
NESSUN ARTISTA FRANCESE HA AVUTO IL CORAGGIO DI SUONARE ALLA RIAPERTURA DEL “BATACLAN” E COSÌ CI HA PENSATO STING: “DOPO IL CONCERTO HO SAPUTO CHE GLI ‘EAGLES OF DEATH METAL’ NON SONO STATI FATTI ENTRARE. C'ERANO STATE PAROLE GROSSE TRA LORO E GLI ORGANIZZATORI. SICURAMENTE A CALDO, DOPO LA STRAGE, AVRANNO DETTO COSE FORTI”
Carlo Moretti per “la Repubblica”
I proprietari del Bataclan l'hanno chiamato una settimana fa, perché nessuno degli artisti francesi se la sentiva di suonare per il concerto in memoria delle vittime della strage dello scorso anno. Sting ha accettato subito: «Parte del mio lavoro è guarire, far sentire meglio la gente, dare gioia, in qualche modo educare».
Così, di ritorno in Europa per la promozione del nuovo album 59th & 9th, uscito venerdì scorso, l' ex Police ha messo a disposizione la sua band e il locale parigino ha potuto riaprire le porte al pubblico.
«È stato un concerto difficile», dice subito Sting; è il primo pomeriggio in un albergo alla moda di Milano, ha la faccia rasata di fresco, sembra si sia appena svegliato. Paletot di lana grigio e maglia a girocollo, è pronto a raccontare: «È stato difficile soprattutto riuscire a bilanciare il rispetto per le famiglie delle vittime e per le vittime stesse, ma sono contento di aver celebrato la riapertura di un locale in cui c'è un pezzo del mio passato, la prima volta ci suonai nel 1979».
Dice che la musica può guarire, pensa di esserci riuscito?
jesse hughes degli eagles of death metal
«La serata si è aperta in modo sobrio, ho chiesto un minuto di silenzio prima di cominciare a suonare, ed è stato intenso: il silenzio è molto più della semplice assenza di rumore, è una forma di preghiera e di meditazione profonda».
Dal nuovo disco ha voluto cantare "Inshallah".
«La strage è stata perpetrata da una piccola minoranza di persone che per caso si definivano islamici, questo non deve togliere nulla alla bellezza della cultura e della lingua araba. "Inshallah" è una bellissima parola: di rassegnazione, di coraggio, di speranza. Per me significa anche solidarietà».
Gli Eagles of death metal non sono stati fatti entrare.
eagles of death metal al bataclan poco prima degli attacchi
«L'ho saputo dopo il concerto, c'erano state parole grosse tra loro e gli organizzatori, mi è dispiaciuto, li avrei incontrati volentieri. Sicuramente a caldo, dopo la strage, avranno detto cose forti, forse anche un po' folli».
Il suo nuovo disco a tratti ricorda lo stile dei Police.
«I Police sono nel mio dna: dei Police ero il cantante, il bassista, l'autore, l'arrangiatore. La cosa principale per me, nella musica, è la sorpresa: negli ultimi dieci anni ho fatto dischi diciamo esoterici, che davano soddisfazione alla mia curiosità. Stavolta ho voluto fare qualcosa di più diretto, che è la forza pulsante dell' album, ma ci sono anche canzoni riflessive».
Un disco che racconta anche l'età che avanza, come suggerisce il brano "50,000"?
«Beh, le mie canzoni arrivano dal mio subconscio ma hanno a che fare anche con la realtà: ho 65 anni, sono un nonno, un marito, un cittadino, e sono preoccupato per ciò che accade nel mondo. È un album particolare perché interpreto, come se fossi un attore, dei personaggi. Il protagonista di 50,000 mi somiglia: una rockstar che sta invecchiando e fa un bilancio della sua vita di fronte a grandi folle, sempre sotto ai riflettori, uno che si è drogato, si è anche sentito immortale, e poi ha abbracciato una filosofia, ritrovandosi di fronte alla sua mortalità, che è dove mi trovo ora».
jesse hughes davanti al bataclan
L'ha scritta anche pensando ai tanti musicisti scomparsi negli ultimi mesi?
«Certamente è stato un anno nefasto, molto duro, per ultimo ci ha lasciato Leonard Cohen, vuol dire che è una professione pericolosa (dice stemperando con un sorriso, ndr). C' è un bimbo in ognuno di noi che guarda a queste icone culturali pensandole immortali: David Bowie, Prince... non è razionale, eppure ci crediamo».
"One fine day" parla dei cambiamenti climatici. Cosa pensa della decisione di Trump di rompere i patti internazionali sul controllo delle emissioni?
«Sono inglese, anche se vivo a New York, e non ho votato in America. Sono rimasto come tutti sorpreso dell' esito del voto ma a questo punto è evidente che un'intera classe operaia negli Usa si è sentita ignorata dal governo, hanno perso il lavoro ma anche la loro identità, è stata una reazione contro l'establishment, molto simile alla Brexit. Non credo che Trump sarà in grado di mantenere le sue promesse, non potrà tornare all'industria del carbone, non potrà risollevare la produzione manifatturiera, ma renderà più ricchi i miliardari».
Cosa pensa del secondary ticketing e del caro-biglietti?
«Non è corretto, sia per i fan sia per gli artisti. Forse per risolvere il problema si potrebbe concedere solo un biglietto a testa».
Non pensa che anche gli artisti guadagnino troppo?
«Sì è vero, vengo pagato somme spropositate per ciò che faccio, ma questa è la legge della domanda e dell' offerta. Fosse per me lo farei anche gratis, come ho fatto l'altra notte a Parigi».