DIMMI COME TWITTI E TI DIRO’ CHI SEI - EMILIO FEDE? “UN UOMO RISSOSO, IMPULSIVO, TRADITO DAGLI AMICI E SEMPRE SENSIBILE AL CORTEGGIAMENTO O ALL’ALLUSIONE SESSUALE” (MA PARAGONARLO A HITLER FORSE E’ UN PO’ TROPPO, NO?) - IL PROFILO DI GIULIANO FERRARA “RIMANDA ALLA SCALTREZZA, AL COMMENTO SFERZANTE, ALL’INSULTO FACILE E A UN CERTO SNOBISMO” - I “TWEET MARCHETTA” DI ELISABETTA CANALIS - JOVANOTTI A TUTTO “YEAH”…

Giancarlo Liviano D'Arcangelo per l'Unità

Inviato di guerra. Sempre in guerra. Inizia così, nel rispetto dei sacri, inviolabili 140 caratteri, la narrazione di se stesso che Emilio Fede offre su Twitter, oggi il social network più a la page tra i cardinali della società dello spettacolo, o peggio, molto peggio, tra i presbiteri che aspirano al vescovato o provano faticosamente a conservare la propria parrocchia.

Lo diceva Feuerbach, e le cose non sono cambiate. Semmai vanno esacerbandosi: «è senza dubbio il nostro tempo... preferisce l'immagine alla cosa, la copia all'originale, la rappresentazione alla realtà, l'apparenza all'essere... ciò che per esso è sacro non è che l'illusione, ma ciò che è profano è la verità». Perché di reiterazione dell'immagine di sé si tratta, e poco altro. Questo è Twitter, almeno nell'utilizzo più diffuso. Una stanca coazione a ripetere.

Coazione a ripresentare all'infinito, con una formula breve e concisa (cioè l'unica organica a un tempo in cui persino gli aforismi di La Rochefoucauld sembrano trattati alpestri su cui anche le capre sanno bene che è poco rassicurante inerpicarsi), la propria immagine di sé, per noi stessi e per gli altri, senza mai provarne salutare orrore. Insomma, un banalissimo specchio. Utile alla verifica cadenzata e ossessiva dell'esistenza.

È così, sfogliando il profilo Twitter di Fede, ci apparirà in ogni cinguettio il personaggio di un uomo rissoso, impulsivo, ossessionato dall'ansia di persecuzione, tradito dagli amici ma ancora pieno di vitalità, votato a qualche vaga idea di buona causa e sempre sensibile al corteggiamento o all'allusione sessuale, come del resto dev'essere un vero maschio italiano ancora attivo per cui l'aggettivo impotente è senza dubbio l'anatema più terribile che si possa infliggere ai detrattori.

Un uomo, infine, che «ha dedicato 40 anni della vita al giornalismo», prosopopeica valutazione (pudicamente?) solo quantitativa che anche Hitler potrebbe ragionevolmente offrire di sé e della sua vocazione politica. Insomma, il Fede secolare, niente di più. Ma se il Twitter dell'ex direttore del TG4 è un caso limite in virtù di un alibi generazionale, non troppo diversi nei meccanismi regolatori appaiono i profili, autentici o chiaramente pubblicitari (l'autenticità assoluta è un dettaglio insignificante nel delirio rappresentativo), di altri mattatori mediatici votati alla conquista del web.

Il profilo di Giuliano Ferrara, per altro frequentato dall'olimpo del giornalismo ufficiale in un'orgia scooppettara dallo stantio profumo di ristagnante autoreferenzialità, rimanda alla scaltrezza, al commento sferzante, all'insulto facile e a un certo snobismo insito negli esponenti dell'alta cultura, cioè tutti i tratti del Ferrara personaggio. Il profilo di Elisabetta Canalis, (JustElisabetta, un nome ispirato diabolicamente a quello di una nota griffe, tanto per ribadire la propria osmosi biologica con la marchetta) è un bignami di Vanity Fair, con una deferenza così smaccata verso gli avanzi dell'attualità più cool, da richiamare alla memoria le zuppe di rigovernatura delle mense per poveri in pieno medioevo.

Celebrazioni del discorso di Michelle Obama, del Festival del cinema a Venezia e delle medaglie d'oro olimpiche vinte dall'Italia, commenti calcistici sugli Europei, appelli per la liberazione delle Pussy Riot e per la chiusura dell'Ilva si mescolano così con saluti, entusiastici per routine, ad alter-ego del bioparco vip, come Cesare Paciotti o Syria, o con tipiche battaglie sociali da cui un vero vip probo e coscienzioso non può esimersi, come quella per i cani abbandonati. Il Twitter di Jovanotti è un altro esempio di perfetta, sincera (e quindi ancor più deprimente per il grado di alienazione reciproca tra realtà e spettacolo), aderenza al brand.

Tutto per Jovanotti è degno del più bambinesco entusiasmo, perfino una visita di Baudo in piazza a Cortona, tutto è condito da un linguaggio attinto a piene mani nell'area semantica della gioia inconsapevole da fiaba per bambini: sposi, storia bellissima sogni, desideri, yeah, emozioni. L'importante, in definitiva, è che anche su Twitter sia replicata la solita visione dominante della realtà, sdoppiata su due piani, ossia quello pretestuosamente intimo che rimanda sempre e sempre si fonde alla dimensione pubblica, al macrocosmo, laddove il ruolo sociale del cinguettante è confermato.

In quest'ottica appaiono di valore nullo, infimo, anche i presunti attimi di vitalità che si potrebbero riscontrare, come l'utilizzo informativo, ironico, o come l'irresistibile e feticistico desiderio degli utenti di cantarle al vip antipatico sulla poca dimestichezza con l'italiano o sull'insensatezza di certi pensierini. Mai come in Twitter infatti, il mezzo finisce per diventare sempre il messaggio.

E qualsiasi pensiero, anche il più condivisibile, confluisce nel liquame del mare magnum, nel banale assoluto, in una sorta di fogna del senso comune in cui niente è destinato a restare o a importare, mentre ciò che si afferma, nemmeno troppo occultamente, sono sempre le medesime strategie del modo di produzione e del consumo, ormai tramutatesi, a tutti gli effetti, in coscienza.

 

 

 

logo twitter emilio fede GIULIANO FERRARA MICHELLE OBAMA Cesare Paciotti

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