enrico maria papes i giganti

NANI E GIGANTI - “OGGI IO NON SONO NESSUNO/ DOMANI SONO IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA” - ENRICO MARIA PAPES, BATTERISTA E FONDATORE DEI GIGANTI, RICORDA LA CENSURA PER IL BRANO “IO E IL PRESIDENTE”: ''FU CONSIDERATA COME UN VILIPENDIO. NELLO STESSO ANNO FU BANDITA "DIO E' MORTO" DEI NOMADI. PENSATE IN CHE PAESE VIVEVAMO" – "CANTAVAMO "METTETE FIORI NEI VOSTRI CANNONI". E TENCO DISSE A GABER: “I GIGANTI HANNO IL CANNONE, MA SPARANO A SALVE” – IL NOME DEL GRUPPO SCELTO PER “MEGALOMANIA” E I RIMPIANTI: “ABBIAMO SCIUPATO UN SACCO DI SOLDI..." - VIDEO

 

Walter Veltroni per il Corriere della Sera - Estratti

 

enrico maria papes i giganti

«Conclude il tema Enrico Maria Papes». Chi, tra quelli che hanno frequentato l’Italia in questi decenni, non ha mai sentito questa frase? Veniva detta, non cantata, in un brano musicale del 1966 che si classificò terzo al «Disco per l’estate». Ma quando si andava nei negozi di dischi — allora affollati come oggi sono i pub o i bar degli «apericena» — il 45 giri più ascoltato era proprio quello che si concludeva con la parte cantata da Enrico Maria Papes, batterista dei Giganti, uno dei gruppi più importanti di quella fase della musica italiana.

 

«Io avevo iniziato a suonare nel 1961 e le prime esperienze le avevo fatte in due gruppi già allora considerati musicalmente eversivi, quelli di Clem Sacco, di Ghigo e di Guidone, del Clan Celentano. Incontrai Checco Marsella, tastierista e voce fantastica, e Mino De Martino che suonava la chitarra. Poi si aggiunse il fratello minore di Mino, Sergio. Decidemmo così di costituire un gruppo che chiamammo, forse per megalomania, I Giganti.

 

 

(...)

Poi arrivò il Disco per l’estate del 1966 e la nostra vita cambiò. Per merito di una canzone, “Tema”, che sovvertiva molti canoni tradizionali. Intanto era fatta di quattro strofe diverse, cantate da ciascuno di noi, poi aveva delle introduzioni parlate, una cosa quasi blasfema. Musicalmente, il brano nasceva dall’idea di un nostro amico del Conservatorio, ma fu il testo a fare rumore. Per la sua struttura, più che per il suo contenuto. Per la mia voce da basso, che appariva in contrasto con la solarità delle altre, per quella parola, “Tema”, che parlava subito ai ragazzi di quel tempo, che, nel boom e con la scolarizzazione di massa, affollavano le scuole. Vendemmo un milione di copie di quel brano».

enrico maria papes i giganti

 

La critica impegnata non ha mai amato la musica dei Giganti, considerata troppo leggera e lontana dai canoni che la canzone d’autore e quella di protesta stavano assumendo. I Giganti furono anche accusati, sì accusati, di essere cattolici. Una versione moderata della musica ribelle, beat da famiglia, insomma. «Cattolici? Io non sono nemmeno credente, si figuri. In verità nel nostro primo 45 giri “Giorni di festa” cantavamo queste parole:

Ho deciso di andare a messa

Perché credo sia mio dovere

Penso proprio che andrò

Oggi è un giorno di festa

Perché sono felice

E voglio andare a dir:

“Prega per noi”.

 

Non mi chieda perché l’abbiamo fatto, non me lo ricordo. Forse perché all’inizio suonavamo nelle parrocchie e cercavamo di farci ben volere…».

I GIGANTI 3

 

Con Papes parliamo di una mattina del 1967, poco ricordata. Io ero, dodicenne, tra il pubblico di ragazzi che affollava il mitico teatro Sistina dove eravamo stati convocati da una rivista che uscì solo per uno o due numeri, prima di chiudere per sempre. Si chiamava, se non ricordo male, «Dopodomani». Quella mattina si sarebbero esibiti, davanti allo stesso pubblico, i Giganti e Claudio Villa, il reuccio. Appena Villa comparve sul palcoscenico fu subissato di fischi. In quel momento il popolare re della canzone melodica, uomo di sinistra da sempre, veniva identificato con il potere, con i genitori, con un mondo giurassico dal quale non si vedeva l’ora di separarsi.

 

Racconta Papes «Noi eravamo usciti per primi e avevamo avuto un grande successo, con il corredo di urla e svenimenti del tempo. Poi Villa non lo fecero cantare e lui venne nel nostro camerino a pregarci di accompagnarlo con degli stornelli romaneschi. Così riuscì a cantare. Erano due mondi che per una volta si lambivano ma erano definitivamente separati, per sempre.

 

enrico maria papes i giganti

Per noi era un momento d’oro. Eravamo andati a Sanremo con “Proposta”, sempre in quell’anno. “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”, era stata un’idea di Mino. La struttura del brano era simile a quella di “Tema” ma si sentiva più forte l’influenza di quegli anni: concepita come una sorta di documentario musicale, la canzone spaziava dalla condizione dei giovani operai: “Me ciami Brambilla e fu l’operari, lavuri la ghisa per pochi denari...” a quella di un pittore disoccupato che vende giornali “Dipingo soltanto l’amore che vedo... E alla società non chiedo che la mia libertà”, fino a un giovane in conflitto generazionale con i genitori : “Con mamma non parlo, col vecchio nemmeno”. 

 

Chi, tra i giovani di quel tempo, poteva non sentirsi chiamato in causa? Eravamo i giovani, avevamo i nostri dischi, i nostri giornali, il nostro modo di vestire. Eravamo un potere, eravamo un mondo. Arrivammo terzi a Sanremo, fummo il primo gruppo a salire sul podio. Era il festival della morte di Tenco. Giorgio Gaber una volta ci disse che Tenco gli aveva detto, a proposito della nostra musica: “I Giganti hanno il cannone, ma sparano a salve”.

 

enrico maria papes

Ci rendemmo conto che le cose cominciavano ad andare male quell’estate, stagione dominata sempre dal Cantagiro. C’era questa carovana di auto scoperte che si spostava da una città all’altra tra ali di folla che ci assediava, ci toccava, aspettava che ci affacciassimo alla finestra dell’albergo. Erano molti i complessi: I Dik Dik, I Camaleonti, I Primitives, I Nomadi... Ma il nostro brano fu censurato. Si chiamava “Io e il Presidente” e diceva, a un certo punto, “In un paese libero/ a me piace pensare che/ oggi io non sono nessuno/ domani sono il Presidente della Repubblica”. Fu considerata come un vilipendio.

 

Nello stesso anno fu bandita “Dio è morto” dei Nomadi. Pensi in che Paese vivevamo... Insomma “Io e il Presidente” non fu mai trasmessa, né in radio né in televisione. Mai, fino a oggi, una specie di fatwa per un brano francamente non eversivo. Da quel momento le cose per noi cominciarono a scivolare male. L’anno dopo, 1968, andammo a Sanremo con “Da bambino” cantata in coppia con Massimo Ranieri, allora giovanissimo. Era una bella canzone, ma il nostro pubblico non gradì.

 

Oggi qualsiasi cantante ha attorno manager, uffici stampa, media manager. Noi eravamo soli e non eravamo pronti per il successo che avevamo avuto con “Tema“ e con “Proposta”. Abbiamo sciupato un sacco di soldi, come tutti i gruppi di quel tempo ubriaco. Pensi che Sergio ed io litigammo quando dovemmo mettere in vendita il nostro bel furgone, con la scritta “Giganti”. Litigammo per stupide questioni di soldi e per orgoglio, non meno stupido.

 

Finimmo alle mani, unica volta in vita mia. Quando se ne è andato, era ancora giovane, io ero nella stanza di ospedale con la sua compagna. Non so se a lui facesse piacere, ma a me sembrò giusto essere con lui, mentre moriva. Noi Giganti ci siamo rimessi insieme varie volte, ma non funzionava più. C’è una cosa, però, della quale siamo molto orgogliosi. È un concept album sulla mafia che si chiamava “Terra in bocca”. Era del 1971, dopo due anni di separazione. Lo abbiamo eseguito, noi tre rimasti, al Premio Borsellino. Anche quello fu censurato, a lungo».

enrico maria papes i giganti

 

Chiedo a Enrico Maria Papes se ha conservato qualche cimelio, di quegli anni incredibili.

«Avevo qualche vestito, forse quelli bianchi di Sanremo, ma poi li ho dati a mio figlio e ora non so dove siano. La mia batteria Grace con la scritta “Giganti” l’ho venduta nel 1969 a uno in Veneto. Poi volevo ricomprarla ma non ne venivo a capo. Ognuno l’aveva ceduta a un altro. Fino a un negoziante di Vittorio Veneto. L’ho recuperata e ora è qui, con me. È tornata a casa, è tornata a vivere. Vede, noi siamo passati rapidamente dall’ombra alla luce e poi, con la stessa velocità, siamo tornati nel cono d’ombra. Dalle stelle alle stalle, si dice. Ma le stalle, non lo si dimentichi mai, sono luoghi in cui c’è vita, c’è calore».

 

I Giganti si sono sciolti nel 1968. Come molti di quei gruppi. Forse perché il «sessantotto», nel sessantotto, era già finito. Il vero «sessantotto» era stato in quegli anni sessanta, i più rivoluzionari, nella storia del costume e dei consumi culturali.

 

enrico maria papes i giganti

Ultimi Dagoreport

de luca manfredi schlein tafazzi conte landini silvia salis

DAGOREPORT - LA MINORANZA DEL PD SCALDA I MOTORI PER LA RESA DEI CONTI FINALE CON ELLY SCHLEIN. L’ASSALTO ALLA GRUPPETTARA (“NON HA CARISMA, CON LEI SI PERDE DI SICURO”), CHE HA TRASFORMATO IL PD DA PARTITO RIFORMISTA IN UN INCROCIO TRA UN CENTRO SOCIALE E UN MEETUP GRILLINO – NONOSTANTE LA SONORA SCONFITTA SUBITA NELLE MARCHE E IL FLOP CLAMOROSO IN CALABRIA, LA SEGRETARIA CON TRE PASSAPORTI E UNA FIDANZATA RESISTE: TRINCERATA AL NAZARENO CON I SUOI FEDELISSIMI QUATTRO GATTI, NEL CASO CHE VADA IN PORTO LA RIFORMA ELETTORALE DELLA DUCETTA, AVREBBE SIGLATO UN ACCORDO CON LA CGIL DI “MASANIELLO” LANDINI, PER MOBILITARE I PENSIONATI DEL SINDACATO PER LE PRIMARIE – IL SILENZIO DEI ELLY ALLE SPARATE DI FRANCESCA ALBANESE - I NOMI DEL DOPO-SCHLEIN SONO SEMPRE I SOLITI, GAETANO MANFREDI E SILVIA SALIS. ENTRAMBI INADEGUATI A NEUTRALIZZARE L’ABILITÀ COMUNICATIVA DI GIORGIA MELONI – ALLARME ROSSO IN CAMPANIA: SE DE LUCA NON OTTIENE I NOMI DEI SUOI FEDELISSIMI IN LISTA, FICO RISCHIA DI ANDARE A SBATTERE…

emmanuel macron

DAGOREPORT – MACRON, DOMANI CHE DECIDERAI: SCIOGLI IL PARLAMENTO O RASSEGNI LE DIMISSIONI DALL'ELISEO? - A DUE ANNI DALLA SCADENZA DEL SUO MANDATO PRESIDENZIALE, IL GALLETTO  È SOLO DI FRONTE A UN BIVIO: SE SCIOGLIE IL PARLAMENTO, RISCHIA DI RITROVARSI LA STESSA INGOVERNABILE MAGGIORANZA ALL’ASSEMBLEA NAZIONALE – PER FORMARE IL GOVERNO, LECORNU SI È SPACCATO LE CORNA ANDANDO DIETRO AI GOLLISTI, E ORA FARÀ UN ULTIMO, DISPERATO, TENTATIVO A SINISTRA CON I SOCIALISTI DI OLIVIER FAURE (MA MACRON DOVRA' METTERE IN SOFFITTA LA RISANATRICE RIFORMA DELLE PENSIONI, DETESTATA DAL 60% DEI FRANCESI) – L’ALTERNATIVA E' SECCA: DIMETTERSI. COSÌ MACRON DISINNESCHEREBBE MARINE LE PEN, INELEGGIBILE DOPO LA CONDANNA - MA È UN SACRIFICIO ARDUO: SE DA TECNOCRATE EGOLATRICO, CHE SI SENTIVA NAPOLEONE E ORA È DI FRONTE A UNA WATERLOO, SAREBBE PORTATO A DIMETTERSI, TALE SCELTA SAREBBE UNA CATASTROFE PER L'EUROPA DISUNITA ALLE PRESE CON LA GUERRA RUSSO-UCRAINA E UN TRUMP CHE SE NE FOTTE DEL VECCHIO CONTINENTE (LA FRANCIA E' L'UNICA POTENZA NUCLEARE EUROPEA E UN POSTO NEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL'ONU), COL PERICOLO CONCRETO DI RITROVARSI ALL'ELISEO BARDELLA, IL GALLETTO COCCODE' DI LE PEN, CHE NEL 2014 AMMISE A "LE MONDE" DI AVER RICEVUTO UN FINANZIAMENTO DI 9 MILIONI DA UNA BANCA RUSSA CONTROLLATA DA PUTIN...

antonio tajani edmondo cirielli

ALTRO CHE GOVERNO COESO: È GUERRA APERTA IN CASA! – IL PIÙ INCAZZATO PER L’INVESTITURA DI EDMONDO CIRIELLI A CANDIDATO DEL CENTRODESTRA IN CAMPANIA È ANTONIO TAJANI. IL SEGRETARIO DI FORZA ITALIA CONSERVA UN’ANTICA ANTIPATIA (RICAMBIATA) CON IL SUO VICEMINISTRO – E IL SEGRETARIO REGIONALE AZZURRO, FULVIO MARTUSCIELLO, MINACCIA GLI ALLEATI: “PRIMA ANCORA DI SEDERCI AL TAVOLO CON EDMONDO CIRIELLI, DEVE CHIEDERE SCUSA PER GLI INSULTI RIVOLTI A SILVIO BERLUSCONI E RIPORTATI NEL LIBRO ‘FRATELLI DI CHAT’” – TAJANI TEME CHE, CON CIRIELLI CANDIDATO, FDI SCAVALCHI, E DI PARECCHIO, FORZA ITALIA IN CAMPANIA, STORICO FEUDO AZZURRO...

tridico giuseppe conte matteo salvini occhiuto giorgia meloni calabria fico antonio tajani

DAGOREPORT! IN CALABRIA, COME NELLE MARCHE, SI REGISTRA LA SCONFITTA DI GIUSEPPE CONTE: HA VOLUTO FORTISSIMAMENTE LA CANDIDATURA DI PASQUALINO TRIDICO CHE NON HA PORTATO CONSENSI NÉ AL CAMPOLARGO, NÉ TANTOMENO AL M5S CHE HA PRESO GLI STESSI VOTI DEL 2021 - LA DUCETTA ROSICA PERCHÉ FRATELLI D’ITALIA HA UN TERZO DEI VOTI DI FORZA ITALIA, CHE CON LA LISTA OCCHIUTO ARRIVA FINO AL 30% - LA SORPRESA È LA CRESCITA DELLA LEGA, CHE PASSA DALL’8,3 AL 9,4%: MOLTI CALABRESI HANNO VOLUTO DARE UN PREMIO A SALVINI CHE SI È BATTUTO PER IL PONTE SULLO STRETTO - ORA LA BASE DEI 5STELLE E' IN SUBBUGLIO, NON AVENDO MAI DIGERITO L'ALLEANZA COL PD - LA PROVA DEL FUOCO E' ATTESA IN CAMPANIA DOVE IL CANDIDATO CHE CONTE HA IMPOSTO A ELLY E DE LUCA, ROBERTO FICO, NON PARE COSI' GRADITO AGLI ELETTORI DEL CENTROSINISTRA...    

giuseppe marotta giovanni carnevali

DAGOREPORT! GIUSEPPE MAROTTA STRINGE ANCORA PIÙ LE MANI SULLA FIGC. IN SETTIMANA SI VOTA LA SOSTITUZIONE NEL CONSIGLIO FEDERALE DI FRANCESCO CALVO, EX MARITO DI DENIZ AKALIN ATTUALE COMPAGNA DI ANDREA AGNELLI, E IL PRESIDENTE DELL’INTER STA BRIGANDO PER PORTARE AL SUO POSTO IL SODALE, NONCHÉ TESTIMONE DI NOZZE, GIOVANNI CARNEVALI, AD DEL SASSUOLO (MA C'E' ANCHE L'IDEA CHIELLINI) - IN CONSIGLIO FEDERALE SIEDEREBBERO COSÌ MAROTTA, CARNEVALI E CAMPOCCIA, IN QUOTA UDINESE MA LA CUI FEDE INTERISTA È NOTA A TUTTI. MILAN, JUVENTUS, NAPOLI E LE ROMANE RIMARREBBERO CON UN PALMO DI NASO…

giorgia meloni pro palestina manifestazione sciopero

DAGOREPORT – GIORGIA MELONI QUESTA VOLTA SBAGLIA: SBEFFEGGIARE LA MANIFESTAZIONE PRO PALESTINA È UN ERRORE DI CALCOLO POLITICO. IN PIAZZA NON C’ERANO SOLO I SOLITI VECCHI COMUNISTI IPER-SINDACALIZZATI O I FANCAZZISTI DEL “WEEKEND LUNGO”. TRE MILIONI DI PERSONE CHE IN TRE GIORNI HANNO SFILATO E MANIFESTATO, NON SI POSSONO IGNORARE O BOLLARE COME "DELINQUENTI", COME FA SALVINI. ANCHE PERCHÉ SEI ITALIANI SU DIECI SONO SOLIDALI CON IL POPOLO PALESTINESE – LA DUCETTA È LA SOLITA CAMALEONTE: IN EUROPA FA LA DEMOCRISTIANA, TIENE I CONTI IN ORDINE, APPOGGIA L’UCRAINA E SCHIFA I SUOI ALLEATI FILORUSSI (COME IL RUMENO SIMION, A CUI NON RISPONDE PIÙ IL TELEFONO). MA QUANDO SI TRATTA DI ISRAELE, PERDE LA PAROLA…