CHE BIO CE LA MANDI BUONA – SI MOLTIPLICANO LE VENDITE DIRETTE DI PRODOTTI AGRICOLI BIOLOGICI DAL PRODUTTORE AL CONSUMATORE – CON PIÙ QUALITÀ E MENO COSTI PER TUTTI

Michele Sasso per "l'Espresso"

Giuseppe tutte le settimane fa il giro delle associazioni, parrocchie, uffici e gruppi d'acquisto della provincia di Roma. Quaranta appuntamenti con il suo furgone per piazzare latte crudo, formaggi e carne bovina fatti in casa dalla sua azienda agricola nelle campagne dell'agro romano, a trenta chilometri in linea d'aria da piazza del Popolo. Lui, allevatore alla terza generazione diventato imprenditore grazie all'idea di biola.it, è l'ultimo anello di una catena di distribuzione alternativa.

Vendita diretta, spesa a chilometro zero, domanda di cittadini e offerta di contadini che si incontra in Rete e produzioni biologiche sono diventati un dogma per i consumatori. Spinti da centinaia di agricoltori e allevatori che si sono messi in testa di vendere senza intermediari uova, latticini, riso, bistecche e ortaggi. Per guadagnare più delle misere quote destinate a chi si alza alle quattro del mattino e saltare la grande distribuzione che rifornisce i supermercati.

In pratica, un "patto della terra" tra mondo agricolo, ambientalista ed economico diffuso in tutta Europa, costruito facendo rete tra la domanda di maggiore qualità e l'offerta a pochi passi da casa. «Siamo partiti dal bisogno di abbattere i costi per i clienti e ottimizzare i guadagni per le aziende agricole eliminando i passaggi intermedi», dice Fabio Ferraldeschi di Aiab, l'associazione italiana per l'agricoltura biologica: «Un'idea lontana anni luce dalla grande distribuzione dove i produttori sono l'ultimo anello della filiera».

Con la vendita senza passare dai grossisti, l'allevatore di mucche si mette in tasca un euro e 20 centesimi per un litro di latte al posto dei 40 centesimi per il brick presente nei banconi dei super. Grazie ai maggiori introiti, il matrimonio con l'agricoltura biologica è stato sancito per restare sul mercato con prezzi e qualità più alta della media.

Perché il marchio bio significa soprattutto rispettare i ritmi della natura con più qualità e meno quantità. Ad esempio, solo due vacche per ogni ettaro di terreno invece delle venti dei grandi allevamenti intensivi. Partita dieci anni fa, con la crisi c'è stata l'accelerazione della distribuzione fai-da-te.

In Umbria hanno fatto scuola i "Godo": gruppi organizzati di domanda e offerta per acquistare pasta, cereali, legumi, olio, vino, carne, ortaggi: in pochi anni trecento iscritti riempiono le dispense con i prodotti di 50 contadini umbri. Non più un singolo che acquista passivamente, ma famiglie che incontrano i bisogni dei produttori. Il principio è banale: la sostenibilità che ha condizionato l'allevamento e la trasformazione dei prodotti agricoli ora deve accompagnare anche distribuzione e commercializzazione.

OTTIMISMO DA FARMER MARKET
I numeri della riscoperta dei prodotti locali invitano all'ottimismo. Mentre migliaia di negozi abbassano la saracinesca, ventuno milioni di italiani hanno fatto la spesa nei mercati degli agricoltori nell'ultimo anno per garantirsi prodotti sani del territorio. Quasi un adulto su due frequenta i cosiddetti "farmer market" ma ben sette milioni sono quelli, secondo i dati di Coldiretti, che lo fanno regolarmente, mentre gli altri quattordici milioni vi fanno i propri acquisti ogni tanto.

In netta controtendenza con la crisi della ristorazione e del commercio tradizionale, nell'ultimo anno sono aumentati del 18 per cento i punti dove si incontrano contadini e allevatori. Tra mercati, aziende, botteghe e ristoranti dove si comprano frutta e verdura di stagione, alimentari e piatti garantiti al 100 per cento made in Italy.

Per accompagnare questa nouvelle vague di prodotti a chilometro zero Coldiretti ha messo in piedi la fondazione "Campagna amica", guidata da Toni De Amicis: «Per la nostra filiera corta si trovano prodotti locali del territorio, messi in vendita direttamente dall'agricoltore nel rispetto di precise regole comportamentali e di un codice etico ambientale. Vengono contenuti gli sprechi di imballaggi con l'offerta, ad esempio, di latte e vino sfuso, sono banditi gli organismi geneticamente modificati e sono messi a disposizione servizi di vendita a domicilio».

Partito in sordina cinque anni fa, oggi è un piccolo-grande impero di 8.392 punti-vendita (mille in più nell'ultimo anno) e una crescita che ha riguardato tanto i mercati degli agricoltori (1.205, più 11 per cento) che le aziende dove rifornirsi di ortaggi e carne (7.023 dal Trentino Alto Adige alla Sicilia), fino alle botteghe e ai ristoranti, che segnano una crescita tumultuosa, con quattrocento nuove attività aderenti.

«Sono grandi numeri perché abbiamo iniziato praticamente a mani nude e con grande velocità abbiamo messo insieme la più capillare rete d'Europa, con uno stesso marchio ed un unico sistema di controllo», aggiunge De Amicis. Siamo lontani dai farmer market americani dove è nato - solo a New York se ne contano oltre 170 - ma il 90 per cento delle province italiane è stato raggiunto.

L'onda vicino&buono non si ferma. Ora il passo successivo, grazie al decreto del Fare del governo Letta, sarà la "somministrazione": le botteghe e le aziende agricole possono anche cucinare per chi si rivolge per acquistare. Ma senza servizio, per non entrare in concorrenza con trattorie e agriturismi. Dalla pappa al pomodoro con pane casereccio alle porte di Roma fino alla ribollita con le verdure dell'orto servita con vista sul Naviglio grande a Milano. In più di venti sono già diventati produttori con piccola cucina annessa.

IN PRINCIPIO FURONO I GAS.
Le esperienze sono tante, alcune in via sperimentale altre consolidate. Primo comandamento per chi tira la cinghia è risparmiare: la crisi aguzza l'ingegno e i gruppi di acquisto solidali (Gas) si sono diffusi a macchia d'olio. Un'invenzione tutta emiliana. I primi nascono nel 1994 a Fidenza (Parma) con un chiodo fisso: il rispetto dell'ambiente e del lavoro.

Oggi fanno la spesa così quasi sette milioni di persone, quasi tre in modo regolare. Ecco i pellegrinaggi domenicali nelle fattorie fuori porta per scegliere maiali e vitelli che diventeranno salsicce e arrosti o per fare provvista di verdure appena colte. Ma anche spedizioni lungo la Penisola. Interi camion di arance arrivano direttamente ai Gas di Torino, i pomodori delle campagne foggiane diventano la passata di centinaia di bolognesi e poi il vino della provincia di Alessandria per trenta gruppi di Milano.

Per i suoi membri la priorità è resistere al caro-vita e mangiare bene, come racconta Mario Amadei del Gas di Parma: «Siamo tutti volontari che nel tempo libero si occupano di ordini e spedizioni. Cerchiamo il miglior rapporto qualità-prezzo, ma non è facile competere con i discount». Un piccolo esercito che ogni settimana si ritrova per scegliere, comparare e comprare direttamente dal produttore locale che raccoglie e spedisce esclusivamente ai Gas. Ogni famiglia poi ritira la propria cassetta con prodotti no logo.

Le potenzialità di questa forma di consumo responsabile sono quasi infinite. L'evoluzione della specie sta andando verso una forma più complessa, i distretti di economia solidale. Dove si uniscono le forze di consumatori, associazioni e amministrazioni pubbliche. In provincia di Salerno il Parco Nazionale del Cilento con il biodistretto è partito dal censimento delle quattrocento aziende biologiche insieme alla valorizzazione di siti magnifici ma sconosciuti: l'area archeologica di Paestum, l'antica polis della Magna Grecia Elea-Velia e il patrimonio Unesco della Certosa di Padula. Per promuovere il turismo e i prodotti rigorosamente bio sono stati messi in rete i piccoli produttori della mozzarella di bufala, carciofi, e l'olio da ulivi secolari. Un tutt'uno tra cultura e buona tavola. Per ridare dignità all'agricoltura sotto casa.

 

 

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