A COSA SERVE TWITTER? NON PREOCCUPATEVI, NON LO SANNO NEANCHE I 4 FONDATORI: ANARCHICI, POVERACCI, LITIGIOSI, AD UNIRLI SOLO UNA GRANDE SOLITUDINE

Serena Danna per ‘Il Corriere della Sera'

Chi lo utilizza sa quanto difficile sia rispondere alla domanda «A cosa serve Twitter?». Abbiamo appreso che il social network da 140 caratteri c'entra qualcosa con la rielezione di Obama, con le proteste in Medio Oriente e con i giornalisti, ma, in fondo, spiegare a un non-iscritto la finalità di Twitter è come convincere la nonna della bontà di una laurea in Scienze della comunicazione.

La rivelazione confortante che arriva da Inventare Twitter, il libro di Nick Bilton in uscita oggi per Mondadori, è che anche i suoi fondatori non hanno mai realizzato a pieno a cosa servisse. Basti pensare che le trovate più efficaci della piattaforma - la chiocciola per citare altri iscritti, gli hashtag per tematizzare un contenuto e la possibilità di rilanciare i messaggi degli altri (i retweet) - si devono alla creatività degli utenti, non alla strategia dei vertici.

Bilton, firma tecnologica del «New York Times», individua nella solitudine il filo che unisce Jack Dorsey, Noah Glass, Evan Williams, Biz Stone, i quattro ventenni della start up Odeo che - mentre lavorano a una piattaforma di podcasting - nel luglio del 2006 lanciano il servizio di microblogging. «Non si trattava solo di condividere la musica che stavi ascoltando o dove ti trovavi, ma di mettere in contatto gli individui e farli sentire meno soli - si legge -. Poteva diventare una tecnologia che avrebbe cancellato un sentimento che un'intera generazione provava quando sedeva davanti al computer».

Nella storia di Twitter non c'è nulla della mitologia che si usa (pigramente) associare alla Silicon Valley: nessuna laurea ad Harvard, tavolo da ping pong e brama di conquista. La bravura di Bilton sta nell'aver trasformato la biografia di un'azienda in un avvincente romanzo capace di mostrare quanto la narrativa del successo americano si sia complicata negli ultimi quindici anni.

I quattro fondatori - perennemente in lotta tra loro - rappresentano uno strano concentrato di mediocrità e talento segnato da due caratteristiche: sono tutti «poveracci» sbarcati a San Francisco per fare fortuna e divertirsi; e nessuno tra loro subisce il fascino della Silicon Valley. «Un gruppo di persone - scrive Bilton - che avevano mollato college di media caratura e che nutrivano solo disprezzo per i Googlers di tutto il mondo, con le loro lauree a Stanford o al Mit».

Alcune delle recenti invenzioni più importanti del web si ritrovano disseminate nelle storie personali dei fondatori di Twitter: con la decisione di rendere pubblico il sito web del suo diario, chiamandolo «Blogger», Williams sancisce la nascita del blog (termine nato dalla fusione di web e log) e della filosofia dell'«editoria a pulsanti per tutti».

Quando - con l'introduzione del podcasting su iTunes, Apple distrugge il progetto di Odeo - Williams realizza che l'unico modo per uscire dalla crisi è mettere in circolo le idee attraverso una hackton (maratona di hacking ): «Un evento in occasione del quale per un giorno intero ciascuno si dedica a qualcosa di importante per l'azienda, che però non sia il suo lavoro usuale». Anni prima che la rete mobile esplodesse, Biz Stone, il giullare del gruppo, teorizza il «phone-internet»: «È come internet - spiega agli amici-, ma per il telefono!».

Anche la cultura libertaria che accompagna Twitter fin dalle origini nasce dal caso: arrivato ad Odeo, Noah Glass assume un programmatore chiamato Rabble (canaglia), che gira il mondo insieme alla sua ragazza Gabba per prendere parte a manifestazioni politiche di vario tipo. A differenza dei soliti manifestanti, Rabble si definisce un hack-tivista : «Invece dei cartelli usavano i laptop - scrive Bilton - e al posto del megafono, i blog, e marciavano non sulle strade ma su Internet». Mentre Williams e Glass passano le giornate a litigare , Rabble assume solo tecnici che condividono «la sua mentalità da pirata anti-establishment».

Sebbene oggi Twitter abbia una dirigenza chiara (Jack Dorsey presidente e Dick Costolo amministratore delegato) e 700 milioni di iscritti, attribuire la paternità del social media continua a essere un'impresa. Bilton racconta che Dorsey - balbuziente, tatuato, con trascorsi da anarchico - ha avviato a partire dal 2008 una campagna stampa per accreditarsi come fondatore e «il prossimo Steve Jobs».

Eppure, l'unica informazione confermata da tutti riguarda l'inventore del nome: Noah Glass. Dorsey voleva chiamare la piattaforma «Status» in omaggio alla novità introdotta (rendere pubblica in ogni momento la propria attività), Stone tifava per «Smssy» e Williams per «Friendstalker» (cacciatore di amici).

L'idea del cinguettare arrivò da Glass mentre rifletteva sulla vibrazione del cellulare, che «lo indusse a pensare agli impulsi cerebrali che provocano uno spasmo muscolare, un tic "Twitch!"». Da lì: Twister. Twist Tie. Twit. Twitch. Twitcher. Twitchy. Twite. E infine Twitter. Pochi mesi dopo l'invenzione del marchio, Glass fu fatto fuori da Williams, con la complicità di Dorsey. In settimana scrisse il suo primo tweet: «Guardando colorati paracadute tracciare il simbolo dell'infinito mentre cadono a terra».

 

 

logo twitter jack dorsey in classe Evan Williams Noah Glass Biz Stone EVAN WILLIAMS Biz StoneTwitter CEO Dick Costolo Chairman and co founder Jack Dorsey and co founders Evan Williams and Biz Stone left to right applaud as they watch the the New York Stock Exchange opening bell ring on Nov FONDATORI DI TWITTER ns titre

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