1- NON SFONDA IL FAZIO SPECIAL SU JANNACCI: NON È CERTO “VIENI VIA CON ME” (11,4%) 2- DA DESTRA (“IL GIORNALE”) A SINISTRA (“IL FATTO”), PASSANDO PER L’’ESPRESSO”, TUTTI INSIEME APPASSIONATAMENTE PER INFILZARE E DECRITTARE IL FENOMENO FABIO FAZIO, “IL NOSTRO BUTTADENTRO NELLA STANZA DEI LUOGHI COMUNI CULTURALI DI SINISTRA”, “L’USD: L’UOMO SENZA DOMANDE”, “IL CLUB BILDERBERG DELLA TELEVISIONE ITALIANA” 3- PASSERELLA BAGNATA PER PASSERA (PER DIRE, NESSUNA DOMANDA SU ALITALIA-AIRONE) 4- IL PATTO È CHIARO, E TRASPARENTE: TU DAI MEZZ’ORA DEL TUO LUSSUOSO TEMPO A ME, CARISSIMO OSPITE, E IO IN CAMBIO TI RICOPRO D’AMORE, CON TALI E TANTI SLURP DA SEDURRE IL PUBBLICO E TRASFORMARLO IN TIFOSO (L'APOTEOSI SARÀ IL 24 DICEMBRE…) 5- COME HA BEN INSEGNATO WALTER VELTRONI A UN’INTERA GENERAZIONE DI AMBIZIOSI DI SINISTRA, L’IPOCRISIA CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA PAGA PIÙ DELLA SODDISFAZIONE DI NON TENERE CONTO DEL QUINTO COMANDAMENTO, CIOÈ NON UCCIDERE…

1 - IL NUOVO VECCHIO FABIO...
Fulvio Abbate per "il Fatto Quotidiano"

Domenica sera, per la prima volta nella vita, Fabio Fazio mi ha fatto tenerezza. L'ho visto invecchiato, d'improvviso, anzi, di colpo. Stava lì, nel suo studiolo di "Che tempo che fa" (Rai3), stava lì di profilo a scrutare l'ospite, un po' provato. Sappiamo, invecchiare, in molti casi, significa mostrarsi più umani, meno convinti, e devo dire che nell'esatto momento in cui ho avuto modo di intuire sul suo volto le rughe, e perfino un certo grugno bruegheliano da creatura definitivamente adulta, ho provato un senso di soddisfazione.

Per lui, solo per lui. Insomma, mi è sembrato che il nostro "buttadentro" nella stanza dei luoghi comuni culturali di sinistra avesse finalmente detto a se stesso un bel "mo' basta". Intendiamoci, si tratta di sfumature, eppure è bastato nulla, l'increspatura lieve fra naso e guancia, per comprendere che ci troviamo a un punto di svolta. Da qui a poco la retorica "civile" che Fazio ha propalato insieme ai suoi ospiti speciali, anime belle garantite fra molto altro dagli uffici stampa editoriali, dovrà lasciare il posto al disincanto, all'abbiamo già dato. (E anche ottenuto, perfino economicamente parlando).

Non è però ancora tutto. Poco dopo, volati via i convenevoli d'inizio (insieme all'ormai intollerabile stacco sonoro rubato a De André), Filippa Lageback, l'oggetto più misterioso della seconda repubblica televisiva, ha introdotto appunto l'ospite, Corrado Passera.

Non è proprio necessario conoscerlo, e tuttavia, per amor di completezza, diremo che si tratta di un banchiere-manager divenuto ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti del governo da poche settimane in carica. Uno dei nuovi padroni della cosa pubblica, insomma.

Adesso, i più implacabili immagineranno un conduttore prono, al meglio del suo animo "doroteo", elegantemente timoroso di sembrare troppo esigente dal punto di vista della completezza giornalistica, perché come ha ben insegnato Walter Veltroni a un'intera generazione di ambiziosi di sinistra, l'ipocrisia con prenotazione obbligatoria, sebbene sia un delitto sanzionato perfino nelle Sacre Scritture, paga più della soddisfazione di non tenere conto del quinto comandamento, cioè non uccidere.

Tu mi credi se aggiungo che quando ho visto Fabio incalzare Corrado sulla questione della vendita delle frequenze televisive mi sono cacato sotto al posto suo? Sulle prime il ministro ha cercato di svicolare, e allora Fazio gli è andato addosso con la stessa tenacia dei bull-terrier, a pretendere una parola netta, dirimente. Al punto da ottenere una risposta verosimilmente netta: "Di fronte ai sacrifici chiesti agli italiani, pensare che un bene di Stato possa esser dato gratuitamente non è tollerabile e, verosimilmente, non lo tollereremo". A quel punto il conduttore, eroico, ha chiesto se c'è da ipotizzare un'asta, e quell'altro: "Può essere una cosa un po' diversa, dobbiamo trovare nuovi modi".

Fossi nei panni di Fazio mi farei dono di questo finale di carriera. Un ultimo fotogramma all'insegna del riscatto, quasi come l'Alberto Sordi di "Una vita difficile", un ultimo schiaffo al principale, e via verso il paese di Dignità. Sai che soddisfazione?

2- PICCOLO FAZIO, GRANDE JANNACCI...
Riccardo Bocca per il suo blog, http://bocca.blogautore.espresso.repubblica.it/

Tanti anni di televisione avrebbero dovuto suggerire a Fabio Fazio, l'Usd, l'Uomo senza domande, la regola sacra da non violare mai, di fronte alle telecamere: quella di non spacciarsi, nemmeno un secondo, per ciò che non si è.

In fondo si riassume in questo, il segreto del successo di Fazio: proporsi sempre e comunque come il ventre molle dell'Italia, quel paese sciagurato e svelto che mette al primo posto la prudenza, il finto esser cortesi, l'arte di compiacere gli altri, pur di garantirsi il pane quotidiano, e se possibile anche molto di più.

In questo sì che è superbo, l'Usd: settimana dopo settimana, senza timore alcuno, e con mestiere alquanto, celebra a "Che tempo che fa" la meraviglia dei propri ospiti, sempre e comunque benvenuti con un retrogusto di interesse reciproco.

Il patto è chiaro, e trasparente: tu dai mezz'ora del tuo lussuoso tempo a me, carissimo ospite, e io in cambio ti ricopro d'amore, con tale e tanta convinzione da sedurre il pubblico e trasformarlo in tifoso.

Una formula che funziona, e in generale rende, ma che in casi eccezionali può rivelarsi impraticabile, impossibile da far quadrare nonostante lo sforzo e la voglia di (com)piacere.

È successo, ieri sera, a "Vengo anch'io, ovvero Enzo Jannacci", lo speciale fabiofaziesco su Raitre in onore del cantautore milanese. Una delle tante e belle occasioni che questa rete mi concede per confezionare spettacolo, deve aver pensato Fazio. E invece no, purtroppo per lui: era un'altra cosa, la serata di ieri, una cosa pericolosa e inavvicinabile assieme.

Enzo Jannacci, infatti, non è e non è mai stato un semplice cantautore, un costruttore di melodie e parole a cottimo, ma la fotosintesi di una città intera che si chiama Milano. Ha interpretato da intellettuale anomalo, medico ospedaliero e musicista surreale assieme, il disagio di una metropoli piccola, e però un tempo grande, dove l'arroganza della crescita ha cancellato molto di ciò che di buono c'era, e che pure allora sembrava cattivo: la nebbia, le fabbriche, quella malinconia lombarda dove la moda si chiamava sartine, e non megalomania haute couture.

Roba che Fabio Fazio, per entrarci veramente dentro, avrebbe dovuto strafogarsi per un anno intero di panettone e Idroscalo, di scale mobili affollate il sabato della Rinascente, di appuntamenti lungo le sponde del Naviglio in secca mentre l'umidità non molla e piazza del duomo piange, commossa, ripensando ai partigiani il giorno della liberazione.

Un percorso tortuoso che l'Usd ha abbozzato appena, s'è visto, preferendo invece il viale senza curve che gli si parava innanzi: mettersi a fianco Paolo Jannacci, insomma, figlio egregio dell'Enzo, e affidargli il ricordo e l'aneddotica legati al padre fuoriclasse.

Ha dunque spiegato, il valente pianista e affettuoso esegeta, il senso di certe canzoni, l'origine dei loro testi, il perché del loro esistere, lasciando poi a vari artisti l'onere dell'interpretazione: a Irene Grandi "Ci vuole orecchio", a Cristiano De André "Chissà se è vero", a Roberto Vecchioni "Vincenzina e la fabbrica"...

E avanti così, anche con qualità, ma con un malinteso enorme alla base: quello che Jannacci abbia scritto e interpretato, appunto, canzoni, mentre Jannacci Enzo ha incidentalmente scritto canzoni, indimenticabili canzoni, ma soprattutto ha anticipato il male magnum di queste ore -le nostre-, quelle in cui guardando indietro ci chiediamo com'è successo che siamo arrivati, fin qui, così malconci e tristi.

Non sono perciò bastati la bella prova di Cochi e Renato, che senza inutili stravolgimenti hanno cantato "La vita l'è bela", il generoso assolo di Dario Fo, commovente nel suo "Ho visto un re", o le accettabili esibizioni di Ornella Vanoni, Massimo Boldi e Teo Teocoli, a ridarci il cuore di Enzo Jannacci.

Ci è voluto che arrivasse lui, sotto ai riflettori, a giustificare il tutto: ma proprio tutto, anche gli occhialetti da tutor Cepu di Fazio, le sue ambizioni attoriali o la sua milanesità acquisita da savonese in trasferta.

Vecchio, molto vecchio e molto acciaccato, e però molto bello, e anche insopportabile nella sua bizzarria esibita, Jannacci è finalmente apparso. E ha cantato con voce giovane, e divertita, e intellettualmente unica "Quelli che...".

Così l'aria s'è fatta densa, calda, emozionante come certe sere di Milano che non sto qui a spiegare, perché tanto ciascuno ha il proprio passato e non si cura di quello altrui. A meno che, a cantarlo per tutti in televisione, non ci sia Jannacci con l'intensità di ieri.

3- FABIO FAZIO, IL VU CUMPRÀ DELLA TELEVISIONE CHIC - FENOMENOLOGIA DI CHE TEMPO CHE FA. IL SALOTTO DELLA SINISTRA È IN PROMOZIONE PERMANENTE: L'APOTEOSI SARÀ IL 24 DICEMBRE...
Luigi Mascheroni per "il Giornale"

Che sia politicamente fazioso è noto, ma non è questo il punto. Che sia un tradizionalista catodico, ligio all'alternanza scrupolosa degli stessi ospiti, anche; e neppure questo è un problema, poiché gli ascolti gli danno ragione.

Che sia un maschilista metodico, un po' meno; ma d'altronde i dati dimostrano l'umiliazione settimanale del principio stesso di quote rosa televisive. E che, infine, sia un vu cumprà mediatico di primissimo livello, oltre che di access prime-time, non occorre ripeterlo: la promozione di prodotti di largo consumo culturale - libri, dischi, spettacoli, film, concerti - è l'essenza stessa del programma di Fabio Fazio: su cento invitati (artisti o intellettuali, gli unici due criteri di selezione), centouno presentano o un romanzo, o un libro-inchiesta, o un dvd, o una tournée , o una commedia, o tutte queste cose assieme, come Fabio Volo ad esempio, che quando ci va ne approfitta per parlare dei suoi libri, del suo film, della sua trasmissione... Comunque, statisticamente, il genere più gettonato è l'autobiografia. Se uno, in Italia, ha una bella vita da raccontare, in genere la propria, Che tempo che fa è il posto giusto.

Il posto più giusto per le persone giuste, intervistate dal conduttore giusto, Che tempo che fa è l'unico caso di trasmissione televisiva «di nicchia» nell'impianto radicalchic, ma «nazionalpopolare» per i risvolti mediatici: piace a tutti, visto lo share, e a tutti piacciono le cose che vedono, visto il successo commerciale di ogni cosa passi da Che tempo che fa. Il programma in questo è micidiale. Per dire: ieri sera c'è stato lo speciale su Enzo Jannacci, e oggi sui banconi dei grandi bookstore, accanto al registratore di cassa, c'è il suo libro Aspettando al semaforo. Solo per caso, una biografia. Vengo anch'io. Sì, perché no?

Da Fabio Fazio, vengono tutti. A condizione che: 1) siano intellettuali, o politici; 2 ) siano di sinistra, o perlomeno non di destra; 3) siano maschi, o almeno gay; 4) abbiamo scritto o inciso o girato qualcosa di nuovo nelle settimane immediatamente precedenti; 4) siano mainstream , cioè offrano un prodotto culturale di massa: un libro bestseller, un film blockbuster, una trasmissione di prima serata. Esempio: nelle 28 puntate della stagione in corso, dal 18 settembre a ieri, a Che tempo che fa sono intervenuti 86 ospiti.

Di cui: 1) tutti o cantanti, o scrittori, o giornalisti, o attori, o registi, o politici, o attivisti; 2) considerando gli italiani (76 su 86), meno di dieci si possono ascrivere a un'area non di sinistra (Maroni, Formigoni, Alfano, un paio di cantanti, forse uno scrittore, due comici...); 3) su 86 invitati 75 sono uomini, e solo undici sono donne (in realtà sarebbero 10, perché Claudia Mori non conta, essendoci andata per interposta marchetta del marito); 4) l'80% circa degli ospiti è stato in questi tre mesi nella top ten di qualcosa: libri e dischi più venduti, film più visti, personaggi più citati dai giornali.

E per le scorse stagioni i dati dicono sostanzialmente le stesse cose, se non per il fatto che una volta Fabio Fazio osava un po' di più, puntando su personaggi non ancora completamente scoperti dal grande pubblico, o che apparivano raramente in tv; mentre oggi si preferisce andare sul sicuro.

A proposito di andare sul sicuro: ospiti più frequenti nel 2011: Ezio Mauro (3 volte), Pier Luigi Bersani (2), Eugenio Scalfari (2, ma è come se ci fosse sempre), Gustavo Zagrebelsky (2, ma è come se non ci fosse mai), la famiglia Strada (Gino e Cecilia, 2 volte); Concita De Gregorio (2), Gian Antonio Stella (2), Don Andrea Gallo (2)... Poi ci sono andati, almeno una volta, tutti i direttori dei grandi quotidiani italiani, tranne quelli di destra; e tutti quelli che hanno scritto una sceneggiatura, o un soggetto, o hanno recitato, o diretto, un film di, o con, Cristina Comencini. E poi dicono che il cinema italiano non ha visibilità.

Se la Rai fosse una Chiesa, e in parte lo è, Fabio Fazio sarebbe non un seminarista, come lo accusano di essere; ma il Segretario di Stato, notoriamente più potente del Papa. E la sua non è affatto una parrocchietta, frequentata dagli stessi ospiti fedeli, ma una vera setta catodica.

Un salotto mediatico. Il Club Bilderberg della televisione italiana. Dove, solo per caso, può capitare - ad esempio che si prepari una puntata speciale, il 24 dicembre, per presentare un libro speciale, scritto a quattro mani da due attrici speciali - una delle quali è Franca Valeri, e l'altra è Luciana Littizzetto,presenza fissa della trasmissione - il quale libro è curato da Samanta Chiodini una delle autrici della trasmissione pubblicato da Einaudi nella collana Stile Libero- della quale è consulente Giacomo Papi, altro autore della trasmissione- e lanciato sotto data con un'intera paginata della Stampa il cui direttore Mario Calabresi è un aficionado, e il vicedirettore è Massimo Gramellini, ospite fisso della trasmissione. La cattiva educazione dei ragazzi. Più che una parrocchia, una religione di Stato. Amen.

 

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