DALL’ARRESTO ALL’ARROSTO: IL DOCU-FILM DI CRESPI SU ENZO TORTORA PIACE A TUTTI, MA NON AL FESTIVAL DI MULLER CHE LO HA BOCCIATO: “TROPPO TELEVISIVO” E SENZA NOVITA’

Alessandro Gnocchi per "Il Giornale"

Il Festival internazionale del cinema di Roma, appena iniziato, ha perso una bella occasione rifiutando il documentario Enzo Tortora. Una ferita italiana di Ambrogio Crespi. I selezionatori, appunto, selezionano chi pare a loro e qualsiasi interferenza sarebbe inaccettabile. Inoltre, come abbiamo scritto centinaia di volte, il valore di un'opera non si misura dal suo impegno civile. Quanta robaccia abbiamo dovuto inghiottire, esaltata dalla critica perché organica a una parte politica?

In questo caso però i conti non tornano lo stesso. Nessuna censura, a nostro parere, "solo" disattenzione e snobismo. Marco Müller ha motivato la bocciatura del film con due argomenti: Enzo Tortora. Una ferita italiana sarebbe troppo «televisivo», nello stile di una puntata di Report. Inoltre non porterebbe alcuna novità alla vicenda.

Il documentario, visto in anteprima, non ha pretese artistiche, non è Sacro Gra, vincitore della Mostra di Venezia, ma è interessante, senza sbavature, per niente strumentale, fondato su interviste di valore. Sono quasi sessanta minuti che producono indignazione, sconforto, commozione. Crespi raggiunge appieno l'obiettivo di qualsiasi prodotto di questo tipo: ricostruire, informare, consentire allo spettatore di formarsi un'opinione. Insomma, perché escluderlo? Perché le inquadrature sono troppo semplici?

L'assenza di fronzoli è la giusta forma di rispetto per la storia drammatica di Enzo Tortora. Sarebbe stato fastidioso il contrario. Qualcuno a Roma, lontano da registratori indiscreti, ha pure speculato sui guai giudiziari del regista, 200 giorni di carcerazione preventiva alle spalle (per concorso esterno in associazione mafiosa all'interno di un'inchiesta traballante). Si dimostra così la necessità di rievocare una volta di più il calvario al quale fu sottoposto il conduttore di Portobello.

Il 17 giugno 1983, Enzo Tortora è arrestato alle quattro di mattina all'Hotel Plaza di Roma. Il conduttore sarebbe un camorrista e uno spacciatore. Le accuse, mosse dalla Procura di Napoli, sono basate sulle dichiarazioni di pentiti come Giovanni Pandico, Giovanni Melluso e Pasquale Barra cui si aggiungeranno altri "testimoni", alcuni grotteschi. Al centro c'è un'agendina trovata nell'abitazione di un criminale in cui sembra leggersi il nome «Tortora» accanto a un numero telefonico.

Peccato ci sia scritto «Tortona» e che l'utenza non sia riconducibile a Enzo. Il presentatore passa sette mesi in carcere e cinque mesi ai domiciliari in attesa di processo. Nel 1984 è eletto parlamentare europeo nel Partito radicale. Nel 1985 è condannato a dieci anni di reclusione. Si dimette dal Parlamento europeo. Torna ai domiciliari. Nel settembre 1986 la Corte d'Appello di Napoli smonta il processo precedente.

Tortora non ha commesso il fatto. Nel 1988, gravemente malato, dà mandato ai suoi legali di richiedere il risarcimento dallo Stato. Come monito e come esempio: anche i magistrati devono pagare i loro errori. È l'ultima battaglia di Enzo Tortora, che muore il mese seguente, il 18 maggio 1988.
Questi sono i nudi fatti, che Crespi affida a scioccanti immagini di repertorio. Tortora appare con le manette ai polsi ed è esibito come un trofeo di caccia a uso dei fotografi. I titoli dei giornali, tutti quanti colpevolisti.

Gli avvocati della difesa, Alberto Dall'Ora e Raffaele Della Valle, certi in partenza di aver perso, parlano di «istruttoria inesistente» con voce spezzata. I pentiti sorridono nell'aula di tribunale. Uno di loro, alla lettura della sentenza di condanna, grida: «Ha vinto lo Stato! Ha vinto la giustizia! Hanno vinto i carabinieri!». Tortora malato e quasi soffocato dalla tosse riferisce alla stampa di essere stato indicato come consumatore abituale di cocaina. Lascia il Parlamento europeo, nonostante il Parlamento sia contrario.

Marco Pannella (un gigante) si pronuncia contro i giudici del primo grado. Della Valle ascolta in lacrime la lettura della tardiva assoluzione.
Se non bastassero queste scene, che lasciano il segno anche alla milionesima visione, Crespi ha raccolto una serie d'interviste bellissime. Francesca Scopelliti legge le lettere inviatele dal carcere dal conduttore. Sono testimonianze della statura morale di Tortora, spezzano il cuore soprattutto quando descrivono la (non) vita in cella.

Tra gli altri parlano gli avvocati Raffaelle Della Valle e Mauro Mellini. Il giudice Corrado Carnevale. I giornalisti Francobaldo Chiocci e Vittorio Feltri, che furono i primi cronisti a capire l'innocenza di Tortora. Mentre Vittorio Pezzuto, autore della biografia di Tortora Applausi e sputi (Sperling & Kupfer), ricorda la fortunata carriera delle toghe che distrussero l'esistenza del presentatore.

Tutti assieme tracciano un quadro delle storture della giustizia italiana da cui si capisce che poco è cambiato. I problemi sono gli stessi: la carcerazione preventiva come «lebbra del processo penale» (Tortora), la contiguità tra inquirenti e parte della stampa, la mancata responsabilità dei giudici, la condizione disumana delle carceri, lo scontro tra magistratura e politica.

Su questo punto, Tortora disse di trovare indecoroso che un parlamentare potesse farsi scudo dell'immunità per difendersi dai processi. Crespi mette in risalto questa posizione, fatto che impedisce di servirsi strumentalmente del film, rovesciandolo troppo sull'attualità di questi giorni, caso mai qualcuno si fosse fatto strane idee.

Domani Enzo Tortora. Una ferita italiana sarà presentato alla Camera. In serata alcune scene saranno trasmesse su Canale 5 a Matrix. Il film non è andato a Roma? Il problema è tutto del Festival che tra l'altro non si è dimostrato all'altezza del suo snobismo inaugurando con la solita commediola all'italiana. Alla faccia del Festival "Internazionale"...

2 - LA COMPAGNA FRANCESCA SCOPELLITI: «HO RIVISTO LA STORIA DI TORTORA CON LE LACRIME AGLI OCCHI»
Antonio Angeli per "Il Tempo"


«Dopo la proiezione di "Tortora - Una ferita italiana" mi sono resa conto di aver pianto. Volevo scusarmi con gli altri spettatori, ma erano tutti in lacrime...»: Francesca Scopelliti, giornalista, politica, compagna di Enzo Tortora, parla del documentario di Ambrogio Crespi che, con la sua esclusione dal Festival di Roma, ha sollevato tante polemiche. Martedì 12 il film sarà proiettato, in anteprima nazionale, alla Camera dei Deputati.

Francesca Scopelliti, quanto è importante che il pubblico veda questo film?
«Molto importante, perché su Enzo Tortora è stato realizzato poco... Una fiction Rai prodotta da Fulvio Lucisano e tratta dal libro di Vittorio Pezzuto ha dato la stura. Su Tortora è stato fatto poco per quello che ha rappresentato per la televisione, per il giornalismo e anche per la Giustizia. E questo è un rimprovero che faccio alla Rai, sempre pronta a commemorare De André, Battisti, Fellini. Ma per Enzo c'è stato un silenzio assordante, come se oggi desse fastidio sentir parlare di quest'uomo perbene che per forza fa pensare a dei magistrati permale».

Cosa ha da dire la storia di Enzo Tortora ai giovani che non l'hanno mai conosciuto?
«Quella di Enzo è una storia fatta di eccellenze: si costruì una carriera giornalistica da solo, puntando sulla sua intelligenza. Una cosa importante soprattutto oggi, che tutti cercano strade facili. Fu un'eccellenza anche come imputato; ha affrontato tutto con grande dignità, senza pietire clemenza. Ha fatto del suo caso il caso Italia ed è stato esemplare anche nella malattia: la sua è una storia che deve essere raccontata. Ora più che mai vista la mancanza di buoni esempi».

Cosa è cambiato da allora?
«Non molto... la legge sui pentiti fa meno danni. Allora 17 collaboratori di giustizia, tenuti a donnine e champagne, potevano parlare tra di loro, mettersi d'accordo su cosa dire. Credo che questo non succeda più... ma il mio rammarico più grande è che il caso di Enzo, che è stato un caso clinico, non abbia spinto a trovare delle terapie».

La polemica sul film di Crespi è incentrata sulla mancanza di nuovi elementi...
«Ma noi non stiamo cercando uno scoop giornalistico. Il direttore del Festival di Roma Müller ha parlato di mancanza di elementi del film per essere inserito, ma dovrebbe spiegarsi meglio. Voglio sperare che per un festival sia importante il contributo sociale, intellettuale e culturale. Cosa voleva Müller? la storia di Enzo, dopo trent'anni, è sempre quella.

Il film di Tognazzi fu un pugno nello stomaco, ma Enzo era interpretato da lui, Ricky Tognazzi. A parte che Tortora era molto più bello di Tognazzi, nel nuovo film di Crespi è lui, Enzo Tortora a parlare. È una vera sferzata. Alla proiezione mi sono commossa, ho pianto, volevo chiedere scusa ai presenti. Ma alla fine piangevamo tutti. Sono felice che il film venga proiettato alla Camera dei Deputati, ora spero che quegli stessi deputati e senatori che l'hanno promosso propongano una riforma della Giustizia che si chiamerà Riforma Tortora».

 

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