IO SONO LA MIA FICTION - ALESSANDRA FIORI, FIGLIA DELLO STORICO DEMOCRISTIANO PUBLIO, SCRIVE UN LIBRO SULLA DC DEI TEMPI D’ORO - CAMBIANO I NOMI, MA LE FACCE SONO QUELLE DEI NOTI PROTAGONISTI DELLA POLITICA DEGLI ANNI ’70 E ’80, DA ANDREOTTI ALLO STESSO FIORI, FINO AL GIOVANE BANANA - UN ROMANZO CHE ENTRA NEL VENTRE DELLA BALENA BIANCA E CHE RACCONTA L’AMBIZIONE, I SOTTERFUGI E LA SPARTIZIONE DEL POTERE...

Matteo Sacchi per "il Giornale"

Come fosse un sogno, ma uno di quelli che al risveglio li si confonde con la realtà. Un sogno contorto e caciarone chia¬mato Italia. Un sogno, spesso re¬citato in romanesco, in cui cam¬biano i nomi e non le facce, oppu¬re il contrario. Un viaggio onirico nel ventre della Balena Bianca, una discesa nelle viscere della vecchia Dc. È questa la sensazio¬ne che si prova leggendo il ro¬manzo di Alessandra Fiori: Il cie¬lo è dei potenti (edizioni e/o, pagg. 294, euro 18).

La Fiori che quel mondo lo ha respirato sin da bambina - è figlia di Publio Fiori che è stato mini¬stro, vicepresidente della Came¬ra dei deputati e democristiano di lungo corso - riesce a restituir¬lo ai lettori in un'opera di fanta¬sia dove tutto è reinventato solo allo scopo di renderlo ancora più realistico. Ecco che allora ci tro¬viamo a rivivere le vicende di Claudio Bucci, giovane avvocato che dopo un'infanzia microbor¬ghese, sospesa tra la Capitale e Fiano Romano, decide un po' per gioco, un po' per passione e un po' per miseria di entrare nell'arena politica.

Sono gli anni Sessanta, quelli dove tutto sembrava possibi¬le. E il sogno testar¬do di questo ra¬gazzo, il cui padre difendeva in tribu¬nal¬e i contadini fa¬cendosi pagare a caciotte, finisce per avverarsi. Si parte alla buona con le tessere scambiate come figurine, e le urne rubate per cam¬biare i voti alle ele¬zioni nelle sezio¬ni di partito, per arrivare alle ele¬zioni vere, con tut¬ta la famiglia rin¬chiusa in uno scantinato a prepa¬rare 70mila lettere con dentro i "santini" elettorali. E quando ar¬rivano le prime cariche, a partire dall'assessorato ai lavori pubbli¬ci della capitale, ecco anche i pa¬lazzinari, le valigette di denaro, i compromessi inevitabili.

Un viaggio senza ritorno, per¬ché «solo una cosa può essere più forte del richiamo del sesso. Non i soldi ma il potere». Così Bucci deve imparare a declinare la saggezza del principe di Ma¬chiavelli in forme nuove. Dalla «golpe e il leone» del fiorentino si passa a «Armarsi conquistare re¬sistere. Allearsi possibilmente. E poi da capo... E se quello era il mo¬mento di mantenere la posizio¬ne per preparare una nuova con¬quista, allora era anche quello di farmi un nuovo ufficio».Oppure: «Il problema non è essersi resi ri¬cattabili, ma semmai il non esser¬lo». E ancora: «Non importa quanto lontano senti di essere ar¬rivato, ci sarà sempre qualcuno più forte, più in alto, più potente di te».

Mentre la corsa prosegue, at¬torno a Bucci compaiono tutti i grandi della politica democristia¬na del tempo. Ovviamente col no¬me cambiato. C'è il grande De Santis, vale a dire Giulio Andreot¬ti. Uno capace di galleggiare sem¬pre una spanna sopra tutti gli al¬tri: «De Santis non si poteva fotte¬re. Ci avevano provato cento vol¬te senza risultati... Della politica, come del mondo, aveva una con¬cezione semplice ed elitaria al tempo stesso... Alla base c'è il consenso e se la società è essen¬zialmente merda, per ripulire le fogne bisogna sporcarsi»

E poi ci sono molti altri potenti dell'epo¬ca scudocrociata. Dietro il tena¬ce ex sindaco di Roma Alessan¬dro Romano fa capolino l'ecto¬plasma di Amerigo Petrucci, il numero due del partito a Roma per anni; dietro Sergio Serafini detto lo "sguincio"qualcuno po¬tr¬ebbe rivedere Franco Evangeli¬sti. E poi c'è un Vincenzo Braca¬glia che deve molto del suo tipo umano a Vittorio Sbardella.

Ma mentre il gioco del potere prose¬gue, la vita di Bucci si riempie di pesanti sacrifici perché «i com¬promessi sono la misura dell'am¬bizione». La vita famigliare va a rotoli e arriva il divorzio dalla bel¬la moglie Giuliana. C'è anche l'at¬tentato delle Br che lo gambizzano con «undici colpi di odio» e in questo il rimando al vero Fiori, che il 2 novembre 1977 venne fe¬rito con 11 colpi dalle Br è quasi cronaca.

Poi con gli anni '90 cambia tut¬to, cambia la politica e un mon¬do, bello o brutto che fosse, muo¬re per sempre. Prima Mani puli¬te, poi gli attentati ai giudici. E infi¬ne un industriale del nord diven¬tato grande con le televisioni e che nel libro si chiama Ludovico Moroni, compare sulla scena po¬litica: «Noi che eravamo stati così brutti, unti, grassi, con le nostregiacche a quadri e la camicia stro¬picciata, noi eravamo già incredi¬bilmente lontani».

Chiudendo le pagine del libro risulta evidente che quella Bale¬na Bianca non tornerà più, con gran dolore di chi vagheggia vec¬chi nuovi centri. Resta la narra¬zione mirabile fatta dalla Fiori: verace, a tratti cattiva, ma capace anche di cogliere i lampi di gran¬dezza nascosti in quella politica così ruspante e figlia di un Paese che sognava, che aveva i piedi in campagna e la testa fra i grattacie¬li.

Un Paese che comunque tra ca¬ciotte e bustarelle è comunque riuscito a dire «no» a tentazioni totalitarie con la pistola in mano e il pugno chiuso. La Fiori, pro¬prio perché non risparmia nien¬te a nessuno riesce a rendere umani quei politici. Come dice il suo Bucci «in fondo ho corso pa¬recchio, vinto abbastanza e an¬che quando ho perso, non si può dire che non l'abbia fatto alla grande».

 

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