IL “PESTIVAL” DEI SINISTRATI - AL SALONE DEL LIBRO L’ELETTORE COINCIDE COL LETTORE (MA LA DESTRA, IN TEMI DI LIBRI, NON ESISTE)

Pierangelo Buttafuoco per "Il Foglio"

Certo, non ci sono i nove milioni di visitatori della Fiera del Libro di Teheran, ma dieci file di quasi tre quarti d'ora ciascuna per comprare il biglietto d'ingresso (malgrado la pioggia) sono un bellissimo segnale di ciò che è ancora oggi il Salone del Libro di Torino: un appuntamento perfino scontato, quasi un Festival di Sanremo, che però serve come il pane, specie in questa Italia dove le librerie chiudono e la gente precipita nell'analfabetismo.

Certo, tutto si ripete: si replica nell'abitudine dei soliti volti. Davanti allo stand Feltrinelli si consuma il rito firma-copie per "ZeroZeroZero". C'è Saviano e tutta una ressa di credenti intorno a lui che neppure un Apostolo può sognarsela una cosa così. Il libro redime e la cocaina, ormai, se ne scappa via starnazzando: "E' arrivato Roberto, ho finito di lavorare!".

Un piccolo pedaggio al luogo comune si paga volentieri se poi, con i gran soldi ricavati col Dan Brown della Camorra, il boccheggiante mercato della carta pensata, stampata e rilegata può ricavare ossigeno.

Certo, è anche un carrozzone pop, il Salone. Qualcuno, per esempio, cucina. Il mercato è mercato e i libri più cercati nei negozi sono solo quelli delle ricette. Il più bello tra tutti, lo segnalo avendolo provato, è "La contrada di Bengodi. Cibo e cucina nel Decameron di Giovanni Boccaccio" di Andrea Maia, Edizioni Il Leone Verde (ottima la zuppa di ceci; da gustare, anche, l'anatra ripiena).

Certo, nessuno più scomoda Rosmini e Gioberti ma è ben più che pedagogico il Salone e quello spazio dedicato ai bambini è bellissimo, ricreativo, formativo, perfetto. Fa venir voglia di ritornar bimbi e poi è tutto un vociare di famiglie partecipi di un rito appagante quando non c'è da antipatizzare contro qualunque cosa e vedere Yaki Elkann, discreto ed elegante, aggirarsi col figliolino in braccio, non può che accendere di simpatia il più cinico degli avventori perché in fondo, in questa città, un tempo c'era una cosa tipo "Salone dell'Auto" e dunque...

Ovvio, qui l'elettore coincide col lettore e se poi questa convergenza si dà appuntamento a Torino, al Salone del Libro, la colpa non può essere della sinistra che fa audience ma della destra che si pasce dell'essere imbarazzante.

Certo, non ci sono stati nomi fuori dal coro nei dibattiti e nelle presentazioni, ma quale potrebbe essere la risposta - da destra - a Concita De Gregorio, un Magdi Allam? Suvvia. Ed è per questo che allo stand Mondadori mettono esposti i libri di Matteo Renzi e non quelli di Sandro Bondi. Il volume del sindaco è anche una novità ma la regola che qui fa testo è un'altra: la superiorità morale della sinistra traduce un ghiotto target di mercato.

La prevalenza di uomini e mezzi della sinistra, in tema di alpha e di beta, è fuori discussione perché poi, certo, la fetta più consistente di questo commercio è garantita da clienti conformisti educati da una catena che va dai Beppe Severgnini ai Gianni Riotta, fino ad arrivare a Bill Emmott.

Certo - certo! - c'è da farsi il segno della Croce e rassegnarsi. Questo è l'alpha. E questa è la beta a nostra disposizione ma i Severgnini, i Riotta e gli Emmott di destra, se mai ci fossero, che pubblico potrebbero mai elemosinare, quello poi che si rifiuta pure di vedere lo speciale su Ruby inchiodando gli ascolti di cotanta docu-fiction ad un misero risultato?

La destra, in tema di libri, non vende. Figurarsi riempire le sale. Non vorrei abusare della pazienza di Michele Serra e trascrivo per l'ennesima volta il suo teorema, quasi un dogma ad uso di mercato: "Doppia è la sventura per lo scrittore di destra. Quelli di sinistra non lo leggono perché è di destra. Quelli di destra, invece, non leggono".

Certo, è anche una retorica il Salone, al Lingotto. Ma le retoriche sono come la marcia dei Bersaglieri, come l'allegria di una bottiglia che si stappa, come il girotondo degli scolari e se non si fa una volta l'anno, decade un obbligo verso il dovere: quello di dare, grazie alla fatica di Ernesto Ferrero, l'artefice di questo Salone, la vetrina di un fine settimana alla fantasia, alla poesia e alla letteratura.

Tutto serve nel buon nome del libro, fosse pure per vedere il più provinciale degli autori darsi un tono con un gin tonic al bar dell'hotel dove stazionano anche i fotografi dall'aria sconfortata e sperare infine di darsi ai loro scatti.

Ovviamente - in tema di cultura - vale sempre la regola di lisciare il pelo dal verso giusto, le piccole impertinenze sono state celebrate ai margini (il ricordo di Giuseppe Berto ha trovato ospitalità presso lo stand della Regione Calabria) e ha ragione Gigi Mascheroni quando scrive sul Giornale, che al Lingotto, a Torino, "s'è celebrato l'ultimo atto del Congresso ombra del Pd", ma fatta eccezione per Gaetano Quagliariello che, visitando lo stand più chic, quello Sellerio, ha fatto un figurone con Antonio mostrando di conoscere un'infinità di titoli, tutta la vetrina se l'è aggiudicata la parte più culturalmente attrezzata della politica, la sinistra - appunto - quella radical, quella irresistibilmente chic, perché - insomma - conosce l'alpha, conosce beta e sta dalla parte degli scontrini.

 

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