
E’ LA SCALA, NON UNO STABILIMENTO BALNEARE! AL PIERMARINI TORNA IL DRESS CODE: TOLLERANZA ZERO PER PANTALONI CORTI, INFRADITO E CANOTTE - FINE DELLA LINEA SOFT CHIESTA DA MEYER (CHE IN GIOVENTU’ FU REDARGUITO A PARIGI PER IL LOOK “DA OPERAIO”) PER INVOGLIARE I GIOVANI A FREQUENTARE IL TEATRO MILANESE – IL REGOLAMENTO IN VIGORE È QUELLO STABILITO DAL SOVRINTENDENTE ALEXANDER PEREIRA NEL 2015 E MAI CAMBIATO – MATTIOLI: "IL VERO PROBLEMA È CHE LA SCALA È INFESTATA DI TURISTI CHE LA CONSIDERANO UN'ATTRAZIONE TURISTICA. MA IL TEATRO È UN RITO, E COMINCIA BEN PRIMA DI ANDARCI: DAVANTI ALLO SPECCHIO DI CASA..."
scala spettatore con scarpe da ginnastica
1 - STOP A INFRADITO E CANOTTIERE SCALA, TORNA IL «DRESS CODE»
Pierluigi Panza per il “Corriere della Sera” - Estratti
In premessa, sgombriamo il campo da due banalità.
La prima: importa la musica e non come ci si veste; stupidaggine perché anche il vestito è una espressione culturale e manifesta, con appropriatezza o meno, chi siamo e come ci poniamo. La seconda: il governo di destra impone alla Scala come si devono vestire gli spettatori; falso perché il regolamento in vigore è quello stabilito dal sovrintendente Alexander Pereira nel 2015 e mai cambiato.
Superate le colonne d’Ercole di queste sciocchezze, veniamo al fatto. Dalla prima di Norma (qual nome più indicato? ), una settimana fa, sui biglietti del Teatro alla Scala e nelle apposite locandine all’ingresso è stato impresso, con più forza grafica, che si deve rispettare un «dress code» .
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In galleria (dove si sta stretti), ma anche in sala, si sono visti pantaloncini con tasconi laterali tipo da pescatore, canotte e canottiere bianche ex della salute, magliette con personaggi dei fumetti, pseudo scollature con vista su draghi, serpenti, farfalline e altre gotiche banalità tatuate nonché jeans stracciati in area grande gluteo con vista natica.
Molte le lamentele giunte alla direzione del teatro, specie rivolte a turisti, diciamo, eccessivamente «sportivi».
Le indicazioni, minime, elencate nei biglietti e nei cartelli sistemati all’ingresso vietano esplicitamente «canotte, pantaloncini corti e infradito».
Si tratta di regole che vengono fatte rispettare dalle maschere, alcune delle quali, a loro volta, con tatuaggi che fanno capolino dalla divisa. La regola avverte che chi non entra non si vedrà rimborsare il biglietto. Il divieto di canotta non impedisce agli uomini di essere senza giacca (ahimè) e alle signore di entrare con bluse senza maniche mentre quello per le infradito non lascia fuori le giapponesi con kimono e calzature tradizionali. «La Direzione invita il pubblico a scegliere un abbigliamento consono al decoro del Teatro, nel rispetto del Teatro stesso e degli altri spettatori». Sono regole che valgono anche in Europa, con Londra un po’ più tollerante.
Era stato il sovrintendente Dominique Meyer a invocare sopportazione anche perché, in gioventù, era stato redarguito per il look «da operaio» dai suoi vicini all’Opéra a Parigi (della quale divenne direttore generale).
Ma il look è solo la parte visibile della microfisica della maleducazione: cibi e bevande portati dall’esterno, smartphone che — quando non cadono dall’alto — sono usati per inviare messaggini durante l’opera e scattare foto (vietato). Poi c’è il rito delle caramelle da scartare durante i «pianissimo», quelli che parlano, quella che si toglie le scarpe tacco 12...
2 - MAI PIÙ IN CANOTTA E INFRADITO ALLA SCALA LA LUNGA STORIA DEL DRESS CODE IGNORATO
Alberto Mattioli per “la Stampa” - Estratti
Uno dei Grandi Problemi Italiani non è che non ci sono le regole, che anzi sono troppe.
È che vengono fatte rispettare sempre meno, finché nessuno si ricorda più che esistano. Vale a tutti i livelli, anche per quello (apparentemente) frivolo di come vestirsi a teatro, anzi a Teatro, il più prestigioso delle amate sponde: la Scala. Così dal Piermarini hanno deciso di ricordare a chi se l'era dimenticato che esiste un dress code, rilanciando una regola che per la verità non era mai stata abrogata.
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Testuale: «La Direzione invita il pubblico a scegliere un abbigliamento consono al decoro del Teatro, nel rispetto del Teatro stesso e degli altri spettatori. Non sono ammessi spettatori che indossino canottiere o pantaloni corti; in questo caso i biglietti non sono rimborsabili», e qui sta il capolavoro, perché l'eventuale smutandato non solo viene rimbalzato all'ingresso, ma non può nemmeno farsi ridare i soldi.
E i biglietti della Scala non sono esattamente a buon mercato: trovandola, una poltrona di platea di zona 1 per la Norma attualmente in cartellone costa 300 euro.
La storia della norma, con la minuscola, è lunga. Fino a non molti anni fa, erano richieste giacca e cravatta per accedere a platea e palchi, e abito scuro per le prime rappresentazioni (il 7 dicembre fa regola a sé: lo smoking non è obbligatorio, ma se qualcuno si presenta senza si condanna da solo alla pubblica riprovazione.
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Adesso il problema si ripropone e quindi il nuovo sommo sacerdote del Tempio, il sovrintendente Fortunato Ortombina, ha deciso che fosse cosa buona e giusta ricordare le regole. Certo, dovrebbe bastare il buonsenso, perché è chiaro che qualsiasi persona che l'abbia non va alla Scala (s)vestita da spiaggia.
Ma si sa che il buonsenso è più estinto dei dinosauri, e non si può pretendere che tutti abbiano la sensibilità in materia del principe di Lampedusa, che dovendo chiedere la mano di Angelica per conto di Tancredi non indossò l'abituale redingote nera, ma una di un lillà ritenuto più adatto all'occasione presunta festiva.
In realtà, il vero problema è che la Scala è infestata di turisti che la considerano un'attrazione turistica, ci vanno per vederla, selfarsi e andarsene al primo intervallo. Infatti è più facile incontrarli overdressed più che sbragati, tipo le americane in lamé lungo alle matinée della domenica pomeriggio che tentano di entrare in sala con la flûte di champagne in mano, bloccate dalle maschere con la consueta cortese inflessibilità. E poi ci sono quelli che non spengono i cellulari e anzi li fanno precipitare dal palco in platea contundendo uno spettatore, com'è successo in una recente memorabile occasione: cose turche (si dava infatti Il ratto dal serraglio). Ci sono anche i fotografi compulsivi, nei casi peggiori con il flash.
TEATRO ALLA SCALA - REGOLE DI COMPORTAMENTO E DRESS CODE
Tipo la mentecatta seduta davanti a me che alla prima della Gazza ladra si mise a sparare flash alla primadonna che stava attaccando la cavatina: per sfortuna (sua) la stronza era italiana, quindi capì perfettamente dove subito la mandai. Delle ravanatrici nella borsetta, delle tintinnatrici di gioielli e delle scartocciatrici seriali di caramelle inutile parlare perché infestano tutti i teatri del mondo, non solo la Scala. Adesso si spera che ricordare poche semplici regolette d'abbigliamento serva a far rispettare anche quelle di comportamento.
Non bisogna però essere pessimisti. I ragazzi, che a differenza di quel che si pensa alla Scala ci vanno, sono per lo più impeccabili, ingiaccati e incravattati, e mediamente meno rompiscatole dei diversamente giovani. Era Paolo Grassi, il più grande uomo di teatro che l'Italia abbia avuto nel Dopoguerra, a insegnare che il teatro è un rito, e che comincia ben prima di andarci: davanti allo specchio di casa.
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ortombina meyer 23
fortunato ortombina 3
prima della scala 2024 dominique meyer