MACCHE' MIXER, MINOLI ERA UN WOOFER DI CRAXI - TRAVAGLIO IN THE SKY LANCIA IL MISSILE A SORA LATELLA CHE PROVA A RINFACCIARGLI L'INTERVISTA A GRILLO E PARLA DEI "GIORNALISTI CHE INTERVISTAVANO IN GINOCCHIO CRAXI" - “IL GIORNALE” PENSA A MENTANA. MA IL SITO DE "IL FATTO” PURGA IL COLPEVOLE: "CRAXI AL SUPERMERCATO, MINOLI ALLA CASSA" - INTANTO MINOLI AFFONDA GARIMBERTI CHE HA COLLABORATO A LUNGO SIA A "MIXER" CHE A "LA STORIA SIAMO NOI"…

Da Il Fatto Quotidiano.it

Oggi il Giornale si pone un cruciale dilemma circa l'intervista rilasciata da Marco Travaglio a Maria Latella su Sky Tg24. Ieri il vicedirettore del Fatto Quotidiano, a proposito della sua amicizia con Beppe Grillo, aveva tenuto a sottolineare la differenza tra lui e i giornalisti che "intervistavano in ginocchio Bettino Craxi" e poi erano stati sistemati in Rai. Il quotidiano di Sallusti si chiede a quale giornalista si riferisca Travaglio e insinua il sospetto che si possa trattare di Enrico Mentana. Intanto dalla rete abbiamo scovato un celebre video-spot elettorale del Psi, in cui Giovanni Minoli intervistava Bettino Craxi, durante le elezioni politiche del 1987. Location scelta: un supermercato.

Craxi e Minoli al Supermercato: http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/06/25/craxi-supermercato-minoli-alla-cassa/200303/
Craxi e Minoli in fabbrica: http://archive.org/details/1987_psi_minoliECraxiInFabbrica
Craxi e Minoli al chiostro: http://archive.org/details/1987_psi_minoliECraxiNelChiostro
Craxi e Minoli all'università: http://archive.org/details/1987_psi_minoliECraxiNelluniversita


2- LA POLITICA ARROGANTE HA PAURA DI AFFIDARE LA TV AI PROFESSIONISTI
Massimiliano Lenzi per "Il Tempo"

«C'è una grandissima ignoranza ed una grande paura nell'affidare la televisione ai professionisti della televisione, si pensa sempre che bisogna tenerli in qualche modo al guinzaglio».

Giovanni Minoli, ideatore e conduttore di Mixer, in passato capostruttura e direttore di Rai 2 ed oggi a «La Storia siamo noi», in questa intervista al Tempo parla della competenza in televisione - questa sconosciuta - ma anche dei timori della politica sui media e dà la sua ricetta per il futuro della tv pubblica.

Quella che lei chiama «la paura dei professionisti»: non sarà dovuta al Potere che ha la televisione? Al Quinto Potere?

«Naturalmente. Il potere che ha la televisione è l'elemento scatenante ma la strada percorsa è la più sbagliata di tutte perché si è visto che la politica ha perso con la televisione perché hanno vinto i conduttori dei talk show, non certo i politici che vanno ospiti nei talk show stessi. E quindi la modalità scelta dalla politica per controllarla è la più sbagliata di tutte perché chi fa la televisione vuole parlare con chi sa di televisione».

E chi la guarda? Anche chi la guarda, almeno a leggere i dati di ascolto che registrano una crescente disaffezione del pubblico per la tv generalista?

«In questi anni si è verificata una cosa molto semplice: in quindici anni di cambi di direttori generali, di presidenti - sto parlando ovviamente della Rai - con tre governi di centrodestra, due di centrosinistra, i palinsesti sono rimasti sempre gli stessi, a parte il ritornello Santoro sì, Santoro no. Il che significa che non si è mai parlato di televisione ma sempre e soltanto di poltrone. Ma di poltrone che poi non riescono ad esercitare il potere perché non hanno la necessaria competenza per farlo. Hanno l'arroganza ma non la competenza».

In questi giorni per le nomine nel consiglio di amministrazione della Rai sono arrivati centinaia di curriculum alla Commissione di Vigilanza ed al presidente Sergio Zavoli. Secondo lei non sarebbe corretto pubblicarli, per far sapere chi e quanti sono gli aspiranti candidati? Che competenze hanno?

«Secondo me sarebbe indispensabile. Così una persona, la gente, chiunque, può fare una valutazione del rapporto tra i curricula e le scelte che si terranno».

Un recente ricerca di Mediaset sulla fruizione della tv generalista in tempi di web e nuovi media indica che il 30% degli italiani la televisione nel 2012 la guarda sul computer: la crisi di pubblico della vecchia tv è dovuta alle nuove tecnologie o il problema di contenuti e competenze prevale e si lega ad una crisi profonda di creatività?

«C'è una crisi di creatività dovuta al fatto che le competenze non sono assolutamente rispettate. E quindi si fa una stanca ripetizione di prodotti sempre uguali, figli del circuito internazionale dei format. Lì c'è la responsabilità più grave, non di Mediaset che fa la televisione commerciale e fa quello che più gli conviene, ma della Rai che dovrebbe fare quello che è utile. E qui si innesca la contraddizione di fondo della Rai che è la sua modalità di finanziamento. Fino a quando non si scioglierà il nodo della modalità di finanziamento i dirigenti della Rai avranno sempre l'alibi del fatto che col solo canone non ce la possono fare perché siamo al 50 e 50».

Lei avrebbe una soluzione per superare questa dualità della tv pubblica?

«Certo. È molto semplice: basterebbe mettere il canone nella bolletta della luce, o nell'Imu o da qualche parte, per recuperare 400 - 450 milioni di evasione del canone e a quel punto sarebbe obbligatorio per i nuovi dirigenti, una volta rassicurati sul piano dei mezzi, rifare il patto con il Paese. Un patto che non avrebbe più come parametro di misurazione esclusivo l'audience ma la capacità di rappresentare le radici profonde del Paese perché nel mondo globalizzato i servizi pubblici devono raccontare le radici e tutte le modalità di narrazione che stanno attorno alle radici: dalla fiction al cinema, alle inchieste, ai documentari, all'informazione. Noi siamo diventati famosi nel mondo, siamo sopravvissuti grazie al made in Italy. Oggi ci vuole il made in Italy dello show business».

Vuole esportare il made in Italy della televisione?

«Esatto. Il cinema italiano nel secondo dopoguerra è diventato famoso nel mondo con il neorealismo. Nel 2012 occorre il made in Italy della tv».

Torniamo al canone Rai in bolletta: secondo lei oggi, con il clima di anticasta e di frustrazione degli italiani verso il pubblico gestito dalla politica, sarebbe possibile mettere una tassa nella bolletta della luce senza accrescere il malcontento della gente verso il peso fiscale?

«Ma non è una questione di pressione fiscale, il canone va pagato e chi lo evade, evade le tasse. Mica lo devi aumentare. Devi farlo pagare».

Per metterlo in bolletta serve una decisione politica: chi si prende una responsabilità del genere visto il momento?

«Io credo che Mario Monti, che ha messo la sua faccia sulle nomine alla Rai - e l'ha messa direttamente lui la faccia e in modo più forte di come ha fatto nelle altre cose - a questo punto dovrebbe dare alle persone che ha indicato e che manda a gestire la Rai gli strumenti necessari per farlo».

Non crede che il potere degli impresari di artisti, di giornalisti e di uomini di spettacolo, sia troppo forte nei palinsesti della televisione pubblica?

«Guardi, il potere ce l'ha chi se lo prende. Se gli impresari hanno troppo potere vuol dire che i dirigenti della Rai, per una ragione o per l'altra, per incompetenza, per convenienza, per utilità, gliel'hanno delegato».

Condivide la decisione di Bersani di indicare quattro associazioni a cui far scegliere i nomi di persone della società civile per il Cda Rai?

«Mi sembra una scelta davvero di chi non sapeva come fare ad uscire dal limbo di una posizione radicale che non era in grado di sostenere. Perché allora le associazioni sono mille, non sono solo quelle quattro. E ce ne sono tante altre rappresentative come loro o anche di più».

Minoli, che progetti ha per il futuro?

«Io sto facendo la storia, abbiamo vinto l'oscar mondiale come miglior progetto al mondo di divulgazione storica, ce l'hanno dato gli americani, credo che siamo su una buona strada e possiamo continuare lì. Una cosa posso dire...».

Quale?

«Il direttore di Rai 2 aveva proposta "La Storia siamo noi" in prima serata proprio grazie a questi exploit ma ho visto che un esimio collega come Paolo Garimberti (presidente Rai uscente, ndc), che ha collaborato a lungo sia a Mixer che a "La storia siamo noi", si vede che non era soddisfatto delle sue collaborazioni dopo averle esaltate in moltissime interviste».

 

 

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