TU MI STRONCHI E IO TE STRONCO (IN TRIBUNALE) - IL MAGISTRATO PD CAROFIGLIO QUERELA L’EDITOR VINCENZO OSTUNI PER UN GIUDIZIO SU FACEBOOK - “UN LIBRO LETTERARIAMENTE INESISTENTE, SCRITTO CON I PIEDI DA UNO SCRIBACCHINO MESTIERANTE, SENZA UN’IDEA” - FLORES D’ARCAIS: “PARLAR MALE DI UN LIBRO NON È DIFFAMAZIONE” - TREVI DIXIT - SCRITTORI E CRITICI MOBILITATI: DOMANI A ROMA IL GRUPPO “T-Q” IN PIAZZA…

1- DIRITTO DI CRITICA O DIFFAMAZIONE? - OSTUNI DENUNCIATO DA CAROFIGLIO, IN SUA DIFESA SCENDE IN CAMPO IL GRUPPO TQ
Maurizio Assalto per "La Stampa"

C' è chi reagisce con un ceffone (Michele Mari, qualche anno fa, vs Antonio D'Orrico reo di averlo stroncato). Chi contraccambia con elegante perfidia (Alessandro Baricco che, irriso en passant da due illustrissimi critici, fa ricorso contro di loro alla figura retorica della similitudine: «interminabili e pallosi come un articolo di Citati», «triste e inutile come una recensione di Ferroni»). E chi si rivolge diritto al tribunale: come ha fatto nei giorni scorsi Gianrico Carofiglio, scrittore, magistrato e senatore Pd, segnando una «prima volta» gravida di possibili implicazioni.

L'autore del Silenzio dell'onda , terzo al Premio Strega di quest'anno, ha sporto denuncia per diffamazione contro Vincenzo Ostuni, poeta e editor di Ponte alle Grazie, colpevole di avere sostenuto nella propria pagina Facebook che il suo romanzo sarebbe «un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un'idea, senza un'ombra di "responsabilità dello stile", per dirla con Barthes».

Diffamazione o legittimo giudizio critico? Il confine è sottile. E insidioso. Perché «se dovesse passare il principio in base al quale si può essere condannati per un'opinione - per quanto severa - sulla produzione intellettuale di un romanziere, di un artista o di un regista, non soltanto verrebbe meno la libertà di espressione garantita dalla Costituzione, ma si ucciderebbe all'istante la possibilità stessa di un dibattito culturale degno di questo nome».

È quanto si legge in un appello promosso da Gabriele Pedullà e dal gruppo TQ (i Trenta-Quarantenni, tra i quali lo stesso Ostuni, che nell'estate dello scorso anno fecero rumore con la loro critica radicale all'industria della cultura) e sottoscritto finora da una quarantina di scrittori e intellettuali, da Fulvio Abbate a Maria Pia Ammirati, da Nanni Balestrini a Marco Belpoliti, Franco Cordelli, Andrea Cortellessa, Valerio Magrelli, Giorgio Vasta.

TQ e fiancheggiatori si ritroveranno domani alle 11 a Roma davanti a un luogo letterariamente emblematico, il commissariato di piazza del Collegio Romano (quello, per intenderci, del commissario Ingravallo del Pasticciaccio ) per ripetere in pubblico la frase incriminata e «rivendicare il diritto alla libertà di parola e di critica». Tutti sono invitati a partecipare, e eventualmente dare vita a analoghe iniziative nelle loro città. Tutti denunciati?

Giudizi taglienti, impietosi, persino feroci non sono mai mancati nel giardino delle patrie lettere (volendo, anche Cassola e Bassani avrebbe potuto ravvisare gli estremi della diffamazione nelle qualifica di «liale» con cui li aveva inchiodati il Gruppo 63), ma non si arrivò mai alla querela. L'unica volta tra scrittori fu nel 1978, quando Giuseppe Berto trascinò in tribunale Dacia Maraini che, già in passato bersaglio dei suoi strali critici, si era vendicata chiamandolo «stronzo». Ma quella volta il riferimento non era alla qualità letteraria.

2- CASO CAROFIGLIO: PARLAR MALE DI UN LIBRO NON È DIFFAMAZIONE
Paolo Flores d'Arcais per "il Fatto Quotidiano"

Gianrico Carofiglio è, in ordine cronologico, un magistrato, uno scrittore, un senatore della Repubblica (eletto con il Pd). Come senatore decide le leggi, come magistrato le fa applicare, come scrittore... scrive libri, che poi i critici esalteranno o stroncheranno e i lettori compreranno o ignoreranno, direte voi. Non esattamente. Il Carofiglio scrittore, se qualcuno ne stronca i talenti letterari, sporge querela e pretende risarcimenti in danaro sonante.

Ne dovrebbe fare le spese Vincenzo Ostuni, editor della casa editrice Ponte alla Grazie, che si è permesso di giudicare l'ultima fatica di Carofiglio, Il silenzio dell'onda, "un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un'idea, senza un'ombra di ‘responsabilità dello stile', per dirla con Barthes". Sentirsi dare dello "scribacchino mestierante" quando si ambiva allo Strega (e magari domani al Nobel) ovviamente non fa piacere. Ma scrittori incomparabilmente più grandi del senatore Carofiglio hanno ricevuto critiche ben più "infamanti".

In fondo, "mestierante" non è neppure così negativo (un certo mestiere a Carofiglio scrittore non lo negano neppure i critici più severi) e "scribacchino" vuole dire solo "scrittore di scarsissime capacità" (cito dal Devoto Oli).

Ora, se nella critica letteraria non si può dire di nessuno che è uno "scrittore di scarsissime capacità", resta solo il servo encomio (di cui la critica letteraria non difetta) e l'esaltazione ditirambica di qualsiasi mediocrità. Mentre, giustamente, rivendichiamo il diritto di ciascuno di dileggiare le convinzioni più sacre (per chi le condivide), di mettere in satira Maometto, di esporre nei musei crocifissi con una ripugnante rana al posto di Gesù di Galilea, di irridere la Madonna nei film, proprio in nome della libertà dell'arte.

Che comporta, però, per ogni artista o che si presuma tale, la serena accettazione di essere criticamente dileggiato a sua volta. Ostuni non ha scritto che Carofiglio è un ladro, un falsificatore di moneta, uno stupratore, nel qual caso la condanna per diffamazione è sacrosanta se chi ha formulato l'accusa non è in grado di provarla. Ha usato lo staffile della critica letteraria, che dovrebbe essere diritto costituzionalmente riconosciuto.

Se la pretesa del senatore scrittore non venisse stroncata sul nascere, radicalmente e tassativamente, dai suoi colleghi magistrati che dovranno decidere se e come "dare corso" alla citazione in giudizio, ci troveremmo di fronte all'incombere di un "lodo Carofiglio" che costringerebbe i critici d'arte a esaltare come eredità di Michelangelo ogni installazione/ciofeca (lo fanno già), i critici musicali a vedere Mozart in ogni strimpellatore, i critici letterari a scoprire Dostoevskij in ogni Carofiglio.

Come se di conformismo e di servo encomio in questa di-sgraziata Italia non ce ne fosse già in opulenza. Per fortuna, un gruppo di scrittori e critici annuncia un "appuntamento mercoledì prossimo alle ore 11 davanti al commissariato di Piazza del Collegio Romano - il commissariato di don Ciccio Ingravallo in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda - per pronunciare pubblicamente la frase incriminata di Ostuni e rivendicare il diritto alla libertà di parola e di critica" invitando "scrittori, intellettuali e cittadini a iniziative analoghe".

3- SERVONO SFUMATURE NEI GIUDIZI LETTERARI
Emanuele Trevi per il "Corriere della Sera"

I casi della vita mi hanno concesso un posto in prima fila, per così dire, nella vicenda giudiziaria che oppone Gianrico Carofiglio e Vincenzo Ostuni. Il primo è stato un mio leale e affabile avversario nella corsa all'ultimo Premio Strega, ahimè persa da entrambi; il secondo è l'editor del libro con il quale mi ero messo in lizza. Dal punto di vista dei gusti letterari, mi sento più vicino a Ostuni che a Carofiglio; ciò non mi ha mai impedito di provare curiosità e rispetto, tinti di una certa imponderabile quantità d'invidia, per scrittori come quest'ultimo, capaci di attirare nelle loro trame moltitudini di lettori.

Qualche mese fa, a Gorizia, ero con Carofiglio in una presentazione congiunta dei nostri libri. Alla fine, si avvicinò una vecchina, che gli portava da firmare tutti i suoi romanzi, dal primo all'ultimo, e lo implorava: che non smettesse mai di scrivere! E lui, distinto e cortese, la rassicurava. Ecco, mi dicevo, questo è un potere da cui, con i miei libri strampalati, sono escluso per sempre. Nemmeno il gatto, nemmeno mia madre mi chiederebbe di scriverne altri. Càpita però che l'altro protagonista di questa storia, Vincenzo Ostuni, i libri di Carofiglio li giudichi con sentimenti meno sfumati dei miei.

E poche ore dopo il verdetto finale del Premio Strega, esprima un durissimo parere sull'opera e l'autore. Non so se io stesso, ripetendo le parole di Ostuni, mi macchio di qualche colpa: ma insomma, gli dà del «mestierante», dello «scribacchino» sulla sua pagina di facebook. È un'opinione, un giudizio. Qualcosa che si può condividere o meno. Ma per Carofiglio, che ha intentato una causa civile a Ostuni, è un affronto che vale cinquantamila euro di ammenda.

La critica non è fatta di stroncature, io non ne faccio mai e come me tanti altri, ma la stroncatura è un ramo molto importante della critica, e deve avere campo libero, una totale libertà di azione. E chi distingue, tra i bersagli possibili, l'uomo dall'opera, non fa che ripetere il più fariseo dei luoghi comuni: l'uomo e l'opera sono indistinguibili, sul piano pratico come su quello ontologico («la vita di Shakesperare è un'allegoria», diceva Keats). La conseguenza di questo pasticcio è ormai ben nota. Decine di scrittori, intellettuali, giornalisti si stanno mobilitando a favore di quello che ritengono un diritto inalienabile.

Lo faranno sostenendo in comune le spese legali, e l'eventuale sanzione, oltre a sottoscrivere collettivamente, come se ognuno di loro la avesse concepita e resa pubblica, la frase incriminata di Ostuni. Non perché necessariamente la condividano, ma perché, a loro parere, una sentenza che la condannasse all'ammenda lederebbe la loro libertà, creando un precedente inaccettabile. E pure io, con tutta la mia simpatia per Carofiglio, e con un'indole che mai mi avrebbe dettato le parole di Ostuni, farò come fanno loro, perché sono nel giusto.

Non mi resta che la speranza di un ripensamento. Io credo che quello che chiamiamo il nostro carattere, il nostro Io, la nostra identità sia fatto di componenti molteplici, come una specie di rissoso parlamento, forse ancora più rissoso di quello in cui Carofiglio svolge egregiamente il suo lavoro. Ebbene, temo che lo scrittore barese, nell'intentare questa causa, abbia semplicemente dato ascolto a una voce sbagliata, a una di quelle parti di sé umbratili ed autodistruttive che si agitano in ognuno di noi.

Questa parte che usurpa il tutto, e che a volte ci strappa il buongoverno interiore, ha una totale solidarietà con le parole offensive di Ostuni. Il sentirsi offeso e l'offesa sono fatti della stessa pasta, sono come il Gatto e la Volpe di Pinocchio. Sono quel fango sul quale bisogna sempre volare alti.

Ma Carofiglio è un uomo intelligente, un uomo di valore. A differenza di tanti mediocri, ha tutta la forza e il carattere di mandarla al diavolo, questa parte di sé, assieme alle parole di Ostuni. Non gli servono cinquantamila euro, non gli serve divulgare un'immagine di sé che non gli corrisponde affatto, e finisce per deturparlo. È alla vecchina di Gorizia che deve render conto, non al suo orgoglio. Spero con tutto il cuore che non vorrà deluderla.

 

 

Vincenzo OstuniGIANRICO CAROFIGLIO AL PREMIO STREGA jpegGIANRICO CAROFIGLIO clm08 emanuele treviPAOLO FLORES DARCAIS FULVIO ABBATE Marco Belpoliti ANDREA CORTELLESSA VALERIO MAGRELLI

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