempi e forma a seconda degli spazi in cui sarà ospitata (Volume I, Volume II: al festival Roma Europa in ottobre), più che ridere, se ne stavano tutti silenziosi e concentrati. Intimiditi, quasi.

Perché non è cosa da tutti i giorni, trovarsi in piedi o accovacciati a terra (niente sedie) sotto lo sguardo di Dio per ben 50 minuti, non sapendo bene neanche in quale veste: quella di spettatori o personaggi di un monumentale polittico con al centro un sovradimensionato volto del Cristo di Antonello da Messina?

Tavola centrale gigantesca - sette metri di altezza, quasi sei di larghezza - e un figlio di Dio dalle dimensioni stravolte come nei sogni che fissa il pubblico con sguardo impenetrabile, mentre gli uomini (attori e performer) improvvisamente piccoli si agitano nella predella con i loro umili, tragici e impotenti gesti.

Dunque: nel primo riquadro della predella si narra la storia di un figlio che pulisce e accudisce un padre incontinente e piagnucoloso perché umiliato dalle sue feci. Poi, sempre a tinte forti, arriva la parabola dei bambini guerrieri che lanciano bombe contro Dio, isterici come "il bimbo dal corpo di vetro della foto di Diane Arbus che stritola una granata". E infine la Passione: distruzione del volto strappato e lacerato a forza di rabbiosi gesti scimmieschi da performer acrobati che nella furia rivelano il messaggio inciso e nascosto sotto la tela: "I am (not) your shepherd".

È il Vangelo secondo Castellucci: dove convivono il vero e il falso, la cosa e il suo contrario. L'escatologico sguardo di Dio gli scatologici escrementi del vecchio. L'innocenza e insieme la violenza incontrollata dei pargoli. La Carne che diventa Verbo rovesciando l'incipit del Vangelo di Giovanni. Il Cristo che è (e non è) Nostro Pastore. Dunque non c'è certezza (e non c'è neanche da ridere) se questo Cristo grande come un poster pubblicitario ci osserva per quasi un'ora di fila, mettendoci in imbarazzo.

"È vero: non siamo più abituati a guardare un volto e neanche a guardarci più in faccia tra noi", dice Castellucci, uno dei teatranti italiani più famosi nel mondo, dietro giganteschi occhiali che nascondono anche il suo, di volto. "Se per strada guardiamo qualcuno negli occhi, rischiamo di ricevere una risposta aggressiva: "Vuoi una mia foto? per questo mi guardi?", mi sono sentito chiedere una volta.

Il volto, in questa epoca di riproduzione virtuale, è diventato problematico: non è più ciò che ci affaccia all'altro ma ciò che ci allontana dall'altro. Anche per questo ho faticato nella mia indagine a trovare il giusto volto di Cristo. Volevo che guardasse dritto negli occhi lo spettatore, ma questa è un'iconologia rarissima. Dopo lunga ricerca sono arrivato a selezionarne tre".

Il regista li elenca. C'è quello ottocentesco con corona di spine, naso diritto e lunghe morbide chiome sciolte sulle spalle del romantico danese Carl Heinrich Bloch. C'è il fiammingo Cristo di Hans Memling dal lungo viso e dalle strane orecchie a punta vagamente luciferine che spuntano fra le ciocche di capelli corvini. E infine il Cristo Apollo dalla divina perfezione e bellezza, giovane e quasi imberbe di Antonello.

È l'icona che arriva dal mondo classico, l'antitesi di quella espressionista dell'"Uomo del Dolore" che racconta invece il tormento e la sofferenza della carne. È il Dio che si fa uomo e insieme l'uomo che si fa Dio. È il Cristo dell'Umanesimo che segna l'apice di totale armonia e controllo del mondo, raggiunto dalla cultura occidentale. Castellucci perché proprio questo?

"Perché ci guarda dritto negli occhi ma il suo pensiero è inafferrabile. Il Cristo di Memling aveva un'espressione giudicante, quello di Bloch era fuori asse. Questo Cristo invece, ridotto al solo volto, ingigantito, è architettura pura che ti schiaccia con lo sguardo a cui non puoi sfuggire".

Come la cultura cattolica, in cui anche Castellucci, nato nel 1960, è inevitabilmente cresciuto: tra le chiese di campagna intorno a Cesena, fra le immagini di Santi e Madonne, crocefissi e vie Crucis, erotismo dei martiri e soprattutto delle martiri. "È in chiesa che noi bambini abbiamo vissuto le prime sensazioni erotiche", ricorda: "Negli anni Sessanta solo nella penombra delle chiese si potevano vedere seni femminili più o meno nudi, magari trafitti ma pur sempre seni di donne".

Così fu - anche grazie a questi primi turbamenti - che il giovane Romeo molto più tardi decise di abbandonare all'improvviso gli studi di agraria per dedicarsi a quelli di pittura e scenografia all'Accademia di Bologna. "Ho sempre amato più la storia dell'arte che quella del teatro. Sono sempre stato più attratto dal mondo visivo che da quello letterario. Mi affascinavano le mostre, le opere, gli artisti e il loro ragionare. Ho frequentato Alighiero Boetti e passato ore a parlare con Gino De Dominicis di cabala, pensiero rabbinico e di merda che secondo lui era creazione pura. Secondo il "De Dominicis pensiero" nella notte dei tempi ci fu una censura o un errore di traduzione nell'Antico Testamento e fu così che si tramandò l'idea di un uomo nato dal fango invece che dalla merda divina".

Escatologico-scatologico, come la scena iniziale da cui parte lo spettacolo. Padre figlio e sguardo divino, triangolazione biblica, il bianco immacolato del salotto dal design minimalista e il corpo nudo del vecchio umiliato dalla sua imperfezione. E la pietà del figlio che tutto riscatta. "Una parabola: in tutti i sensi. In fondo avrebbe potuto essere scritta in uno dei Vangeli questa storia di amor filiale e incontinenza, consolazione e vergogna, pietas e putrefazione del corpo...".

E la parabola dettata dal volto di Cristo si muove sulla scena come nella struttura di ogni polittico che si rispetti. Riquadro dopo riquadro più un'aurea incisione che completa il tutto. Non manca niente: l'immagine e la storia, la Maestà di Dio e il quotidiano vangelo degli uomini.

Più il pittore. In questo caso un Romeo Castellucci che conduce lo spettacolo con l'istinto di un artista-artigiano del Quattrocento, convinto che in questi nostri laici tempi in cui l'arte visiva non sa più ritrarre il volto di Cristo "abbiamo bisogno di farlo a teatro. Perché rispetto a tutte le arti sorelle, il teatro è ancora ciò che somiglia di più alla vita".

 

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