1-SIETE CALDI? DOMANI ALLE 18 PARTE IL CAMPIONATO PIÙ POVERACCIO DEGLI ULTIMI 10 ANNI 2- E “REPUBBLICA” ESULTA: VIVA L’ITALIA IN BOLLETTA, FINALMENTE LA SERIE A NON È PIÙ IL REGNO DEI “RICCHI E SCEMI” D’EUROPA. VENDUTI I CAMPIONI, SCARICATE LE VECCHIE GLORIE ESOSE, TAGLIATE LE ROSE, L’ETÀ MEDIA DEI GIOCATORI È SCESA DA 27,5 A 25,8 ANNI. IL CAMPIONE PIÙ CONTESO DELL’ESTATE È ITALIANO, MATTIA DESTRO (21), E PRENDERÀ ‘SOLO’ 1,5 MLN L’ANNO, RISPETTO AI 12 CHE COSTAVA IBRA E CHE NESSUNO PAGHERÀ PIÙ 3- E “IL FOGLIO” FA IL CONTROPELO AL “NEOPAUPERISMO PALLONARO” CHE ELIMINA IL VIL SPRECO DI DENARO. BENE, MA CHE SUCCEDERÀ QUANDO LE SQUADRE SARANNO ACCUSATE DI FAR GIOCARE GENTE INESPERTA E PRENDERANNO CALCINCULO NELLE COPPE?

Maurizio Crosetti per "la Repubblica"

Il calcio salvato dai ragazzini? Stavolta forse ci siamo, più per necessità che per virtù. Il campionato della grande crisi parte sabato (ore 18 Fiorentina- Udinese, 20,45 Juventus-Parma), e parte più giovane: età media 25,8 anni, contro i 27,5 di appena dodici mesi fa. È una cifra importante perché inverte una tendenza che durava da oltre un decennio: l'infausto periodo in cui la serie A ha speso sempre più e si è ringiovanita sempre meno. Un anno fa di questi tempi, il Milan era la squadra più vecchia d'Europa: 30 anni di età media. Oggi, dopo cessioni e dismissioni, i rossoneri sembrano quasi dei bimbi: 26,1 anni, persino meglio della Juve tricolore (26,2).

L'ultima nazionale di Prandelli, sconfitta dall'Inghilterra tra applausi d'incoraggiamento, sembrava la foto di classe del liceo: eppure è da quei volti che bisogna ripartire. La memoria del tifoso va tarata su nuovi parametri e nuove facce. Perché anche le grandi squadre si stanno levando un bel po' d'anni, non solo le provinciali che puntano sul vivaio. E se il Pescara è la squadra più giovane del campionato (età media 23,8) mentre il Chievo è la più vecchia (28,8), seguita dalla Lazio (28,7) e dal Napoli (28,3), la gioventù è ormai un'idea da scudetto: Juve e Milan "ventiseienni", ancora meglio l'Inter (25,9) e soprattutto la Roma (24,2): a ben guardare è un doppio segno di Zeman, nel Pescara che lascia e nella Roma che trova.

Nel 2011-2012, la serie A era il secondo torneo più vecchio d'Europa, peggio di noi solo Cipro. Oggi, invece, si può dire che tutte le squadre abbiano almeno un ragazzino al quale affidarsi. Molti di loro sono già titolari o stanno per diventarlo, anche perché parecchi ultratrentenni se ne sono andati, quasi sempre strapagati, lasciando posti liberi. Gli sceicchi sono gli altri, quelli veri, e non è detto che sia un male. Esiste una "spending review" pure in campionato, anche se forse ci siamo mossi un po' tardi. Da noi, comunque, i campioni stranieri non vengono, e se possono se ne vanno: non ce li possiamo più permettere.

E se un ventunenne come Fabio Borini va dalla Roma al Liverpool per 18 milioni di euro, se un talento luminosissimo come Marco Verratti, 20 anni, passa dal Pescara al Paris Saint Germain, cioè dalla B italiana a un colosso europeo che ha in mente di vincere tutto, molti loro colleghi rimettono in equilibrio queste dolorose anomalie. L'uomo mercato dell'estate 2012 non è un brasiliano e neppure un inglese, ma un ragazzo di 21 anni che si chiama Mattia Destro e vale 16 milioni: ha giocato nel Siena, è stato riscattato dal Genoa, giocherà in prestito oneroso nella Roma. E lo volevano in tanti, dalla Juve all'Inter.

Italiani o stranieri, purché con meno di 25 anni: la regola sembra questa. I nomi sono tanti, alcuni già affermati, altri in attesa di esserlo. Non passeranno inosservati Lorenzo Insigne (21 anni, Napoli) e Ciro Immobile (22 anni, Genoa), e neppure Manolo Gabbiadini (21 anni, Bologna). Non deluderanno Astori (25, Cagliari) né Schelotto (23, Atalanta), e neppure Andrea Poli, il regista (23 anni) appena tornato dall'Inter alla Sampdoria allenata da Ciro Ferrara, ex tecnico dell'Under 21, altra gioventù anche tra chi insegna calcio, un po' come Stramaccioni all'Inter.

Ma per essere davvero nuovi, bisognerà dare più spazio ai cosiddetti "club-trained players", come li chiama l'Uefa. Si tratta dei calciatori dai 15 ai 21 anni che abbiano giocato almeno per tre stagioni nel loro club di appartenenza: in Spagna sono il 24,7 per cento, in Italia appena il 7,4 per cento, e va da sé che anche in questa graduatoria siamo agli ultimi posti. Tuttavia, in attesa del campionato l'elenco delle novità è corposo e comprende talenti sicuri come Fabbrini (22 anni, Udinese), El Shaarawy e De Sciglio (ventenni del Milan), Asamoah (24, Juventus), senza dimenticare che un veterano come Sebastian Giovinco ha appena 25 anni, e il suo ritorno alla Juve è attesissimo.

Ritrovarsi meno ricchi e dover rincorrere la chimera del fair-play finanziario sono due motivi dell'inversione di tendenza: la serie A è schiacciata da due miliardi e mezzo di debiti (più 14 per cento rispetto al 2011), è ancora in parte sporcata dallo scandalo delle scommesse e continua a tenersi in piedi grazie ai diritti televisivi (560 milioni solo da Sky). Se non trova risorse nei vivai, è destinata ad un'eclisse progressiva. Senza Ibrahimovic (20 milioni), Thiago Silva (42) e Lavezzi (30), il campionato avrà pure perso fascino e un po' di peso specifico a livello tecnico, ma il Milan ha raggiunto il pareggio. I giovani sono una risorsa, un'occasione da sfruttare bene.

E poi costano meno: la serie A 2012-2013 ha già tagliato il 15 per cento di stipendi rispetto alla passata stagione, apprestandosi a chiudere il mercato con un attivo globale di 13 milioni di euro; si pensi che i nababbi inglesi hanno un disavanzo di 230 milioni, anche se possono contare su 3,7 miliardi di euro dalle tivù fino al 2016. In quanto a debiti, però, non li batte nessuno, un po' come in Champions League. Invece la Liga spagnola, sebbene ricchissima di fenomeni, è a un passo dal fallimento.

Nell'ultimo mercato italiano, 169 giocatori sono stati ceduti a una cifra complessiva di 664 milioni di euro, a fronte di un risparmio sugli ingaggi pari a 495 milioni. Di sicuro non siamo più i "ricchi scemi" d'Europa, forse perché non siamo più ricchi e basta. La classifica di spesa all'ultimo mercato è stravinta dal Paris Saint Germain (la proprietà sta in Qatar) con 140 milioni di euro, davanti al Chelsea (80). La Juve, cioè il club che in Italia ha speso di più, è a 46 miliardi, una decina in più della Roma.

Le "rose" della serie A sono più giovani e smilze: Berlusconi ha preteso solo 22 giocatori in prima squadra, e ha dichiarato di essere stufo di spendere una cinquantina di milioni a stagione per il suo Milan. L'abbassamento dell'età media equivale poi a una netta sforbiciata del monte-ingaggi. Il calciatore più pagato del campionato era Ibrahimovic, con i suoi 12 milioni di euro netti all'anno: partito lui, in cima alla classifica salgono Buffon, Sneijder e De Rossi con 6 milioni, tantissimi, ma pur sempre la metà dello svedese. E si tratta di contratti che non verranno più avvicinati da nessuno.

Gli altri ricconi della serie A sono Totti (5,2 milioni), Milito (4,5), Pato (4) e Pirlo (3,5). Nessuno di loro, come si noterà, è un ragazzino: storie sportive e stipendi fanno ormai parte del passato, al limite di un presente sempre più breve. In confronto, la giovane stella Mattia Destro guadagnerà nella Roma un milione e mezzo all'anno più i bonus, non una miseria ma una cifra in linea con i tempi del nostro calcio. Tempi più poveri di denari, ma forse non meno ricchi di possibilità.


2- PASSEGGIATA PREVENTIVA NELLA NUOVA SERIE A SNOBBATA DAL FANTACALCIO
Beppe Di Corrado per "Il Foglio"

Prendi l'elenco delle rose di tutte le squadre di serie A e comincia: portieri, difensori, centrocampisti, attaccanti. Chi mi prendo quest'anno al Fantacalcio? Silenzio. La pochezza del nostro pallone si chiude in una sera tra amici: una copia della Gazzetta dello Sport aperta a pagina 21. Basta mettere il dito sul primo attaccante di tutta la lista: Elvis Abbruscato, costo 13 fantamilioni.

Tredici per uno che in serie A ha fatto al massimo due gol. Il Fantacalcio spiega il pallone spesso meglio degli allenatori, dei calciatori, dei direttori sportivi e dei giornalisti di calcio. E' lo specchio che riflette ciò che siamo: mediocri, in recessione di talenti e di personaggi. Chi è che ha voglia di riunire i propri sodali football addicted in una sera d'estate alla vigilia del campionato per farsi una fantasquadra in cui il massimo della vita è Di Natale? Pizza, birra, Gazza e poi il vuoto. Una depressione unica. Un anno fa ti scannavi in un'asta milionaria per Ibrahimovic. Scontato, sì.

Poi provavi gli altri: merce umana da trattare con entusiasmo, con la speranza che il nuovo acquisto della squadra X fosse il calciatore giusto. Uno che costa poco e segna tanto. Sapete come funziona il Fantacalcio, no? Ci sono diverse varianti, ma in linea di massima tu hai a disposizione un capitale e devi allestire la tua squadra rimanendo in quel budget: 23 giocatori, in tutto, e se qualcuno vuole lo stesso calciatore che hai scelto tu si va all'asta. Più spendi per un elemento, meno soldi ti restano per gli altri.

Ecco. Vai allora: tutti su Ibra, poi arriva quello che punta su Destro e magari vince lui. Il problema è che qui, adesso, non c'è materiale. Dove vai? Chi prendi? Col massimo rispetto per Totò Di Natale, miglior cannoniere italiano dell'anno scorso e di quello prima, siamo nel sottobosco pallonaro. Senza soldi e senza idee, tutti vittime della potenza economica degli altri paesi, o meglio di quei quattro o cinque club che hanno fatto il vero calciomercato in queste settimane. Tutti orfani dei vecchi che hanno tirato la volata in questi anni: rimane Francesco Totti. Punto.

Il Fantacalcio lo quota 27 fantamilioni, uno sproposito se confrontato con quello che può dare. E' l'altra dimostrazione di ciò che è la serie A: un campionato Calimero, un calcio in contrazione dei consumi. Senza volti, senza storie. Un'emorragia che non si ferma. Non è normale ricambio, né di qualità né di generazione. E' una specie di smobilitazione unica che ci rende modesti. Un album delle figurine mancanti: mi manca, mi manca, mi manca. Non c'è Ibra, e vabbè. Non c'è Thiago Silva. Non c'è Ezequiel Lavezzi. Per tutta l'estate li hanno chiamati "top player", la surreale categoria dei più forti del mondo ai quali spesso vengono assegnati anche improbabili nomi: può mai essere un top player Fernando Llorente dell'Athletic Bilbao?

Siamo seri, dài. Vale poco più di un Matri o un Pazzini, vale meno di un Vucinic o di un Milito. Non è uno che può riempire il vuoto che lascia Ibrahimovic. Il problema però non è neanche questo. Perché Zlatan lo cedi e stop, spesso è più un affare venderlo che
acquistarlo. Il problema è che il pallone italiano s'è liberato di Verratti e di Borini: ragazzi che non costano nulla e che forse sono veri campioni. Ma non dovevamo diventare più sobri e puntare sul talento dei nostri ragazzi? Ci hanno distrutto l'anima per anni con la boiata del Barcellona, un modello che non è un modello. Convinti che fosse il sistema da imitare ne abbiamo preso il peggio: il Barça fece scappare senza neanche provare a trattenerlo Cesc Fàbregas.

Lo lasciò andare praticamente gratis in Inghilterra, nell'Arsenal, dove è diventato uno dei più forti giocatori del mondo e da dove il Barcellona se l'è ripreso spendendo 50 milioni di euro. Bravissimi, come no. Inseguendo questo schema, con la colossale bufala della cantera, con la retorica del "i-nostri-campioni-ce-li-alleviamoin-casa", il Barça ha illuso gli altri. L'Italia c'è cascata. Via i campioni e via anche i potenziali campioni. Quando le casse dei nostri club saranno un po' meno vuote di adesso, non rimpiangeremo Ibra, ma proprio i Verratti e i Borini: cercheremo di andarceli a riprendere come ha fatto il Barcellona con Fàbregas. Vale anche per Balotelli, ceduto perché siamo incapaci di gestire un fenomeno matto. Comincia un campionato mediocre non perché non ci sono campioni, ma perché è diminuito il talento.

Vedrete, tra un po': comincerà la folle rincorsa nostalgica al vecchio che ha mollato o per soldi o per stanchezza o perché messo alla porta. Avremo le pagine dei giornali e i cori delle curve piene di rimpianti allucinanti: Nesta che ha scelto il crepuscolo americano (Impact), Gattuso che ha cominciato a ringhiare in Svizzera al Sion, Seedorf che si è lasciato attrarre dai soldi del Botafogo. Poi c'è Inzaghi che ha preferito tentare la carriera di allenatore dei giovani piuttosto che chiudere altrove. Poi Zambrotta, un altro dei congedati, che è in attesa di sistemazione. Poi, ovviamente, Alessandro Del Piero.

Sarebbe stato molto peggio se fosse andato via Ramírez del Bologna. Uno che abbiamo preso dal nulla e che è cresciuto in serie A: lo stavano per cedere al Southampton, squadra appena promossa nella Premier League inglese. Non agli sceicchi o agli emiri padroni del pal lone contemporaneo, ma a un club che vale più o meno il Bologna stesso. L'operazione non s'è fatta perché gli inglesi non riuscivano a dare le garanzie economiche adeguate. Ma per l'Italia, però, il giocatore era fuori. Ceduto, andato, venduto, senza che una sola squadra di serie A abbia pro vato a rilanciare e senza che nessuno si sia indignato. E' la nostra maledizione, questa: guardare indietro e mai in avanti. Rimpiangeremo le vecchie glorie e non i ragazzi che non abbiamo tenuto per quattro spiccioli illudendoci che tanto ne troveremo degli altri.

IL NEOPAUPERISMO PALLONARO

Così adesso passa la bella retorica del "campionato salvato dai ragazzini". L'ha scritto Repubblica: "Si può dire che tutte le squadre abbiano almeno un ragazzino al quale affidarsi. Molti di loro sono già titolari o stanno per diventarlo, anche perché parecchi ultratrentenni se ne sono andati, quasi sempre strapagati, lasciando posti liberi. Gli sceicchi sono gli altri, quelli veri, e non è detto che sia un male. Esiste una ‘spending review' pure in campionato, anche se forse ci siamo mossi un po' tardi. Da noi, comunque, i campioni stranieri non vengono, e se possono se ne vanno: non ce li possiamo più permettere (...). Ma per essere davvero nuovi, bisognerà dare più spa zio ai cosiddetti ‘club-trained players', come li chiama l'Uefa. Si tratta dei calciatori dai 15 ai 21 anni che abbiano giocato almeno per tre stagioni nel loro club di appartenenza: in Spagna sono il 24,7 per cento, in Italia appena il 7,4 per cento, e va da sé che anche in questa graduatoria siamo agli ultimi posti".

E' il neopauperismo pallonaro. Bizzarra anomalia della critica sportiva italiana: trovare affascinante la povertà sapendo che non riguarda i conti, ma il talento. Vale la pena ripeterlo. E' di questo che si parla, non del monte ingaggi che è stato abbattuto. Perché poi ci vuole onestà intellettuale: se si fa il tifo per i baby che costano poco, poi non si può dire che il Milan e l'Inter sembrano squadre in dismissione perché non hanno più voglia di entrare in concorrenza sul mercato con chi spende decine e decine di milioni. Non si può dire a Berlusconi e Moratti che sono presidenti a fine giro.

Bisogna essere coerenti: ci piace questo pallone senza facce famose? Può essere, ma allora godiamoci la nostra mediocrità senza inseguire le ambizioni di successi internazionali. Il pauperismo pallonaro è soltanto un'arma, è questa la verità: lo sponsorizzano adesso perché fa chic, ma poi verrà rinfacciato presto.

Adesso Andrea Stramaccioni è un simbolo: quattro mesi fa era un agnello sacrificale. Non c'era un solo giornale e una sola firma dello sport che lo supportava: il più gentile lo definiva un allenatore a scadenza. Immediata. Siamo un paese grottesco, il calcio non è la causa, ma la conseguenza: il campionato mediocre parte con la giustizia sportiva sempre più sommaria. Non c'è un personaggio che sia uno. Siamo ridotti ad aggrapparci a Zeman, nella speranza che sia più interessante quello che farà vedere la sua Roma sul campo di quanto farà lui davanti ai microfoni.

Ci vantiamo di aver abbassato l'età media delle nostre squadre, poi però vedrete quanti allenatori saranno accusati di far giocare gente troppo inesperta. Se usciremo presto dalle coppe europee, troveremo la responsabilità nella mancanza di investimenti, nella giovinezza dei nostri calciatori. E il modello Barcellona? Sarà dimenticato. Il Fantacalcio serve a tenere tutti incollati alla realtà: abbiamo perso classe, fantasia, forza. Stoffa, quindi. Tenuti in vita da De Rossi, amici. E poi da quello che viene: sbarbatelli a caccia di qualcosa. Prima ce li dimenticavamo, ora li esaltiamo.

Se vogliamo giocarcela con i nostri ragazzini almeno dobbiamo avere il coraggio di supportarli, di credere in loro, di non scaricarli alla prima occasione. Quello che purtroppo molti si preparano già a fare, nel nostro più classico stile da straccioni delle idee. Ci siamo, questo conta. Non se ne può più di stare senza calcio, senza gol, senza azioni. Stasera niente pizza, né Gazzetta. Siamo mediocri e infelici, invidiosi degli altri. Però per fortuna il campionato comincia: non si prevede bello, né affascinante, né spettacolare. E' solo meglio di niente. Una consolazione sufficiente a metterci in pace per qualche tempo. Quando un pallone rotola qualcosa accade. Sicuro.

 

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