1- IL NUOTO SPREME, IN PISCINA SI INVECCHIA IN FRETTA E NON ESISTE LIFTING PER STARE DIETRO ALLE SEDICENNI CHE BUTTANO GIÙ RECORD DEL MONDO CON LA STESSA FACILITÀ CON CUI BEVONO COCA COLA. FEDERICA PELLEGRINI RESTA GIÙ DAL PODIO DEI 400 SL E LONTANA DAI SUOI POSTER. E DALLE POMPE MEDIATICHE CHE L’HANNO VISTA PRIMEGGIARE 2- A 23 ANNI LA RAGAZZA VENETA PARLA Già DA EX: ”MI SERVE UNA PAUSA. STACCO UN ANNO” 3- COSì RASSEGNATA COME FARà OGGI A TUFFARSI IN UN 200 STILE LIBERO INDEMONIATO? 4- IERI PERÒ LA BELLA E GLACIALE FEDERICA HA FATTO QUASI CINQUE SECONDI SOTTO IL SUO RECORD. UN TONfO CHE SIGNIFICA CHE QUEST'ANNO NON HA AVUTO LA TESTA SOLO IN ACQUA

1- MAIL
Parlando con un allenatore di nuoto mi dice: il record della Pellegrini non è stato battuto ieri dalla francese medaglia d'oro. Però Federica ha fatto quasi cinque secondi sotto il suo record. Significa che quest'anno non ha avuto la testa solo in acqua.
Non è un reato. Quando si è giovani si desidera anche fare altro nella vita. E' un diritto per chiunque.
Alessandra Sestito

Giulia Zonca per "la Stampa"

Il nuoto spreme, in piscina si invecchia in fretta e non esiste lifting per stare dietro alle sedicenni che buttano giù record del mondo con la stessa facilità con cui bevono Coca Cola. Federica Pellegrini resta giù dal podio dei 400 sl e lontana dai suoi poster.

A 23 anni parla da ex e non è la sconfitta a stupire, come lei stessa ricorda: «Mi è capitato tante volte in carriera». No, quel che stravolge non è vederla battuta ma capire che non è furiosa, che non ha voglia di spaccare il mondo per reagire alla disfatta. Si è spenta: «Il nuoto è l'amore della mia vita però logora».

Manca la motivazione per tuffarsi in un 200 indemoniato. Oggi inizia la seconda gara, la sua passione, la distanza in cui è uscita fuori ai Giochi del 2004, quando era lei ad avere 16 anni, è la sfida che la libera, che la scatena e adesso sembra solo un'altra fatica da affrontare. Non c'è rivincita nelle parole di una ragazza abituata a vivere con il cronometro in mano: quando i tempi non tornano finisce il mondo.

Per lo meno finisce la piscina, si esaurisce l'acqua, l'energia e tutti i successi vengono risucchiati in un vortice. Riuscire a starne fuori è estenuante e dall'espressione di miss record, una capace di andare oltre il limite stabilito, spesso da lei, ben nove volte, esce solo la fatica: «Lo sport è fatto così, diciamo questa banalità trionfale». Le banalità non erano esattamente il suo forte.

«Mi serve una pausa», invece si riparte e si sente lo sforzo che costa in ogni singolo gesto. Le mani tormentano gli occhialini, tre Olimpiadi sono tante in uno sport che centrifuga muscoli e cervello. Servirebbe una plastica al morale per sentirsi più fresca e crederci ancora.

Le unghie non sono dipinte, la resa inizia prima del tuffo. Federica Pellegrini ripete Pechino: quinta nei 400 metri e purtroppo stavolta non è una sorpresa. La stagione storta, i tempi che non tornano, le altre che volano e lei a rincorrere. Ci ha provato anche nel momento della verità solo che il ritmo non è cambiato: «Fa male ammetterlo ma non ne avevo più».

Ha sempre detto di essere pronta, giurato di non avere preoccupazioni, di non sentirsi sotto pressione o in ritardo sulle avversarie e si dice delusa, stupita di un tempo mediocre ma non sembra convinta già dalla presentazione. Uscire per prima le scoccia, è il posto delle outsider e lei è abituata alle corsie da protagonista, alle entrate scenografiche. Ai Mondiali si è presentata con i cuffioni da rapper, ciondolava e saltellava dietro il blocco invece qui ripete il rituale senza crederci: lo spruzzo d'acqua, le mani che fanno ruotare la cuffia, il pugno al petto e quella faccia un po' così, l'espressione di chi sa di aver bisogno un miracolo.

Ogni campione si fida della sua esperienza, spericolato e indifferente ai segnali esterni, lei ha il record del mondo, viene da un doppio titolo mondiale, soprattutto ha una certa confidenza con i salti mortali quindi le tenta tutte. Parte cauta per non strappare, tiene la calma quando scattano le favorite solo che quando accelera invece di migliorare arretra. Il resto del mondo si muove più veloce di lei e scoprirlo non mette neanche paura. Toglie le forze. Intorno aumentano le frequenze e Pellegrini va in affanno, passa da seconda a terza, da terza a sesta e persino nello sprint finale, che è sempre stato il suo forte, non riesce a spremere nulla. Rimonta una piazza scarsa e deve sfiancarsi per riuscirci, quinto posto: ultima fermata.

Vince chi aveva il miglior tempo dell'anno, Camille Muffat in 4'01"45, segno che alla fine il ranking mondiale qualcosa conta, dietro l'australiana Schmitt (4'01"77), un'altra che è andata forte tutta la stagione, e terza l'idolo di casa, Rebecca Adlington (4'03"98). Pareva in crisi ed è risorta. Pellegrini resta appesa alla boa che divide le corsie, frustrata. Può solo fissare il podio a distanza ed è uno sguardo nostalgico.

Nel 2008 lo stesso risultato le scatenò una voglia di rivincita da record del mondo, stavolta il ricordo dei suoi alti e bassi smuove solo una smorfia: «Magari tra un paio d'anni avrò un'altra fase up. L'anno di riposo che avevo già progettato capita a fagiolo. Non riesco più a tradurre i tempi che faccio in allenamento in gara. Qualcosa non va e non sto dando la colpa al tecnico anzi me la prendo tutta io».

Non sembrano le parole di una che oggi si tuffa nella sua gara preferita, scendere dal piedistallo fa sempre male: «Certo non mi lancio nei 200 con uno spirito trionfale. Non sono demotivata altrimenti non sarei venuta a Londra e non sono neanche provata dalla sconfitta, ho perso talmente tante volte... quel che mi fa star peggio è aver fatto tanta fatica senza tradurla in un risultato. Deprimente».

Pensare ai 200 senza aver voglia di azzannarli le fa quasi venire da piangere, deve deglutire, sbattere gli occhi. È un momento, qualche secondo e la forza che ci vuole per ricacciare indietro il pianto si trasforma nell'unica goccia di energia: «Non posso credere che si sia vinto in quel tempo, 4'01"45 non è mostruoso, è ottimo però io credevo di poter gareggiare proprio su quei cronometri. La paura se mai era che le rivali andassero sotto. Mi è arrivata davanti pure la Friis che fa i 400 da un anno. Non è possibile. Il nuoto è l'amore della mia vita però logora». E il sorriso è ironico: «Mi spiace molto, mi aspettavo di lottare».

L'Olimpiade non è finita, ma Federica fatica a rientrarci ed è un inedito. Le disfatte l'hanno sempre spinta all'impossibile, in questi Giochi avverte la fatica: «Ha perso anche Phelps, non so se è un cambio generazionale, di certo i veterani sono stanchi. Io sono abbastanza giovane da potermi prendere una pausa e ripartire. Se voglio». Ci mette persino il dubbio, quasi si sorprende di averlo detto e ritratta, «non credo che riuscirò a stare senza nuoto».

Però non sembra un'idea improvvisa, deve averci già pensato. Altrimenti si sarebbe dipinta le unghie. ono tornati a cadere i record del nuoto, addirittura tre in due giornate di gare. E stavolta i costumoni non c'entrano niente, nessuna alchimia in neoprene. Ecco la vera rivoluzione. Ye Shiwen è l'apripista, sabato ha fatto crollare il muro dei 400 misti donne fermando il cronometro a 4'28"43, non succedeva da quattro anni, dalle Olimpiadi di Pechino 2008, che qualcuno corresse così veloce nella specialità.

Con buona pace di Stephanie Rice, l'australiana titolare del precedente primato. Si consoli: quando la tecnologia trasformava i nuotatori in siluri, il suo tempo non avrebbe resistito tanto. Il nuoto era una catena di montaggio di imprese. Imprese di plastica.

Ma non sono soltanto i cinesi a correre, nell'era post-costumoni. Ieri nel libro dei guinness sono finiti una statunitense, Dana Vollmer, la prima donna nella storia a scendere sotto i 56 nei 100 metri farfalla, tenuto conto che finora nessuna aveva fatto meglio della svedese Sara Sjostrom (56"06 a Roma 2009, anno di grazia dei primatisti); e il sudafricano Cameron van der Burgh, nei 100 metri rana, la gara nella quale è affondato Scozzoli. Un tempone: 58"46, tre anni fa l'australiano Brenton Rickard si era fermato a 58"58, ed è persino ovvio ricordare dove. A Roma naturalmente.

Proprio così, nell'edizione italiana dei Mondiali la storia non rimase soltanto sullo sfondo, con i monumenti che tutti ci invidiano. Fece un tuffo in piscina, la storia, grazie a nove record mondiali, una messe incredibile, alla quale nessuno si sottrasse. Dal tedesco Biedermann (26 luglio, 400 stile libero) al cannibale americano Phelps (1 agosto, 100 metri farfalla), furono addirittura nove i primati, uno tirava l'altro, vincere non bastava più.

La tecnologia aveva spinto il nuoto più in là della sua progressione fisiologica, aziende come la Speedo avevano creato un business incredibile, costringendo la concorrenza a una pazza rincorsa a base di poliuretano e altre sostanze studiate in laboratorio. Si parlava di superbody, non di atleti super, la terminologia richiamava la Formula 1 anziché la fatica spiccia, a volte disumana, dei nuotatori. Gommatura, ecco la parola chiave, più eri gommato più andavi veloci, soprattutto nelle distanze brevi, quelle su cui la fatica incide meno.

Roma 2009 ha rappresentato lo spartiacque, persino l'esitante federazione del nuoto si è accorta che bisognava tornare indietro, riavviare la macchina del tempo e soprattutto dei tempi. Il 7 gennaio 2010 i superbody vengono banditi, non si passa ai bikini ma il doping tecnologico smette di essere il tema più dibattuto in questo sport. E non sarà un caso se la decisione viene anticipata di una settimana da un record senza costumone, quello di Lochte nei 200 misti. Sta nascendo l'anti-Phelps, anche come modello di nuoto più umano, senza l'epica nè le estreme conseguenze che il Kid di Baltimora ha rappresentato a Pechino nel 2008, con i suoi 8 ori gommati.

«Non è il costume a fare il nuotatore, semmai l'opposto», ha ricordato con un pizzico di malizia Lochte, alla vigilia delle gare di Londra. I tre record di questi Giochi gli danno in qualche modo ragione, arrivano da Paesi diversi, storie diverse, rispecchiano un talento al di sopra di ogni sospetto tecnologico e auguriamoci anche non tecnologico. Ma paradossalmente dimostrano che i costumoni hanno avuto solo un effetto acceleratore sul progresso del nuoto, che gli allenamenti, la tecnica, il talento hanno un peso imprescindibile.

E che la soglia del tempo minimo non è stata ancora raggiunta e chissà se lo sarà mai. Per comprendere la svolta, basti pensare che nel 2011, la stagione dopo l'abolizione dei costumoni, è stato registrato un solo record, quello di Sun Yang nei 1500 metri maschili (14'34"14). È come se il nuoto si fosse concesso una sorta di anno sabbatico, in attesa di adattarsi ai nuovi materiali e a una nuova leva di campioni. Perché in fondo il vero salto di qualità è proprio il ricambio generazionale. E in un Paese popoloso come la Cina, con una disciplina sportiva al limite della vessazione, la corsa al primato diventa inevitabile. Una forma di droga, legale, anche questa.

 

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