GOOGLE OSCURA VALLANZASCA - LE PAGINE WIKIPEDIA SU LUI E LA SUA BANDA RESTANO MA SI TROVANO SOLO CON ALTRE PAROLE CHIAVE - LO CHIAMANO DIRITTO ALL’OBLIO: MA C’È PURE UN DIRITTO A SAPERE LA STORIA!

1. IL DIRITTO ALL’OBLIO VA CONTRO LA STORIA

Luca De Vito per “La Repubblica

 

GoogleGoogle

Il diritto all’oblio contro il diritto all’informazione. A sollevare l’ultima polemica nella diatriba tra chi desidera vedere cancellato il proprio nome dai motori di ricerca e chi, invece, ricostruisce sul web la biografia di personaggi della storia e della cronaca, sono stati quelli di Wikipedia. Sul sito della Wikimedia Foundation, che gestisce l’enciclopedia online, sono state pubblicate le notifiche con cui Google ha fatto sapere di avere oscurato alcuni link a Wikipedia su determinate ricerche.
 

WIKIPEDIA WIKIPEDIA

Senza svelare il nome dei richiedenti, il colosso di Mountain View ha spiegato come per rispetto alla sentenza della Corte di giustizia europea che garantisce il diritto all’oblio (a seguito della quale Google ha ricevuto oltre 90mila domande di rimozione), almeno cinquanta pagine dell’enciclopedia hanno già subito questo trattamento.

 

Quarantasei appartengono alla Wikipedia olandese: tra queste compare più volte il nome del giocatore di scacchi Guido den Broeder, una riguarda la voce in inglese su Gerry Hutch, irlandese incarcerato negli anni 80, mentre una pagina rimanda a una fotografia del musicista Tom Carstairs che suona la chitarra. Due segnalazioni riguardano anche pagine italiane: quella del gangster milanese Renato Vallanzasca e quella della sua banda, la banda della Comasina.

Guido den Broeder

Guido den Broeder


Come spiegato nelle notifiche, la decisione di Google non ha comportato la scomparsa di queste pagine dal motore di ricerca: i cinquanta link sono “oscurati” solo quando l’utente inserisce il nome della persona che ha chiesto la rimozione. Le voci wikipediane, infatti, rimangono vive e vegete oltre ad essere ancora raggiungibili tramite il motore di ricerca, ad esempio utilizzando altre parole chiave che non contengano il nome di chi non vuole più essere associato alla storia, nella fattispecie, del bandito.

Gerry HutchGerry Hutch

 

Nel caso italiano, a inviare la richiesta non è stato Vallanzasca (così hanno spiegato i suoi avvocati, e in effetti digitando il nome del gangster il primo risultato è proprio quello di Wikipedia), ma più probabilmente qualcuno che non vuole essere associato alle vicende di quegli anni. Sul nome, però, da Google mantengono il più stretto riserbo, anche perché altrimenti sarebbe violato il diritti alla privacy dell’individuo secondo la decisione della Corte.


Dalla Wikimedia Foundation lanciano un allarme per la difesa della libertà della rete. «I risultati di ricerca accurati stanno scomparendo dall’Europa — ha dichiarato Lila Tretikov, informatica di origini russe e direttore esecutivo della fondazione — senza nessuna spiegazione pubblica, nessuna prova reale, nessun controllo giurisdizionale e nessun processo d’appello. Il risultato è un luogo in cui le informazioni scomode semplicemente scompaiono».

Tom CarstairsTom Carstairs

 

Parole a cui ha fatto eco Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, durante la conferenza annuale Wikimania che si è svolta a Londra: «La storia è un diritto umano. Io sto sotto i riflettori da un bel po’ di tempo, alcune persone dicono di me cose belle e altre cose brutte. Ma questa è storia e non userei mai un procedimento legale come questo per cercare di nascondere la verità. Credo che ciò sia profondamente immorale».


Anche Google aveva mostrato tutta la sua contrarietà alla decisione della Corte europea per bocca di David Drummond, chief legal officer dell’azienda californiana: «Non siamo d’accordo con la sentenza, è un po’ come dire che un libro può stare in una biblioteca, ma non può essere incluso nel suo catalogo. Ovviamente, però, rispettiamo l’autorità della Corte e facciamo del nostro meglio per attenerci alle sue decisioni».

VallanzascaVallanzasca

 

2. “GIUSTO IMPORRE UN LIMITE AL WEB MA ATTENZIONE ALL’EFFETTO CENSURA”

L.D.V. per “la Repubblica

 

Alberto Abruzzese, sociologo dei processi culturali e comunicativi dell’università Iulm di Milano. Quale diritto deve prevalere, quello all’oblio o quello all’informazione?

«La questione è complicatissima e per certi versi senza soluzione. Il punto è riuscire a costruire delle regole che siano in grado di tutelare il più possibile entrambe questi aspetti».


Quali sono i rischi?

VallanzascaVallanzasca

«Internet, per come si è sviluppata, ha cominciato a porre dei problemi che prima non esistevano. Di fronte ai casi di violenza, di diffamazione o di errata informazione, la rete diventa un moltiplicatore e lascia traccia nel tempo di cose che in alcuni casi possono non essere vere. Se dei limiti sono stati posti per tutti gli altri mezzi, non vedo perché non se ne debbano porre al web».

 

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Quindi la rete è pericolosa?

«No, ma se da una parte garantisce una straordinaria libertà, dall’altra è una forza gigantesca che può schiacciare».
 

Secondo lei la stretta imposta dalla Corte di giustizia europea può funzionare?

«Come tutte le regolamentazioni, anche questa nasce dall’idea di difendere chi subisce dei soprusi. E il “diritto all’oblio” è una bella frase che suona bene e con cui tutti a un primo impatto ci dichiariamo d’accordo: chiedere di essere dimenticati a volte può essere legittimo. Ma bisogna evitare l’effetto censura. Chi ha diritto all’oblio? Un criminale che ha commesso dei reati?».
 

ALBERTO ABRUZZESE ALBERTO ABRUZZESE

Da sociologo, come valuta il fatto che Internet impone la permanenza delle informazioni sul nostro conto nel tempo e lasciandole a disposizione di tutti?

«La rete ha cambiato il rapporto tra il soggetto e la propria identità. Finora si riusciva a modificarla e a mostrarsi agli altri per come si voleva. Adesso invece basta un semplice richiamo su un motore di ricerca per far riaffiorare cose che vorremmo dimenticare. E con cui però dobbiamo continuare a fare i conti».

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