PORTO RICO MA POVERO - L’EX PARADISO CARAIBICO, CHE È UN PROTETTORATO USA E GLI ABITANTI SONO CITTADINI AMERICANI, RISCHIA UN FALLIMENTO DA 70 MILIARDI DI DOLLARI

Francesco Semprini per "la Stampa"

Delinquenza, crisi economica e malgoverno stanno scatenando un esodo senza precedenti da Porto Rico, ex paradiso caraibico piegato da un indebitamento galoppante, che rischia di rivelarsi una bomba a orologeria pronta a esplodere negli Stati Uniti. È il volto esotico della crisi globale, onda d'urto periferica di quello tsunami finanziario che ha colpito dapprima l'America per poi abbattersi sull'Europa.

E così la florida isola, che Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio attraverso l'Atlantico consegnò ai reali di Spagna, si sta trasformando in terra di frontiera, dove o si sopravvive o si scappa. Un fenomeno lungo e inesorabile, non percepito, o forse ignorato dai radar demoscopici Usa, nonostante l'isola sia un protettorato degli Stati Uniti e i suoi abitanti cittadini americani a tutti gli effetti.

L'allarme è scattato solo ora sulla scia di un doppio «downgrade» da parte di Standard & Poor's e Moody's che ha spinto Porto Rico nel girone infernale del «debito spazzatura», innescando i timori di un contagio sui mercati finanziari americani. I 70 miliardi di dollari di esposizione sovrana sono detenuti per il 70% da fondi Usa, attratti in passato da questo investimento perché esente da tassazione federale e statale.

La prolungata incapacità di far fronte ai propri impegni di pagamento apre però a uno scenario sul modello ellenico, con l'aggravante che l'isola non può dichiarare bancarotta e quindi accedere ai salvagenti governativi previsti in caso di crisi. Una trappola fatale riflesso di una situazione drammatica che sta trascinando nel baratro i 3,67 milioni di portoricani.

Le sofferenze della popolazione durano da otto anni e non hanno radici finanziarie ma sociali e politiche, dovute a corruzione, mal governo, e una criminalità diffusa che ha spinto la classe media alla fuga. Professionisti e imprenditori hanno deciso di trasferirsi in Florida, Texas, e New York, piuttosto che dover sopravvivere in una terra sempre più ostile. «Il problema è la totale perdita di fiducia», spiega Orlando Sotomayor, economista dell'Università di Porto Rico.

La disoccupazione è al 15,4% ma in realtà solo il 41,3% della popolazione in età lavorativa ha un impiego. Al contempo il costo della vita è divenuto esorbitante, la bolletta energetica è carissima per le inefficienze della rete elettrica e per il fatto che l'isola è per il 67% dipendente dal petrolio. La classe media è costretta a mandare i figli in scuole private (il sistema pubblico frana da tutte le parti) pagando rette salatissime, in un Paese in cui il reddito medio è poco oltre i 15 mila dollari l'anno.

Per non parlare della tassazione che sta strozzando il Paese a causa delle politica di austerità volute dal governatore Alejandro García Padilla. Un disagio cronico che sta sollevando ostilità nei confronti delle istituzioni e risentimento verso le società di rating, considerate complici del disastro e tentacolo destabilizzante dei Grandi sfruttatori della terra. Ciò, unito al rischio di infiltrazioni da parte di una delinquenza dilagante, rischia di spingere alla rivolta sociale chi è impossibilitato a fuggire, con le conseguenze che abbiamo già visto nell'Europa a moneta unica prima, e in quella periferica ora.

 

 

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