IO SONO LA MIA FICTION! (MI AUTOSCATTO, QUINDI ESISTO) - SE PRIMA NON ERAVAMO NESSUNO OGGI SIAMO FACCE DA “SELFIE”, CARNE DA HASHTAG E DA ‘LIKE’ SU FACEBOOK

Annalena Benini per "il Foglio"

Dopo che l'Oxford Dictionary ha certificato che la parola dell'anno, quella più in sintonia con lo spirito del tempo, è "selfie" (autoscatto con un telefono o con una webcam e di solito postato su un social network, oppure, in casi border-line di estrema timidezza, condiviso con una o più persone via chat o email), è diventato più chiaro che il mondo è diviso in due: quelli del selfie e quelli che con la propria faccia non sanno che farci.

Quelli a cui non viene mai in mente, mentre mangiano, parlano, accarezzano il gatto, incontrano un amico, stanno provando un vestito, piangono, aspettano qualcuno al binario tre, di prendere il telefono dalla tasca, metterlo leggermente sopra la testa, fare una smorfia, un segno con le dita e scattare.

Sembra incredibile, ma anche questo pezzo di mondo senza autoscatti esiste, probabilmente sta pensando che il selfie nell'Oxford Dictionary è il segno della decadenza assoluta e va quindi rassicurato: si tratta solo dell'Oxford Dictionary Online, quello del linguaggio quotidiano, e se nei prossimi anni dovessimo assistere all'impallidire del selfie, la parola selfie verrà cancellata senza pietà. Ricompariranno le cartoline illustrate con il francobollo, i telefoni a gettone e i ritratti a olio.

Adesso, però, che cosa c'è di più immediato, gratificante, veloce, facile e pieno di grandi speranze che autoscattarsi in cima a una montagna, seduti a una scrivania, davanti a un piatto di maccheroni e dire: ciao, sono qui, come sto? Parlami di me.

Prima non eravamo nessuno, adesso siamo almeno un autoscatto, siamo la faccia che abbiamo deciso di essere, quello che vogliamo mostrare: un sorriso, una spalla, l'aria triste oppure felice, seduttiva oppure assorta, e poiché autoscattarsi significa anche essere, la maggior parte delle volte, da soli, ci sono persone che hanno studiato modi sofisticati per camuffare i selfie, nascondere il braccio allungato, simulare una presa di distanza, fingendo così di avere un fotografo adorante e in grande confidenza sempre a disposizione.

Ma in generale il senso del ridicolo è stato completamente superato, rimosso: quando guardiamo un autoscatto, non necessariamente di un quindicenne, non pensiamo più che l'autoscattato ha dovuto sporgere il braccio, magari in mezzo alla strada, o sotto la Tour Eiffel, o sotto la doccia, o a letto appena sveglio, e ha fatto quella faccia da selfie, stringendo un po' le guance, tirando indietro la pancia, è rimasto fermo per qualche secondo per accertarsi di essere sufficientemente ironico e divertito e dopo aver scattato (mai una sola volta) ha controllato, con una certa impazienza, scelto il selfie migliore, cancellato le foto con la fronte lucida e ha cambiato umore, rabbuiandosi, se non si è sentito abbastanza rappresentato da se stesso, cioè dal proprio autoscatto, e dall'entusiasmo di chi lo ha ricevuto e commentato.

I critici del selfie, gli spaventati sociologi, dicono che non c'è nessuna ironia in questo modo di comunicare, ma solo una smania di complimenti, pollici alzati, condivisioni, un narcisismo ossessivo e con il braccio reso più muscoloso dallo sforzo di tenerlo sempre alzato (molto richiesti i bagni dei ristoranti, per quella bella luce soffusa).

Non è chiaro, però, se senza selfie diventeremmo più generosi e cureremmo di più la nostra anima (anche il Papa è entrato in un selfie di un gruppo di ragazzi a San Pietro e ha sorriso a quel telefono alzato con naturalezza), forse rischieremmo soltanto meno incidenti, evitando di autoscattarci mentre guidiamo in autostrada con l'hashtag #drivingselfie.

 

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