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IL CINEMA DEI GIUSTI - LA PESTE È TORNATA, E I TAVIANI PORTANO MEZZO CINEMA ITALIANO NEL LORO “MARAVIGLIOSO BOCCACCIO”. NON PIACERÀ A TUTTI, MA È UN FILM AFFASCINANTE CON GRANDI MOMENTI DI CINEMA

Marco Giusti per Dagospia

 

Maraviglioso Boccaccio di Paolo e Vittorio Taviani

 

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“La peste è tornata viva in forme diverse”, hanno spiegato i fratelli Taviani, ormai ottantenni, presentando il loro nuovo film. La peste di oggi è l’orrore che viviamo, dall’Isis ai barconi che affondano nel Mediterraneo, dalla guerra in Ucraina alla mancanza di futuro dei giovani. E non a caso il film si apre sulla camicia bianca di un ragazzo, ripreso di schiena, che alla peste preferisce la morte gettandosi dall’alto di una torre. Ma l’idea delle sette ragazze che decidono di fuggire da Firenze e dalla peste assieme a tre ragazzi è positiva. Perché grazie ai racconti di ognuno di loro, grazie cioè alla narrazione, riusciranno a ritrovare la voglia di vivere e di ritornare in città.

 

Non dobbiamo essere troppo criticoni di fronte a questo Maraviglioso Boccaccio diretto da Paolo e Vittorio, perché non è un film realistico né storico né letterario. Non ha la forza politica e erotica avvolgente del Decameron di Pier Paolo Pasolini che nel 1971 se ne servì per aprire le porte a una sessualità di corpi e di storie e che scelse di puntare al napoletano come lingua ancora non contaminata rispetto al fiorentino, lasciandosi per sé il ruolo dell’allievo di Giotto, quasi un narratore, eludendo la peste.

 

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Diciamo che è una specie di pamphlet, di editoriale in forma di cinema sull’orrore che colpisce i nostri ragazzi e, al tempo stesso, un film che porta le generazione più vecchie a fare i conti con i ricordi dei propri orrori, siano questi la guerra o le malattie delle prime decadi del secolo passato.

 

Curiosamente, così, il paesaggio toscano, da Pienza al Castello di Potentino sull’Amiata, ci portano non tanto al Boccaccio, quanto a un passato molto più recente dei nostri genitori e nonni. E a quello che questi ricordi fanno trasparire da un lontanissimo passato contadino. Così, facciamo finta di non vedere i tombini delle piazze, i pietroni nuovi delle piazze, o queste facciate dei casali toscani restaurati di fresco.

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E’ vero che stridono un bel po’ coi tempi di Boccaccio, ma il film, come spesso capita coi Taviani, è sul presente. E quindi va bene pure che la madre Badessa del monastero sia una Paola Cortellesi con le mutande dell’amante in testa e la monaca scopatrice una notevole Carilona Crescentini, che Calandrino sia un Kim Rossi Stuart stralunato e cattivo, che Michele Riondino ami, riamato, la vedova Kasia Smutniak, figlia di un Lello Arena cupo e vendicativo.

 

Che Jasmine Trinca faccia perdere la testa a un ricco nobile legato a un falcone, interpretato da Josafat Vagni, e che Riccardo Scamarcio salvi dalla morte la bellissima Vittoria Puccini, appena vista in tv come Oriana Fallaci, abbandonata dal marito debole e vigliacco perché appestata.

 

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Va detto però che il cast di nomi famosi del nostro cinema è diluito solo nei cinque episodi scelti dal Decamerone dai Taviani, mentre la cornice vede una serie di giovanette e giovanetti molto meno noti che funzionano benissimo sia singolarmente sia come coro. Possiamo citare tra questi i già emergenti Eugenia Costantini, Miriam D’Almazio, Fabrizio Falco, Melissa Bartolini, Ilaria Giachi e, soprattutto, la bravissima Rosabell Laurenti Sellers, che vedremo presto nella nuova serie di Game of Thrones.

 

Ora, è vero, che non tutti gli episodi sono riusciti alla stesso modo, e questo capitava anche al Decameron di Pasolini, anche perché dovevamo farci piacere l’idea del napoletano boccaccesco, ma dobbiamo riconoscere ai Taviani che sanno inquadrare, come i registi che abbiamo amato di più nello scorso secolo, gli occhi delle loro attrici e dei loro attori. Alla faccia dei Dardenne e di tutti i dardennisti non solo italiani, che seguitano a riprendere gli attori di nuca, qua abbiamo dei primi piani magnifici, soprattutto delle ragazze, penso per tutte a Vittoria Puccini, che qui è spettacolare, che ci riportano alla tradizione pittorica toscana.

 

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Come sanno inquadrare la campagna senese e le nuvole. Siamo di fronte a un film povero, molto lontano dal Decameron Pie di David Leland, kolossal erotico con Elisabetta Canalis e Tim Roth da 38 milioni di dollari, nonché ultimo sballatissimo film prodotto da Dino De Laurentiis, ma che è stato comunque messo in scena da due signori che sanno bene di cosa si sta parlando e cosa si sta riprendendo e perché. Un episodio del Decameron, hanno ricordato loro stessi, già figurava nel loro primo film, I fuorilegge del matrimonio.

 

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Perfino il loro Calandrino, qui interpretato a sorpresa da Kim Rossi Stuart, non è solo lo stolto che ci raccontavano a scuola in Toscana, e che nel Boccaccio di Bruno Corbucci, anche questo prodotto da De Laurentiis, venne affidato a un campione del “Rischiatutto”, il fiorentino Andrea Fabbricatore, quanto un personaggio che si rivelerà mostruoso per cattiveria e avidità una volta toccato da una pietra miracolosa. Uno stupido negativo, insomma, che rivelerà la cattiveria del mondo una volta che penserà di poter essere impunito. Come per Pasolini, e lì la chiave è ovviamente Boccaccio, è l’amore che ci farà ritornare la voglia di vivere.

 

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Ma qui non esiste il grottesco degli attori napoletani scelti da Pasolini, al massimo si arriva alla nostra comica più nota, Paola Cortellesi appunto, per ricordarci quanto tutte le donne siano toccate allo stesso modo dalla passione. Ma alle donne i Taviani affidano il compito maggiore di riportarci al desiderio della vita. Sono loro che dettano le regole della piccola comunità. Sono loro che affrontano i problemi maggiori, come il cibo.

 

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E saranno loro che decideranno di ritornare. Potrà non piacere a tutti, e certo non è un film compatto, riuscito e importante come Cesare deve morire, che aveva dalla sua la grande forza umana dei carcerati attori, ma questo Maraviglioso Boccaccio, oltre a aprirci a una stagione di riletture alte della nostra letteratura, dopo Martone con Leopardi e prima di Garrone con Basile, rivela grandi momenti di cinema e non pochi motivi di fascinazione. In sala dal 26 febbraio.

 

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