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1. DAL ROCK ALL’AMBIGUITÀ DI GENERE, SI VESTIVA COME MARLENE DIETRICH E STRILLAVA COME LITTLE RICHARD, ADDIO A UNA LEGGENDA CHE HA CAMBIATO IL MONDO DEL XXESIMO SECOLO 2. ‘’I MIEI PANTALONI HANNO CAMBIATO IL MONDO’’, CONFESSAVA DAVID JONES, IN ARTE BOWIE – ESSÌ, PIÙ CHE IDEOLOGIE E COLPI DI PISTOLA, LA NOSTRA VITA È STATA SALVATA DAL ROCK 3. UN MANIACO POLI-SESSUALE: ORGE SELVAGGE CON LA MOGLIE E MICK JAGGER, INCONTRI “AMOROSI” CON LIZ TAYLOR, MARIANNE FAITHFULL E SUSAN SARANDON. SCOPAVA CON TUTTI

LAZARUS - IL VIDEO-TESTAMENTO DI BOWIE

BLACKSTAR - DAVID BOWIE - VIDEO

HEROES- DAVID BOWIE - VIDEO

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Ansa.it - Addio a David Bowie. Il Duca Bianco è scomparso a 69 anni, che aveva appena compiuto lo scorso 8 gennaio. Era malato da alcuni mesi. David Bowie è "morto oggi pacificamente sostenuto dalla sia famiglia dopo 18 mesi di battaglia contro il cancro": lo ha annunciato la famiglia della grande rockstar britannica sull'account Twitter ufficiale dell'artista. La famiglia chiede di "rispettare la sua privacy".

DAVID BOWIE DAVID BOWIE

2. L'INSAZIABILE VITA SESSUALE DI DAVID BOWIE Da http://www.dailymail.co.uk

Nel suo nuovo lavoro intitolato “Bowie”, Wendy Leigh si domanda: David Bowie è stato soltanto un avventuriero sessuale o un vero e proprio sesso-dipendente?

DAVID BOWIE DAVID BOWIE

Attraverso interviste con esperti del settore musicale, colleghi di lavoro, amici intimi, e le sue amanti, Leigh esplora l’avventurosa vita sessuale del suo soggetto - che notoriamente comprendeva orge selvagge con Mick Jagger e appuntamenti amorosi con Elizabeth Taylor. Sembra che solo dopo aver soddisfatto pienamente il suo vorace appetito sessuale, Bowie si sia sentito pronto a rinchiudersi nella vita tranquilla che adesso conduce.

 

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Leigh descrive la vita intima di Bowie e la sua prima moglie, Angie. “Erano famosi per tessere una rete sessuale attorno a chiunque stimolasse la loro fantasia”.

 

L'ex modella Angie ha lavorato anche per il produttore Lou Reizner, capo della Mercury Records, che ha contribuito alla ascesa Bowie come rock star. Leigh scopre che Reizner in realtà detestava Bowie dalla prima volta che l’ha incontrato, ma alla fine lo aiutò per paura che Angie potesse lasciare la casa discografica.

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A quel tempo, Bowie - un adolescente del sobborgo operaio di Bromley - era determinato a irrompere nella scena musicale di Londra.

 

Leigh descrive i primi anni di vita del cantante segnati da una madre emotivamente distante, un padre ambizioso per il suo successo e un fratello che ha trascorso gran parte della sua vita in un istituto mentale.

 

Ossessionato dal timore di soccombere alla malattia di suo fratello, il giovane David era implacabile nella sua ricerca verso il successo nel mondo della musica.

 

Secondo Leigh, Angie aveva una “strana capacità di portare a casa le ragazze dallo spirito più libero”. La coppia si sposò ed ebbe un figlio di nome Zowie, il 30 maggio 1970, nel periodo in cui Bowie stava sviluppando il suo personaggio Ziggy Stardust.

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Parlando con un giornalista Bowie ha insistito: “Sono gay e sono sempre stato.” Tuttavia uno degli amanti di Bowie, l’assistente Tony Zanetta, la pensava diversamente: “Quando eravamo a letto insieme, lui era più sensuale e narcisistico”, ha detto. “Per lui, si trattava di essere adorato… Non credo che il sesso contava per lui”.

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Bowie approfittò del suo status di rockstar per sperimentare liberamente groupie di entrambi i sessi. Cherry Vanilla, una ex star di Warhol, dice che egli fece l'amore con tutti i suoi collaboratori - uomini e donne - almeno una volta.

 

Quando la coppia si trasferì di nuovo a Londra, Leigh racconta che Angie creò intorno un “bozzolo sessuale”, nel disperato tentativo di trattenere il marito vicino. All’interno della casa vicino alla “King’s road”, a quattro metri di profondità, mise un letto ricoperto in pelliccia che chiamò “the pit”, la fossa. “Angie e David hanno fatto le orge più incredibili a Oakley St. Chiunque scopava con chiunque nella fossa”, racconta una fonte a Leigh.

 

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Bowie entrò in una spirale di dipendenza da cocaina, che a quanto pare amplificò il suo desiderio sessuale. Si dedicò a “fare sesso con più partner possibili”.

 

Leigh descrive anche come il chitarrista Slash aveva appena otto anni quando entrò in una stanza a casa e trovò Bowie nudo con sua madre, Ola Hudson.

 

Il cantante poi ha incominciato una relazione con Susan Sarandon, che durò tre anni, dopo un flirt con la vedova di Charlie Chaplin, che aveva quasi 20 anni più di Bowie.

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Ma il cantante sembrava rallentare e dopo poco incontrò la sua attuale moglie, la modella Iman, ed era quasi irriconoscibile come ex 'sex addict'. La figlia Alexandria Zahra Jones è nata nel 2000, e Bowie attualmente rimane a casa per prendersi cura di lei. In realtà, egli appare così raramente agli occhi dell'opinione pubblica, che alcuni lo chiamano un recluso.

 

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3. ‘’I MIEI PANTALONI HANNO CAMBIATO IL MONDO’’ – ESSÌ, PIÙ CHE IDEOLOGIE E COLPI DI PISTOLA, LA NOSTRA VITA È STATA SALVATA DAL ROCK

Ian Buruma per La Repubblica

 

«I miei pantaloni hanno cambiato il mondo» (dal documentario The Story of David Bowie, 2002). Che David Bowie abbia cambiato il modo di apparire di tante persone, negli anni '70, '80 e '90, è fuori discussione. Ha ispirato stilisti come Alexander McQueen, Yamamoto Kansai, Dries van Noten, Jean-Paul Gaultier. I suoi straordinari costumi di scena, dalle tute in stile Kabuki al travestitismo à la Weimar, sono leggendari. Ragazzi di tutto il mondo hanno cercato di vestirsi come lui, di apparire come lui, di muoversi come lui (con risultati, ahimè, piuttosto discontinui).

 

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Non a caso il Victoria and Albert Museum di Londra propone (fino all'11 agosto, ndr) la colossale mostra dei suoi costumi da scena, con in più video musicali, manoscritti con il testo delle canzoni, brani di film, opere d'arte, copioni, storyboard e altri materiali presi dal suo archivio personale. Oltre a tutto il resto, l'arte di David Bowie è fatta di stile, alto e basso, e lo stile è una faccenda seria.

 

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Il rock è innanzitutto una forma di teatro. Le rockstar inglesi in questo sono particolarmente brave, anche perché molte di loro hanno tratto ispirazione dalla ricca tradizione del teatro di varietà. Ma c'è anche un'altra ragione: poiché il rock and roll era nato in America, i musicisti inglesi spesso cominciavano scimmiottando gli americani. Anzi, peggio ancora: i ragazzi inglesi bianchi, specialmente negli anni '60, imitavano gli americani neri. E poi c'era la questione di classe: proletari inglesi che si atteggiavano a damerini aristocratici e giovani borghesissimi che ostentavano accenti cockney.

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E poi c'era l'ambiguità di genere: Mick Jagger che dimenava i fianchi come Tina Turner, Ray Davies dei Kinks che faceva la checca come la vecchia delle pantomime natalizie, David Bowie che si vestiva come Marlene Dietrich e strillava come Little Richard. Il rock, e in particolare il rock inglese, in certi momenti sembrava una colossale e sfrenata festa in maschera. E nessuno più di David Bowie, nessuno con così tanta immaginazione e così tanta audacia come David Bowie, ha interpretato il rock in questa maniera.

 

Come dice lui stesso: «Non concepisco l'idea di uscire sul palco in jeans e avere un'aria il più normale possibile di fronte a diciottomila persone. Insomma, non è normale!».

 

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Vestito come Marlene Dietrich


I costumi del "teatro rock" di David Bowie in mostra al Victoria and Albert sono di una bellezza esagerata. La tuta trapuntata e gli stivali di plastica rossi disegnati da Freddie Burretti per Bowie-Ziggy Stardust nel 1972. La mantellina tipo kimono chiazzata con il nome di Bowie in caratteri cinesi disegnata da Yamamoto Kansai per Aladdin Sanenel 1973. La surreale tuta a ragnatela con finte mani dalle unghie laccate di nero che solleticano i capezzoli, disegnata da Natasha Korniloff per il 1980 Floor Show del 1973.

 

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Il completo pantaloni e gilè neri disegnato da Ola Hudson per l'incarnazione bowiana del Duca Bianco nel 1976. E la redingote con una Union Jack deliziosamente anticata disegnata da Alexander McQueen nel 1997 (già esposta nella mostra Anglomania del 2006 al Metropolitan Museum di New York). E poi c'è il look nautico-perverso, la tuta in vinile nero "Tokyo Pop", il mantello da torero, gli stivali turchese eccetera, eccetera.

 

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L'immagine di Bowie era accuratamente studiata, non solo per le esibizioni dal vivo, ma anche per le copertine degli album: la foto in bianco e nero di Sukita Masayoshi con Bowie in posa da manichino sulla copertina diHeroes (1977); o Bowie steso su un divano di velluto azzurro come una pin-up preraffaellita, con un lungo vestito di raso disegnato dalla boutique Mr. Fish per The Man Who Sold the World (1971); o lo spettrale disegno di Guy Peellaert con un Bowie raffigurato come fenomeno da baraccone anni Venti per Diamond Dogs (1974).

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Tutte queste immagini furono create dallo stesso Bowie in collaborazione con altri artisti. Prendeva ispirazione da tutto quello che colpiva la sua fantasia: la Berlino di Christopher Isherwood degli anni Trenta, le dive hollywoodiane degli anni Quaranta, il teatro Kabuki, William Burroughs, i mimi inglesi, Jean Cocteau, Andy Warhol, le chansons francesi, il surrealismo di Buñuel e i film di Stanley Kubrick, in particolare Arancia meccanica, che con il suo miscuglio di cultura alta, fantascienza e minaccia latente gli calzava a pennello.

 

Artisti e cineasti spesso producono opere interessanti rifinendo la cultura popolare in opere di arte "alta". Bowie faceva il contrario: come spiegò una volta in un'intervista, saccheggiava l'arte alta e la portava giù in strada. Questo era il marchio distintivo del suo "teatro rock".

 

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Il gioco degli specchi


Ma la cosa davvero insolita di David Bowie, rispetto ad altre commedie rock, è la velocità fulminea dei suoi - per così dire - cambi di costume rispecchiati nei suoi cambiamenti musicali, dal ritmo martellante dei primi Velvet Underground alle dissonanze stridenti di Kurt Weill e alla disco beat della Filadelfia anni '70. La versatilità della sua voce, struggente in certe canzoni, virtuosistica in altre, ma sempre perseguitata da un senso di pericolo, lo aiutava a barcamenarsi fra diversi generi.

 

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Per apprezzare l'energia delle migliori esibizioni dal vivo di David Bowie bisognava essere lì, ma i bellissimi video realizzati dal cantante stesso insieme a una serie di cineasti di talento (e che la mostra del Victoria and Albert Museum in alcuni casi propone, con ottimi risultati) danno comunque un'idea del suo fascino teatrale.

 

Due dei più famosi fra questi video sono Ashes to Ashes (1980) e Boys Keep Swinging (1979), girati tutti e due da David Mallet. Nel primo Bowie interpreta tre ruoli: un astronauta, un uomo rannicchiato in una cella imbottita e un Pierrot tragico tormentato dalla madre.

 

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In Boys Keep Swingingappare invece nelle vesti di un rocker anni '50 e interpreta, travestito da diva hollywoodiana, tutte e tre le cantanti del trio di accompagnamento: due delle cantanti finiscono per strapparsi la parrucca, prese da una sorta di furia; una si trasforma in una figura materna vagamente minacciosa.

 

Un tratto comune in molti video di Bowie - e anche delle sue esibizioni dal vivo - è l'ossessione per gli specchi, a volte più specchi contemporaneamente: i suoi personaggi guardano se stessi che vengono guardati.

 

Non a caso in alcune sue prime interviste Bowie parlava spesso di schizofrenia: i ruoli che interpretava sul palco tracimavano nella sua vita personale. «Non riuscivo a decidere se ero io che scrivevo i personaggi o se erano i personaggi che scrivevano me».

 

Il sassofonista di Little Richard

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Ma chi è in definitiva David Bowie? Nasce nel 1947 con il nome di David Jones a Brixton, South London, ma cresce per lo più a Bromley, un sobborgo relativamente agiato e profondamente noioso. Molte rockstar, compresi Mick Jagger e Keith Richards, sono cresciuti in posti del genere, che il romanziere J. G. Ballard, che visse per quasi tutta la sua vita adulta a Twickenham, descrive come «posti molto più sinistri di quello che si immagina chi vive in città. La loro insulsaggine costringe l'immaginazione a esplorare terre nuove. Sei costretto a svegliarti al mattino pensando a un'azione deviante, solo per avere la sicurezza di essere libero».

 

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Come Jagger e Richards, il giovane David Jones si ridestò da quel torpore residenziale al suono del rock and roll. Ricorda: «A otto anni volevo essere un Little Richard bianco, o almeno il suo sassofonista». Per gran parte degli anni Sessanta, la carriera pop di David, variegata ma infruttuosa, non lasciava presagire il fenomeno teatrale che sarebbe diventato. Brillante lo è sempre sembrato, ma straordinario non lo era ancora. Ci fu qualche falsa partenza: lo spot di un gelato, una canzone scherzosa intitolata The Laughing Gnome.

 

Cambiò il suo nome in David Bowie, dalla marca dei coltelli Bowie, perché c'era un altro Davy Jones che era diventato famoso con il gruppo dei Monkees. Poi, verso la fine dei '60, incontrò due persone destinate a cambiargli la vita: Angela Barnett, una modella americana con cui poco dopo si sposò, e Lindsay Kemp, il mimo e ballerino inglese, con cui ebbe una storia: «La sua vita di ogni giorno era la cosa più teatrale che avessi mai visto» disse di lui Bowie.

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Sempre stato gay


La prima e unica volta che vidi David Bowie fu nei primi anni '70, in una discoteca per omosessuali a Kensington High Street, chiamata "Yours and Mine", al pianterreno di "El Sombrero", un ristorante messicano. Non ancora famoso in tutto il mondo, ballava intensamente sulle sue lunghe gambe ossute, i capelli tinti che ciondolavano. Era una presenza così insolita che quell'immagine mi rimase impressa, anche se l'occasione non aveva niente di particolarmente significativo.

 

Nel 1972 Bowie rilasciò un'intervista alla rivista pop inglese Melody Maker. L'intervistatore, Michael Watts, scriveva: «Il look attuale di David è quello di una checca, come un ragazzo meravigliosamente effeminato. È ostentatamente gay, con la sua mano moscia e il suo vocabolario stridulo. "Sono gay", dice lui, "e lo sono sempre stato, anche quando ero David Jones". Ma c'è un'ilarità sorniona nel modo in cui lo dice, un sorriso segreto agli angoli della bocca».

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Watts aveva colto nel segno. Anche quell'omosessualità ostentata era parte di una recita, una posa, come quando Bowie, in un concerto di quello stesso anno, fingeva di praticare una fellatio allo strumento del suo eterosessualissimo chitarrista, Mick Ronson. Era sicuramente una scelta audace per una rockstar, all'epoca, perché il rock era ancora un mondo quasi esclusivamente etero.

 

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Bowie fu uno dei primi a farlo, ma presto diventò una specie di moda, specie in Inghilterra, ostentare le leziosaggini di uno stile gay che stava rapidamente - dopo i moti di Stonewall - diventando démodé fra i gay veri. Il rock britannico negli anni Settanta, con i New Romantics e star come Bryan Ferry o Brian Eno, quest'ultimo tutto truccato e con un boa di struzzo, diventò molto camp, anche se quasi nessuno di questi uomini era realmente attratto da altri uomini.

 

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Ma anche se era una mossa studiata, per attirare l'attenzione, l'ostentata omosessualità di Bowie fu vista come un comingout, e fu di incoraggiamento e ispirazione per molti giovani confusi dell'epoca. L'uomo anomalo e isolato di un altro pianeta diventò un modello, quasi il leader di una setta. Nell'ultimo numero di Out, la rivista gay, diverse persone raccontano l'influenza che ha avuto Bowie sulla loro vita.

 

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La fama arriva dallo Spazio Bowie voleva la fama. Ma ci arrivò così in fretta che quasi ne restò ucciso. Lo descrisse in Cracked Actor, un affascinante documentario realizzato nel 1974 per la Bbc. Bowie, pallido, emaciato, col naso che si contraeva spasmodicamente per le eccessive ingestioni di cocaina, raccontava ad Alan Yentob, il suo intervistatore, degli orrori della fama. Era come stare «in una macchina quando qualcuno comincia ad accelerare come un pazzo, e non sei tu che controlli il volante [...] e non sei sicuro se ti piace o no [...] il successo era così».

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All'apice del successo, Bowie creò il suo personaggio più famoso, Ziggy Stardust, una sorta di alter ego. Nello show, Ziggy era un messia del rock venuto dallo spazio, che alla fine viene fatto a pezzi dai suoi fan in una bellissima canzone intitolata Rock ‘n'Roll Suicide.

 

La storia, tipicamente davidbowiana, è una fantasia tossico-fantascientifica-paranoide. La rivista Rolling Stone pubblicò una divertente conversazione con William Burroughs in cui Bowie cerca di spiegarsi: «La fine arriva quando l'infinito arriva. Loro in realtà sono un buco nero, ma io li ho trasformati in persone perché sarebbe molto difficile spiegare un buco nero sul palco»; e via di questo passo.

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Il problema è che Bowie si lasciò trasportare un po' troppo nel suo spazio siderale privato. Cominciò a pensare di essere Ziggy. Saggiamente cercò di ucciderlo sul palco, a Londra, nell'estate del 1973, quando annunciò che non sarebbe più stato Ziggy Stardust e che avrebbe sciolto la sua band, gli Spiders from Mars. Ma il personaggio di Ziggy continuò a perseguitarlo: «Quello stronzo non mi lasciò in pace per anni».

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Dev'essere un'esperienza sconcertante per un ragazzo di Bromley, o di Dartford, o di Heston, o magari di Duluth, Minnesota, essere un messia del rock. Forse più riflessivo della maggior parte dei musicisti rock, Bowie dedicò un mucchio di pensiero cupi alla sua fama. Ziggy, disse una volta, era il tipico profeta rock che aveva avuto tutto il successo possibile e non sapeva cosa farsene.

 

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In una bella canzone intitolata Fame (1975), cantava: "Fame makes a man take things over/Fame lets him loose, hard to swallow/Fame puts you there where things are hollow" (La fama fa prendere tutto a un uomo/ La fama gli dà mano libera, difficile da mandar giù/ La fama ti mette dove le cose non hanno significato). Cominciò a citare Nietzsche nelle sue interviste, la morte di Dio. Espressioni come homo superior fecero capolino nelle sue canzoni. La combinazione fra droghe e isolamento da rockstar produsse anche qualche idea piuttosto bislacca su Hitler, «una delle prime rockstar», e sulla Gran Bretagna che aveva bisogno di un leader fascista

 

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Insomma, Bowie aveva bisogno di prendersi un periodo di tranquillità, lontano dalle tentazioni del superstar-system. E se lo prese, più o meno, in quel di Berlino. Ammaliato dal fascino decadente dell'epoca weimariana, dall'espressionismo (è sempre stato un amante dell'arte) e dall'isolamento geografico della città, visse a Berlino per diversi anni, dopo il 1975, in relativo anonimato. Con l'aiuto di Brian Eno laggiù creò alcuni dei suoi album migliori, conosciuti oggi come la Trilogia di Berlino: Low, Heroese Lodger.

 

La sua voce diventò più profonda, con uno stile vagamente innaturale e cantilenante, che evocava gli anni Trenta o le chansons di Jacques Brel. I testi si fecero più cupi, di una malinconia inquieta. La musica, influenzata dal tecnopop tedesco, aveva il tamburellìo alienante del rumore industriale. E tute e kimono cominciarono a lasciare il passo a eleganti giacche doppiopetto. Bowie si era reinventato come romantico depresso. Le sue mosse diventarono meno istrioniche, la sua recitazione più suadente.

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L'uomo che porta a spasso i morti.


Ora, come invecchia una rockstar? Di solito svanisce pian piano. Qualcuna rimane incastrata in un ruolo e va avanti all'infinito: gli Stones sono ancora vivi e vegeti, anche se un po' traballanti, con una voglia da adolescenti. Qualcuno suona il vecchio canzoniere: Eric Clapton come un classico del blues, o Bryan Ferry come una specie di donnaiolo anni Cinquanta.

 

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Nel 2004 sembrava che David Bowie avesse fatto l'ultimo inchino e fosse uscito con eleganza dalla scena. Aveva avuto un attacco di cuore nei camerini, dopo un concerto. E sembrava che la storia fosse finita. Era sposato da una decina d'anni con la modella somala Iman. Avevano una figlia. Vivevano a New York. Bowie faceva il padre di famiglia, dipingeva, aiutava la figlia a fare i compiti, viaggiava a Firenze per vedere i suoi adorati pittori del Rinascimento, andava nelle librerie a cercare qualcosa da leggere. Sembrava proprio che il messia del rock alla fine si fosse messo a riposo.

 

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E poi, colpo di scena, quando nessuno se lo aspettava Bowie ha fatto un altro album. È stato annunciato a gennaio, il giorno del suo sessantaseiesimo compleanno. Sul suo sito è spuntato il video di una delle canzoni, Where Are We Now?, e l'album, The Next Day, per un periodo limitato è stato scaricabile gratuitamente. Bowie si è reinventato per l'ennesima volta? Sta interpretando un altro ruolo ancora? Ma ha bisogno di farlo? Sì e no. La musica di The Next Day, con il suo ritmo duro, quasi implacabile, sembra qualcosa che avrebbe potuto essere scritta negli anni Ottanta. Gli va riconosciuto che non prova a spacciarsi per giovane. Il tono dell'album è intriso di malinconia, denso di ricordi.

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Where Are We Now?


È uno sguardo introspettivo sui giorni di Berlino: "A man lost in time/Near Ka-DeWe/Just walking the dead..."
("Un uomo perso nel tempo/ vicino a KaDeWe/ che porta a spasso i morti..."). Nel video, la faccia di Bowie ancora una volta guarda in uno specchio, ma non c'è nessuna ombra di maquillage. È la faccia di un uomo di sessant'anni, ben conservato e ancora bello, che non nasconde le rughe e la pelle cascante.

 

Il famoso Costume del coniglio degli anni Settanta Il famoso Costume del coniglio degli anni Settanta

È un album estremamente professionale, con qualche melodia che rimane impressa. È il lavoro di un uomo che sembra tranquillo e soddisfatto di sé. Non assume più pose. È un lavoro dignitoso, maturo. Ma è rock and roll? Ma soprattutto: ha importanza? Forse Bowie ha spinto questa forma d'arte ai suoi limiti estremi e il rock sta diventando come il jazz, un genere che ha perso l'energia grezza della sua gioventù ed è entrato ormai in una venerabile vecchiaia

 

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