claudio santamaria

SANTAMARIA, PIENO DI GRAZIA - PENSAVA DI DIVENTARE ARCHITETTO, POI HA VISTO UN CORSO DI RECITAZIONE SULLE PAGINE GIALLE E CI SI È ISCRITTO. DA LÌ L’ASCESA FINO AL SUCCESSO DI “LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT”: “CI HO MESSO ANNI PRIMA DI CREDERE CHE AVEVO TALENTO. IO SEX SYMBOL? SÌ, VIVO IL SESSO IN MANIERA LIBERA”

Maria Egizia Fiaschetti per il “Corriere della Sera”

 

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Le sue «nuvole», gravide di pioggia, arrivano al punto di saturazione dopo «L' ultimo bacio»: è il 2001 e, nonostante il successo del film di Gabriele Muccino, Claudio Santamaria si ritrova «in un buco nero». «Nessun fattore scatenante - racconta l' attore romano, 42 anni a luglio, candidato al David di Donatello per il ruolo di protagonista in «Lo chiamavano Jeeg Robot» (lo «spaghetti anime» di Gabriele Mainetti che ha superato i 3 milioni di euro al box office e ottenuto 16 nomination agli «Oscar» del cinema italiano) -, ma sentivo qualcosa esplodermi dentro».

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Un meccanismo fisiologico, da romanzo di formazione, simile alla storia del suo alter ego Enzo Ceccotti: ladruncolo di borgata che, dopo aver perso tutto, scopre la sua vera natura. Come ha superato quella fase di buio? «Un passo alla volta, guardando alla realtà dei fatti. Non puoi scappare troppo a lungo: più rimandi, più il colpo si fa duro».

 

DUBBI E VERITÀ

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Da bambino, qual era il suo idolo dei fumetti? «L' Uomo Ragno, mi piaceva che si arrampicasse. Superman, invece, non era poi così prodigo... Troppo borghese». Nella trama realtà e finzione si intrecciano ed Enzo si scopre Jeeg quasi per caso: chi sono gli eroi quotidiani del nostro tempo? «Hanno le stesse caratteristiche di sempre. Sono pronti a sacrificarsi e a rischiare la vita per gli altri, persone come Gino Strada o il medico di Lampedusa che si prende cura dei migranti».

 

Una delle battute finali del film paragona i superpoteri al talento, spesso nascosto in ognuno di noi: come ha scoperto di voler fare l'attore? «Studiando al liceo artistico, ho sempre pensato che sarei diventato architetto - rivela Santamaria -. Disegnavo molto bene, avevo ottimi voti». E invece? «Mi divertivo a usare la voce, a inventare personaggi e fare le imitazioni.

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Dopo una prima esperienza nel doppiaggio, mi sono iscritto a un corso di recitazione trovato sulle Pagine gialle. Mi è capitato un bravo insegnante, Stefano Molinari, che veniva dal metodo Stanislavskij. È stato lui il primo a dirmi che avevo talento e mi ha scioccato: ci ho messo anni a prendere coscienza».

 

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Le capita mai di avere dei dubbi? «Tutti i giorni. La vaghezza è la condizione tipica dell' attore». Al netto delle titubanze cicliche, dove ha trovato le conferme che cercava? «Dopo quel periodo di buio mi sono reso conto dell' utilità che il mio ruolo poteva avere. Pensavo che chiunque potesse fare questo lavoro, ma ho capito che non è così. Ricordo quando eravamo su un set e il regista chiese a una comparsa di spazzare il pavimento. Fingeva, si muoveva in modo impacciato, ripetemmo la scena decine di volte... Se anche un gesto tanto naturale rischiava di apparire forzato, forse recitare non è poi così automatico». Un' altra chiave di lettura di «Lo chiamavano Jeeg Robot» è la lotta tra forze opposte: cosa sono il Bene e il Male per lei?

 

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«Se penso al nostro Paese, credo che il conflitto più grande sia tra verità e menzogna. Si ha sempre la sensazione di leggere notizie velate, parziali... Possibile che si voglia essere ricordati per l' ipocrisia, piuttosto che per l' onestà intellettuale?». Parliamo delle sfide quotidiane, meno filosofiche: per calarsi nei panni di Enzo-Hiroshi è dovuto ingrassare di 20 chili. «Al provino Gabriele (Mainetti, ndr) mi ha detto che avevo la trasparenza e l'ombrosità giuste, ma che ci voleva un corpo pesante, una corazza da orso.

 

Mi sono allenato in palestra e ho iniziato a mangiare cinque volte al giorno, dosi massicce di proteine e due etti e mezzo di pasta. Sono arrivato a pesare un quintale». Per il ruolo di Rino Gaetano nella serie «Il cielo è sempre più blu», invece, si era asciugato parecchio: «Ero dimagrito di 10 chili, lì ho capito che fare l' attore è una missione». Dopo gli eccessi a tavola per esigenze di copione, come è riuscito a tornare in forma? «Con l' attività fisica e un regime che separa i cibi acidi da quelli basici».

 

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La dieta del supereroe è a base di budini alla vaniglia: qual è la tentazione calorica alla quale, nella vita reale, proprio non sa rinunciare? «Faccio molta fatica a resistere alla Nutella, ma una ditata ogni tanto ci sta».

 

La violenza nei media In diversi film che ha interpretato, da «Romanzo criminale» alla parabola del supereroe, Roma è un elemento chiave della sceneggiatura: qual è il suo rapporto con la città? «A parte l' odissea quotidiana del parcheggio, riesce sempre a sorprendermi. È un po' come la Bella addormentata o la grande meretrice che, alla fine, accoglie tutti. Sono mezzo lucano e, quando tornavo in Basilicata per le vacanze, sentivo sempre un po' di nostalgia».

 

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La Roma che fa da sfondo alle imprese di Jeeg Robot è anche molto pulp: lei ha una figlia di otto anni, Emma, come filtra le immagini violente diffuse dai media? «Quando hanno preso il terrorista Abdeslam Salah ha letto la notizia su un giornale e mi ha chiesto se era tutto finito. Ho dovuto dirle che non era così... È difficile spiegarle quello che succede: l'istinto è quello di proteggerla, ma cerco anche di farle capire che esistono persone molto cattive. Posso preservarla dal voyeurismo, dalla speculazione della notizia, ma è giusto che sappia. Voglio instillare in lei semi di verità».

 

UOMINI E DONNE

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Come deve essere la musa di Santamaria? «Perché un rapporto funzioni serve complicità: fisica, emotiva e di testa». Si riconosce nell' immagine di sex symbol? «Sì, nel senso che vivo il sesso in maniera libera. Mi danno del tenebroso, ma sono solare». Si considera un seduttore? «Piuttosto un cacciatore passivo. Aspetto gli eventi e credo nel colpo di fulmine: quando scatta qualcosa, mi muovo».

 

Qual è l'arma segreta delle donne? «Intuito, sensibilità... Ma penso che in tutti noi ci sia un lato maschile e uno femminile. L' essere umano è complesso e credo che ognuno dovrebbe seguire il proprio sviluppo naturale, senza forzature. Non sono uno di quei genitori che impongono alle femmine di giocare con le bambole, ai maschi con le macchinine. Mia figlia è ancora piccola, ma cerco comunque di assecondare le sue inclinazioni. Di intervenire solo se osservo comportamenti poco rispettosi di se stessa o degli altri».

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