IL DIVANO DEI GIUSTI – CHE VEDIAMO STASERA? UNA DELLE NOVITÀ IN CHIARO DELLA SERATA, E NON LO TROVATE NEMMENO IN STREAMING, È IL CURIOSO PICCOLO WESTERN “OLD HENRY” – PASSA ANCHE “LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE” – NELLA NOTTE AVETE LO STRACULTISSIMO “DESIDERIO”, EROTICO-FEMMINISTA DEFINITO AL TEMPO DA GIOVANNI BUTTAFAVA COME “UNA TRANVATA CHIAMATA DESIDERIO” E IL THRILLER DANESE “SHORTA”. CRITICHE STREPITOSE. DA NON PERDERE - CHIUDO CON UN FILM DOVREBBE VEDERE DAGO, “LA DONNA DEL BANDITO”. OCCHIO AL CELEBRE INIZIO CON LA MACCHINA RIPRESA DA UN ELICOTTERO, NON SI ERA MAI FATTO PRIMA… - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
Che vediamo stasera? Una delle novità in chiaro della serata, Rai Movie alle 21, 10, e non lo trovate nemmeno in streaming, è “Old Henry”, curioso piccolo western intelligente presentato a Venezia scritto e diretto da Potsy Ponciroli con il mitico Tim Blake Nelson, Stephen Dorff, Richard Speight Jr., Max Arciniega, Brad Carter. Pur se tratta molto bene dai cinefili a Venezia, alla fine è una produzioncina indipendente con sei-sette attori, qualche cavallo, qualche maiale, e una casetta di legno dove si svolge la storia.
Tim Blake Nelson, star dei fratelli Coen, è l’Old Henry del titolo. Un fattore vedovo che vive con il figlio adolescente nelle colline dell’Oklahoma. Nessuno sa nulla del suo passato e non sarò io a svelare il segreto di Old Henry. Quando raccoglie, ferito, un cowboy, Scott Haze, con una borsa piena di dollari, iniziano i guai.
Perché tre sceriffi o simil sceriffi, capitanati da un cattivissimo Stephen Dorff lo stanno inseguendo e vogliono proprio quella borsa. Per difendere il figlio e la casa, un po’ meno i maiali, Old Henry deve rimettere la mano alla pistola. Si sa. La bella voce di Tim Blake Nelson e il fatto che sia protagonista rendono “Old Henry” vedibile. Meno i violini in sottofondo. C’è di peggio, ovviamente.
Su Canale 27 alle 21, 15 passa la comemdia “A casa con i suoi” di Tom Dey con Matthew McConaughey, Sarah Jessica Parker, Zooey Deschanel, Justin Bartha. Se vi piacciono i mélo turchi, quelli che adora la prima moglie di Berlusconi e ha fatto comprare al figlio Piersilvio, vi ricordo che su LA5 alle 21, 15 passa “Annem” di Mustafa Kotan con Özge Gürel, Sumru Yavrucuk, Sercan Badur, Tuna Orhan, Itir Esen, Fatma Toptas, storia del rapporto tormentato tra una madre e una figlia.
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Iris alle 21, 15 torna su “La battaglia di Hacksaw Ridge” di Mel Gibson con Andrew Garfield, Teresa Palmer, Hugo Weaving, Sam Worthington, Vince Vaughn, Luke Bracey, fimone di guerra indeciso tra violenza e pacifismo, pallottole e sermoni, gambe che saltano e preghiere. Molto classico e molto sentito, con un Andrew Garfield strepitoso e con una battaglia che occupa tutta la seconda metà del film, che ricorderemo a lungo per realismo e sangue sparso.
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Di fronte alla storia, verissima, del soldato Desmon Doss, avventista del settimo giorno, obiettore di coscienza, che durante la battaglia di Okinawa, nella Seconda Guerra Mondiale, sul picco di Hacksaw Ridge, disarmato, salvò la vita a ben 75 soldati americani feriti, non si può non pensare a un meccanismo alla Sergente York, celebre film di Howard Hawks, ma rovesciato.
Lì il sergente York, Gary Cooper, soldato sempliciotto e campagnolo, già tiratore infallibile di tacchini, non la smette di uccidere i soldati tedeschi col suo fucile, qui, Desmond Doss, Andrew Garfield, colpito dalla violenza del padre rovesciata sulla famiglia, decide di non toccare le armi, ma seguita a salvare senza stancarsi i suoi commilitoni feriti dai giapponesi a Hacksaw Ridge rivelando la stessa tenacia e la stessa ingenuità campagnola.
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Entrambi diventano eroi per caso, anche se uno uccide i nemici e l’altro salva gli amici. E cerca pure di salvare i nemici. Erano qualcosa come 14 anni che si tentava di dar vita a un film su Desmond Doss, ma era proprio l’eroe che non voleva accettare la glorificazione cinematografica. Sembra che ci avesse provato a convincerlo anche Audie Murphy, vero eroe di guerra e attore di film di guerra.
Con la morte di Doss nel 2002 il progetto partì. In un primo tempo doveva girare il film Randall Wallace, sceneggiatore di “Braveheart” di Gibson, di Pearl Harbour, ma, soprattutto regista del Vietnam movie “We Were Soldiers” nel 2002 con lo stesso Gibson. Wallace aveva scritto un copione assieme a Robert Shenkkan, ma quando il progetto passò a un redivivo Mel Gibson, uscito da un brutto periodo di alcool, il testo venne rivisto da Andrew Knight.
Con pochi giorni di riprese, 59, e poco budget, 40 milioni di dollari, Gibson porta l’intero progetto e l’intero set, cioè America e Okinawa, in Australia, e chiama a interpretare il padre di Desmond Doss, eroe della Prima Guerra Mondiale e ubriacone violento, un celebre attore australiano, Hugo Weaving. Nel film non si percepisce nulla di australiano, sia nella parte americana che in quella di guerra nell’isola giapponese, e Gibson riesce a far fruttare la sua maestria nelle scene di battaglia con esplosioni, smitragliate e lanciafiamme.
Quella che vediamo non solo negli occhi di Doss-Garfield, è l’orrore della guerra di trincea modificata dall’uso di artiglieria, bombe, e fuoco di ogni tipo. Doss cerca nell’orrore la sua redenzione salvando delle vite umane, portandole giù dalla collina. Anche nella prima parte del film, ambientata nelle Blue Ridge Mountains della Virginia, dove abitava Doss con la famiglia, troviamo una collina che lui scala prima col fratello poi con la fidanzata Dorothy, Teresa Palmer. Da luogo di amicizia e d’amore, la collina diventa nella seconda parte, il luogo dove ritrovare se stesso nella missione di salvare delle vite.
La7 Cinema alle 21, 15. ci presenta il carcerario con Robert Redford “Il castello” diretto da Rod Lurie con Clifford Collins Jr, Delroy Lindo, Mark Ruffalo, James Gandolfini. Rai4 alle 21, 20 torna sul genere attacco al presidente che, con Trump alla Casa Bianca, è passato di moda. Ecco quindi “Sotto attacco - White House Down” diretto da Roland Emmerich con Channing Tatum, Jamie Foxx, Maggie Gyllenhaal, Jason Clarke, James Woods. Si vede. Bellissimo, lo struggente “Nowhere Special” di Uberto Pasolini con James Norton, Daniel Lamont, Eileen O'Higgins, Valene Kane, Keith McErlean, Sean Sloan, Rai5 alle 21, 20.
Siamo in quel di Belfast, in Irlanda, e un padre single che di professione fa il lavavetri come se fosse in un film di Ken Loach, John, interpretato dal bel James Norton, si ritrova nella condizione di essere un malato terminale di cancro di classe operaia e di dover al più presto trovare una nuova famiglia per il suo delizioso figlioletto di quattro anni, Michael, interpretato da uno spettacolare Daniel Lamont, che ha cresciuto con amore senza la mamma, che è tornata in Russia a sei mesi dalla sua nascita e non si è più fatta sentire.
Assieme a una ragazza dei servizi sociali, vede una serie di famiglie inglesi, di ogni tipo, per capire a quale affidare Michael. Fino a quando dovrà scegliere proprio perché non ha più tempo. Ovvio che si pianga, ma Pasolini, che è un signore che ha passato tutta la vita a produrre film intelligenti, da “Full Monty” a “I vestiti nuovi dell’imperatore”, e da qualche anno è diventato regista, “Still Life”, sa che non può concedere troppo al lacrima movie e allo scivolamento nel mélo.
Fa un cinema civile e minimalista. Già la storia, ispirata a un fatto vero, è così forte e la coppia che ha messo in scena, padre e figlio, così perfetta. Così seguiamo il percorso di John di giorno in giorno, sul lavoro, sempre più difficile da fare, nell’educazione del figlio e negli incontri con le famiglie inglesi. In mezzo a tutto questo John sa che dovrà spiegare a un bambino di quattro anni che cos’è la morte e cosa sta capitando. E dovrà lui stesso superare questo trauma senza fare pagare tutto questo dolore al figlio. Si piange, ovvio, ma il film è molto bello.
way down rapina alla banca di spagna
Non era male, Cielo alle 21, 20, “Way Down – Rapina alla Banca di Spagna” diretto dallo spagnolo Jaume Balaguero, ottimo film di grandi colpi alle banche con bel cast internazionale, Freddie Highmore, Liam Cunningham, Sam Riley, la deliziosa Astrid Berges-Frisbey. Non vi fidate delle critiche americane davvero freddine, il film funziona perfettamente come action e thriller, Balaguero è uno specialista di horror (“Rec”, “Fragiles”), ma è bravissimo anche nel thriller, come dimostra questa specie di “Sette uomini d’oro” riletta in salsa “Casa di carta” che si svolge tutto durante la finale della Coppa del Mondo del 2010 Spagna-Olanda in quel di Madrid. Chi vinse?
Forse avete voglia invece di un film di auto come “Fast & Furious 6” diretto nel 2013 da Justin Lin con Vin Diesel, Paul Walker, Dwayne Johnson, Jordana Brewster, Michelle Rodriguez, Italia 1 alle 21, 25.
Passiamo alla seconda serata, Rai Movie alle 22, 50, con “Il Grinta”, ormai un western classico, ma allora non lo era, diretto dallo svizzero Henry Hathaway che fu un maestro del genere western, anche se era dittatoriale sul set, con John Wayne, premiato qui con il suo unico Oscar, in uno dei ruoli migliori di sempre, quello di Rooster Cogburn, il giovane Glen Campbell, la ragazzina sveglia Kim Darby, ma anche Dennis Hopper, Strother Martin e Robert Duvall come il cattivo Ned Pepper, Iris alle 21.
Nel ruolo del giovane Texas Ranger, LaBouef, venne chiesto a Elvis Presley di fare il partner di John Wayne, ma il colonnello Parker glielo vietò. Quando John Wayne vinse l’Oscar per il vecchio pistolero con un occhio solo disse: “Wow. Se l’avessi saputo prima, avrei messo quella benda sull’occhio 35 anni prima”. E si giustificò con Barbra Streisand con la battuta “E’ la fortuna del principiante”.
A Wayne non piaceva Kim Darby nel ruolo che aveva pensato di offrire a sua figlia Aissa. E non piaceva neanche a Hathaway. Ma la Darby, malgrado avesse 21 anni e non 14 come nella storia, ci sembrò la scelta migliore. Invece Wayne apprezzò molto il copione della blacklisted Marguerite Roberts. Le scrisse che era “magnifico” e sperava che ne scrivesse altri per lui. Duvall, che si scontrò con Hathaway, adorò lavorare con Wayne (“è una brava persona e un ottimo attore naturale”). Mi piace molto anche “Il grinta” dei Coen con Jeff Bridges, devo dire.
Rai5 alle 22, 55 passa invece “Settembre” di Woody Allen con Mia Farrow, Sam Waterston, Dianne Wiest, Denholm Elliott, Elaine Stritch. E’ lo Zio Vanya di Woody Allen, e il suo maggior disastro finanziario. Anche perché decise di girare un “pezzo da camera” tutto ambientato nello stesso posto con solo sei attori. Solo che dopo aver girato e montato una prima versione, ne volle girare un’altra con cast in parte diverso, raddoppiando i costi.
E ne avrebbe girata una terza se non lo avessero fermato. Cpsì Elaine Stritch, Denholm Elliott e Sam Waterston rimpiazzarono nella seconda versione Maureen O'Sullivan, la vera madre di Mia Farrow, Charles Durning e Sam Shepard, che già aveva rimpiazzato Christopher Walken. Un rompicapo. Rai4 alle 23, 30 passa il thriller danese “Shorta” di Frederik Louis Hviid, Anders Ølholm con Jacob Lohmann, Simon Sears, Tarek Zayat, Issa Khattab, Özlem Saglanmak, costruito su due poliziotti che si ritrovano nei guai mentre pensavano di fare il solito giro di routine. Critiche strepitose. Da non perdere.
La7Cinema alle 23, 50 passa il divertente “Mio cugino Vincenzo” di Jonathan Lynn con Joe Pesci, Ralph Macchio, Marisa Tomei, Fred Gwynne, Bruce McGill, dove due cugini newyorkesi finiscono in galera in Alabama e chiamano a risolvere le cose il cugino Vinny, cioè Joe Pesci. Mentre giravano il film Joe Pesci vinse l’Oscar da non protagonista per “Good Fellas”, mentre Marisa Tomei lo vincerà un anno dopo proprio per questo film.
edoardo pesce ai confini del male
Cine 34 alle 0, 55 propone un noir di Vincenzo Alfieri, “Ai confini del male” con Edoardo Pesce e Massimo Popolizio che fanno i carabinieri alla ricerca di ragazzi scomparsi misteriosamente. Serial killer o setta satanica o qualcosa di ignoto? Pesce fa il poliziotto violento sempre pronto a menare. Mena pure il poro Nicola Grignanese nel ruolo di un giornalista viscido. Mena e scopa con le mignotte, come vediamo da subito. Certo, le serie nordiche hanno una classe maggiore, ma Pesce e Popolizio non sono affatto male, anche se urlano tutto il tempo. E Alfieri ha da poco girato il notevolissimo “40 secondi”.
Rete 4 all’1 passa in prima visione (uno spreco…) “L’immensità” di Emanuele Crialese con Penélope Cruz, Vincenzo Amato, Filippo Pucillo, Aurora Quattrocchi, Giuseppe Pattavina. Penelope Cruz fa un po' Raffa, un po’ Patty nella Roma di cinquant'anni fa. Già crescere negli anni ’70 nelle famiglie borghesi e cattoliche italiane, sempre attaccate alla tv, rimpinzate di Carrà e Corrado in bianco e nero e di pubblicità dell’Amaro Cora, non era il massimo, figurarsi crescere con un corpo da ragazza sentendosi maschio. Né carne né pesce.
l immensita di emanuele crialese
Affidati a vestiti e un taglio di capelli che devono coprire la tua femminilità nascente. Racconto in gran parte autobiografico dell’autore, “L’immensità” di Emanuele Crialese, non è, come si pensava, un romanzo di formazione di un ragazzino/ragazzina pazza per Raffaella Carrà, anche se la Carrà domina la scena e Crialese spinge la sua assoluta star, Penelope Cruz, nel ruolo della madre, a rifarla perfettamente in una versione fotocopia di "Prisencolinensinainciusol" con Celentano interpretato dalla figlia/figlio.
E’ un romanzo di difficile e tormentato cambiamento di sesso soprattutto mentale di una ragazza che si sente ragazzo in quegli anni assurdi e oggi, si spera, lontani, con padri padroni brutali e maneschi, come qui Vincenzo Amato, che mettono incinte le segretarie e pretendono che le mogli stiano zitte e buone a sopportare in silenzio.
l immensita di emanuele crialese
La piccola Adriana, detta Adri, è la più grande di tre figli, e quella che più soffre per il dolore della madre Clara, Penelope Cruz, l’unica che sembra poter condividere il suo problema più profondo, anche se già deve superare il suo matrimonio poco riuscito con un uomo che oltre a non capirla la corca di botte e la tradisce. Ma Penelope Cruz, la mamma, copre anche il grande immaginario “maschile” e parecchio gaio di Adri spettatore di tv e già pazzo di Patty-Raffa.
Nella ricostruzione della sessualità ambigua di Adri, il maschile e il femminile della tv, cioè Celentano e Raffa o, come sarà nella seconda parte del film, Johnny Dorelli e Patty Pravo che cantano, ognuno a modo suo, “Grazie amore mio”, la versione italiana del tema musicata da Francis Lai per “Love Story”, sono Adri, il maschio liberato nel corpo di Adriana e la sua mamma, Penelope, liberata dal rozzo marito-padrone.
l immensita di emanuele crialese
Così, se lo spettatore pensava di assistere a una sorta di allegro musical con Penelepe Cruz che rifà Raffa, lo avremmo adorato tutti, si deve accontentare dell’idea angosciante del cambio di sesso di una ragazza che sublima la sua idea di liberazione del maschile vs il femminile con la mamma diventata Patty Pravo e lui diventato Johnny Dorelli.
Cosa che dopo due ore di film, diciamo, non è quello che credevamo di vedere, anche perché “Grazie amore mio” è una canzone terribile che al tempo non si poteva che odiare. E nessuno, allora, amava Dorelli cantante. Anche se, è vero, può esser visto come una metafora, presa molto alla lontana, di un cambio di sesso, che toccherà o sta toccando la protagonista e automaticamente il regista.
desiderio fanny ardant anna maria tato
Ma se il tema è quello, allora, magari, un po' più di coraggio nel mostrarsi non sarebbe guastato. Ecco. Magari avremmo voluto da Crialese, dopo un silenzio sulla sua vita di più di vent’anni, ora che il tema del cambiamento di sesso non è più un tabù, qualcosa di più chiaro di questa metafora dorelliana.
Rai Movie all’1, 10 passa invece lo stracultissimo “Desiderio” di Anna Maria Tatò con Fanny Ardant, Francesca De Sapio, Leonardo Treviglio, Carlo Giuffrè, erotico-femminista definito al tempo da Giovanni Buttafava come “Una tranvata chiamata Desiderio”, “Tatò cerca casa”, un film Gaumont che al tempo i recensori, come Kezich, non potevano stroncare pubblicamente… Con tanto di scena madre di accoppiamento tra Fanny Ardant e il tenebroso Leonardo Treviglio reclamizzata come inaudita, insolita, audace e “al femminile” che finisce con una botta in testa di lei a lui.
Rai Due all’1, 35 si butta su “Naufragi”, neorealismo cupissimo nell’Italia sfigata di oggi, diretto da Stefano Chiantini con Micaela Ramazzotti, Mario Sgueglia, Marguerite Abouet, Lorenzo McGovern Zaini, dove la Ramazzotti , nel ruolo di sempre, accudisce due figli come può quando perde anche il marito e non sa più a che santo rivolgersi. Cielo alle 2 propone il “Neruda” di Pablo Larrain con Gael García Bernal, Luis Gnecco, Alfredo Castro, Mercedes Morán, Pablo Derqui.
Il pubblico italiano è molto affezionato a Neruda. Un po’ grazie a Massimo Troisi e Philippe Noiret e al Postino, un po’ grazie a Renzo Arbore e a Quelli della notte, “Lo diceva Neruda che il giorno si suda, ma la notte no”. In qualche modo, Neruda, anche da noi, è un personaggio di poeta familiare e popolare.
Lo ritroviamo trattato con lo stesso amore e ironia, e con una carica erotica in più, in questo notevole Neruda di Pablo Larrain, non un vero e proprio biopic, ma una variazione poetica di un Neruda senatore comunista che prende posizione contro il governo Videla e nel 1948 entra prima in latitanza e poi parte per l’Europa. Lo interpreta con grandissimo vigore e voglia di vivere Luis Gnecco, attore comico cileno, quasi un Lino Banfi, che riesce a trasmetterci un Neruda divertente, erotomane, giustamente imprendibile e amato dal popolo, Come nella canzone di Arbore, c’è pure Picasso (“rispondeva Picasso io di giorno mi scasso”) che commenta da Parigi la fuga del poeta.
C’è la seconda moglie, Delia, Mercedes Moran. E c’è il personaggio, in parte vero e in parte totalmente letterario, di Oscar Peluchonneau, interpretato da un sempre grande Gael Garcia Bernal, il commissario che insegue Neruda e si ritrova a vivere un ruolo che da attore secondario diventa co-protagonista cosciente della storia. Il film di Larrain, presentato con grande successo alla Quinzaine des Realisateurs di Cannes, mostra assieme al successivo Jackie, sempre di Larrain, un modo diverso di trattare i grandi personaggi storici del passato.
Cioè non lunghe ricostruzioni con il personaggio che invecchia grazie a trucchi sempre terribili, ma la ricostruzione di un evento o di un momento importante e particolare vissuto dal personaggio stesso e ben ricollocato nella sua realtà. Così assistiamo all’omicidio di Dallas per Jackie e alla lunga fuga dal Cile per Neruda.
Anche se è dai tempi dei grandi biopic della Warner Bros di William Dieterle che non assistiamo a un regista che possa trattare ben due film su grandi personaggi nello stesso anno, e questo suona un po’ assurdo di questi tempi, anche se non è forse il cinema che ci saremmo aspettati dal regista di Tony Manero, con Neruda e ancor più con Jackie, Larrain si dimostra un grande narratore di eventi storici, preciso e artista abbastanza da non scadere mai nel fumettistico.
Su Iris alle 2, 15 avete un capolavoro come “Lo sperone nudo”, forse il western più bello di Anthony Mann con James Stewart che deve risolvere una situazione complessa fatta di geometrie, tradimenti, obliquità. Pochissimi attori, oltre a Stewart che indossa qui il suo cappello di sempre e cavalca il suo cavallo di sempre, e ha pure il favoloso doppiaggio di Gualtiero De Angelis, Robert Ryan, Janet Leigh e Millard Mitchell, che fa il vecchio e morì poco dopo a 50 anni.
Scritto da Sam Rolfe e Harold Jack Bloom, che vennero anche candidati all’Oscar. James Stewart, che mai come in questo film je rode e si carica negativamente fino a esplodere, ha il favoloso cappello da cowboy che indossa in ogni film e cavalca Pie, la sua cavalla preferita, che cavalcherà fino alla sua morte in ben 17 western. Attenti, invece, al suo giacchetto, troppo moderno, infatti è del 1953 mentre il film è ambientato nel 1868.
Leggo anche che lo “Sperone nudo” è in realtà la roccia dove si svolge il finalone del film, dalle parti di Durango, in Colorado. Lo vengo a sapere solo ora, dopo settant’anni… Rai Movie alle 2, 50 passa invece il kolossal western “L’oro di McKenna” diretto da J. Lee Thompson con Gregory Peck, Omar Sharif, Telly Savalas, Omar Sharif, Raymond Massey, Eli Wallach, Julie Newmar, Burgess Meredith, Keenan Wynn, Ted Cassidy, Edwrad G. Robinson.
Leggo che venne girato in 70 mm pensando a farlo uscire in Cinerama, ma non lo fecero uscire in Cinerama, solo in 70mm, certe scene erano girate in 35 e malamente gonfiate. Inoltre venne tagliato da tre ore a due per la distribuzione in sala. A Gregory Peck il film faceva schifo. Richard Burton lo aveva rifiutato. Come lo aveva rifiutato Clint Eastwood, che preferì girare “Impiccalo più in alto” di Ted Post. Piacque soprattutto al pubblico russo e a quello indiano, chissà perché.
Se state attenti noterete che Julie Newmar nella scena del bagno al fiume è nuda. Così ha detto lei. Non era bellissimo, anzi, ma rimane un filmone con uno schermo pauroso. La storia è ripresa da un soggetto di Heck Allen, abituale sceneggiatore dei cartoon violenti di Tex Avery. Un giovane George Lucas aveva girato un making of. Ricordo che lo vidi alla moviola del mitico Ingegner Piero Tortolina, che aveva molti materiali rari della Columbia.
Cine 34 alle 4, 15 passa lo stravagante “Gran bollito”, rilettura di Mauro Bologni del celebre caso Cianciulli, cioè della “saponificatrice di Correggio”, interpretata qui da Shelley Winters, serial killer donna che saponificava le sue vittime, interpretate qui da attori maschi e celebri vestiti da donna, Max von Sydow, Renato Pozzetto, Alberto Lionello, oltre a Laura Antonelli. Dopo il successo de “Il mostro di Firenze” di Sollima, direi che è da farci subito un serial.
Chiudo con un film dovrebbe vedere Dago, “La donna del bandito”, opera prima di Nicholas Ray, tratta dal romanzo (più duro) di Edward Anderson con Farley Granger e Cathy O'Donnell come Bowie e Keechie, coppia di gangster innamorati alla Bonnie e Clyde, Howard Da Silva come Chickmaw, Helen Craig. Occhio al celebre inizio con la macchina ripresa da un elicottero, non si era mai fatto prima. Robert Mitchum si propose per il ruolo di Chickamaw, il bandito indiano, si era anche tinto i capelli, ma aveva appena vinto un Oscar da protagonista, non era possibile. Girato nel 1947 ma messo in naftalina perché Howard Hughes si stava comprando la RKO.
Allora Dore Schary chiamò i due protagonisti, Farley Granger e Cathy O’Donnell a girare un altro film, “La via della morte” (“Side Street”). Hughes, come lo seppe, decise di fare uscire il film di Ray prima di quello rivale con i due attori. Robert Altman ne fece un remake, “Gang” nel 1974 con Keith Carradine e Shelley Duvall nel ruolo della coppia assassina. Bello, ma non come questo.
A CASA CON I SUOI
gran bollito
gran bollito
la donna del bandito 2
la donna del bandito
old henry 1
white house down
Sotto assedio – White House Down
l'oro di mackenna 3
john wayne il grinta
l'oro di mackenna 1
massimo popolizio ai confini del male
edoardo pesce ai confini del male
settembre film woody allen
IL CASTELLO
john wayne il grinta 2
IL CASTELLO
naufragi
shorta
Lo sperone nudo
Lo sperone nudo
nowhere special 3
nowhere special 3
nowhere special 4
fast and furious 7 6
desiderio fanny ardant
old henry.

























