‘’il nome del figlio’’ di francesca archibugi

LA VERSIONE DI MUGHINI – “QUANTO LI INVIDIO QUESTI SCRITTORI (FRANCESCO PICCOLO) O REGISTI CINEMATOGRAFICI (FRANCESCA ARCHIBUGI) CHE, DOPO 30 ANNI, SI ACCORGONO CHE QUELLI DI SINISTRA SONO UN PO’ STRONZI”

Mail di Giampiero Mughini a Dagospia

 

Caro Dago, quanto li invidio questi scrittori o registi cinematografici che prendono oggi così tanti (e meritati) applausi per il fatto di riconoscere che la buona parte della sinistra italiana dell’ultimo trentennio produceva stronzaggini bell’e buone.

MUGHINIMUGHINI

 

Ho visto con piacere l’ultimo film di Francesca Archibugi, lì dove il personaggio dell’intellettuale di sinistra duro e puro - interpretato da Luigi Lo Cascio - becca quanto a simpatia e attendibilità un 0-6,0-6, 0-6 dal superlativo Alessandro Gassman, un tipo che nella vita pensa a fare soldi e a bere gran vini e che durante una cena tra amici si mette in tasca il suo interlocutore inventandosi che il proprio figlio lo chiamerà “Benito”, e non sappiamo bene se in onore del Duce o invece del protagonista di un romanzo dello scrittore americano Herman Melville.

 

francesco piccolofrancesco piccolo

Da come racconta nelle sue interviste, la Archibugi a cene di quel tipo ha preso parte tutta la sua vita. Tutta la sua vita, mi pare, i suoi commensali erano gente di una sinistra rappresentata nelle sue infinite sfumature. “Io e Francesco Piccolo abbiamo messo in scena tic e riflessi di persone che conosciamo bene” ha raccontato la Archibugi a Malcolm Pagani.

 

francesca archibugi foto di iannone 620x436francesca archibugi foto di iannone 620x436

Racconta il suo panico negli anni Settanta, quando prendeva il bus e temeva che da un momento all’altro arrivasse “un agguato fascista” (in realtà gli agguati arrivavano da tutt’e due le parti, e i morti erano cittadini di tutt’e due le parti). Racconta che quando alcuni delinquenti brigatisti trucidarono nel 1985 a Roma l’economista Ezio Tarantelli, colpevole di aver voluto alleviare la portata inflazionistica degli scatti della scala mobile sui salari, qualcuno dei suoi “compagni” mormorava “Sì, tremendo, però…”.

 

Ecco se al me stesso del 1985 si fosse presentato qualcuno a usare quel linguaggio in morte di Tarantelli, di certo sarebbe volato via dalla finestra sospinto da una mia pedata. Perché qui sta il punto: se scoprire l’acqua calda della stronzaggine di tanta parte della sinistra oggi, oppure scoprirlo trent’anni fa e meglio ancora se prima. Sono due cose molto diverse.

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Qualcuno ha rimbrottato la Archibugi perché in una scena del film compare, risposto su un divano, il titolo di un recente e premiatissimo libro di Francesco Piccolo, “Il desiderio di essere come tutti”, un romanzo in cui l’autore ammette a trent’anni di distanza che negli Ottanta aveva avuto ragione Bettino Craxi, non Enrico Berlinguer.

 

Lo scrive uno che come la Archibugi è di ceppo comunista dalla testa ai piedi, uno scrittore e un intellettuale che a me sta molto simpatico, e anche se quest’ultimo suo libro non è certo dei migliori. Ma poco importa, quel libro ha il vento in prua. Il vento della sinistra che esalta se stessa nel correggersi e ravvedersi. E purché resti indiscutibile che sono loro i migliori, sono loro quelli che scandiscono le tappe del sentir nazionale, i momenti in cui è lecito chiamare pane il pane.

‘’il nome del figlio’’ di francesca archibugi.15‘’il nome del figlio’’ di francesca archibugi.15

 

Non so se appartenga alla stessa genia la scrittrice siciliana Nadia Terranova, autrice del recente “Gli anni all’incontrario”, in cui c’è una coppia di ragazzi siciliani dei Settanta che chiamano la loro figlia “Mara” in onore di Mara Cagol, una aspirante terrorista che si ebbe una pallottola mortale da forze dell’ordine che la stavano braccando. La Terranova dipinge il protagonista del suo racconto come un tragico stronzetto, niente a che vedere con quella gran puttanata della “guerra civile” esaltata ancora di recente da Erri De Luca. Auguri al romanzo della Terranova, non un gran che ma di cui mi piace lo spirito.

marisela federici francesco piccolomarisela federici francesco piccolo

 

O forse tutto questo arriva troppo tardi. Bisognava scrivere di stronzetti e stronzaggini al momento, in quella giuntura tra Settanta e Ottanta in cui esplose in Italia la sottocultura che legittimava la violenza di sinistra, e questo perché il fine giustifica i mezzi. Che ne pensano oggi quelli che negli anni Ottanta partecipavano ai cortei rumorosi e aggressivi contro il taglio dei quattro punti di scala mobile, la gran guerra che Berlinguer dichiarò a Craxi?

 

Che ne pensano oggi quelli che aggredirono intellettualmente il socialista Carlo Ripa di Meana per avere organizzato la “Biennale del Dissenso”? Che ne pensano quelli che dicevano “Tarantelli, sì, però…”? Che ne pensano quelli che per decenni hanno reputato che tutti i “non comunisti” erano degli “infedeli” degni dei maggiori insulti? Chi di loro ammette di essersi sbagliato e chiede perciò scusa all’umanità”?

 

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Ps. A un festival dell’Unità dei secondi anni Settanta cui ero stato invitato, mi rivolsi a uno dei presenti dicendogli di non chiamarmi “compagno”, che sarei stato felice se mi avesse chiamato “amico”, a mio avviso una dizione molto più vera e importante. Un mio amico seduto in prima fila temette che mi avrebbero picchiato. Non avvenne. Solo che io avevo assolutamente ragione. “Amico” quello sì, un amico ti modella la vita; “compagno” invece non vuol dire niente, è solo retorica e si spegne appena è spenta la luce di un’epoca e delle sue ossessioni.

 

 

GIAMPIERO MUGHINI

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