
“NON HO LIMITI NEL BERE, NEL MANGIARE, NEL FUMARE. ANDRO’ ALL’INFERNO” – UMBERTO SMAILA: “COLPO GROSSO? RISPETTO A QUELLO CHE SI VEDE IN GIRO SAREBBE UN PROGRAMMA DA EDUCANDE, MI CHIESERO DI FARLO PERCHÉ L’AVREI RESO MENO VOLGARE. LE RAGAZZE CIN CIN? QUASI TUTTE STRANIERE, HO AVUTO SOLTANTO UN PICCOLO FLIRT" - JERRY CALÀ (CON LUI NON CI SIAMO PARLATI PER 5 ANNI”), LA "CACCIATA" DI ABATANTUONO E LA CHIAMATA DELL’AGENZIA DI QUENTIN TARANTINO: “STAVANO GIRANDO JACKIE BROWN E AVEVANO BISOGNO DI UN MIO BRANO DA INSERIRE NEL FILM. ALL’INIZIO PENSAVO DI ESSERE A 'SCHERZI A PARTE'. POI…” – VIDEO
Renato Franco per il “Corriere della Sera” - Estratti
Prima ha trasformato la musica in cabaret, poi il gioco televisivo in un happening softcore, quindi il pianobar in showbiz. Le (almeno) tre vite di Umberto Smaila partono da Verona, dove quattro amici diventano I Gatti di Vicolo Miracoli. Con lui ci sono i compagni di classe Franco Oppini e Nini Salerno («era già fuori corso, l’avevano bocciato due volte») a cui si aggiunge Jerry Calà che frequenta lo stesso liceo ma ha un anno in meno.
Siete andati tutti all’università: zero su quattro. Nessun laureato.
«Davamo giusto un esame l’anno per non andare al militare. Già nel ‘71 facevamo cabaret, al Derby di Milano fino alle 4 del mattino, eravamo sempre mezzi rintronati dal sonno».
Abatantuono era il tecnico delle luci del locale.
«Diego non andava a scuola volentieri, si era incaponito nell’eleggerci come suoi professori visto che avevamo 5 anni in più. Nel periodo in cui siamo stati assieme da mattina a sera ha fatto il liceo classico grazie alle nostre reminiscenze scolastiche. Era anche il nostro autista in teoria, ma non aveva la patente e quindi guidavo sempre io».
Sempre insieme dal 1971 al 1976.
«Anni meravigliosi di divertimenti inenarrabili, abbiamo scoperto il nostro Paese attraverso autostrade che non c’erano. Giravamo con scorte di gettoni per chiamare le ragazze da convocare nelle sedi degli spettacoli».
A un certo punto avete «cacciato» Abatantuono.
«Per il suo bene. Era simpatico, bravo, divertente, era sprecato che stesse con noi a schiacciare l’unico tasto dell’unico riflettore che avevamo. Lui si incazzò: bella gratitudine. Ma invece abbiamo fatto la sua fortuna».
Franco Oppini?
paolo bertolucci umberto smaila
«Lo chiamavamo Pev: Piccola Enciclopedia Vivente. Non c’era niente che lui non sapesse, diceva sempre la sua, pensava di avere sempre ragione».
Salerno?
«Era il contemplativo e romantico del gruppo, spesso egoista, soprattutto a tavola: quando arrivava il pollo, prendeva la coscia e chiedeva se interessava. Ma ce l’aveva già in mano».
Jerry Calà?
«Il latin lover. Per questo era sempre in ritardo, bisognava sempre aspettare che sbrigasse le sue faccende con tutto il suo giro di ragazze».
(...)
Poi però con Calà avete litigato furiosamente.
«Io e Jerry non ci siamo parlati per cinque anni. Decise di andare a fare il cinema e noi siamo rimasti tre gatti in braghe di tela. Ci salutò dalla sera alla mattina, arrivederci e grazie. Io mi sono sentito tradito ancor di più perché noi due andavamo sempre d’accordo su tutto».
Il problema era che avevate ancora un tour di spettacoli da onorare.
«Il clima è cambiato in un attimo, in auto c’erano silenzi tombali. Quando mi chiamarono da Mediaset per condurre un programma ( Help! ) ho capito il problema di Jerry: quando passa un treno, ci si salta sopra».
(...)
Era meglio la tv di ieri?
«Chiaramente sì. Io ho avuto la fortuna di lavorare con Falqui: facevamo otto giorni di prove per confezionare tre minuti di televisione. Era assolutamente un altro mondo.
Nella tv di oggi hanno tolto lo spettacolo, il varietà».
Non era certo un capolavoro, ma a cavallo degli anni 90 è diventato un cult: oggi «Colpo Grosso» non comincerebbe nemmeno.
«Rispetto a quello che si vede in giro sarebbe un programma da educande, era una trasmissione nazionalpopolare, lo guardavano addirittura ragazzine che ci mandavano i disegnini delle ragazze Cin cin».
umberto smaila, nini salerno, jerry cala?? e franco oppini i gatti di vicolo miracoli
L’esposizione così esibita del corpo della donna adesso verrebbe bocciata.
«Fa parte della new wave di questi tempi, velata da un certo conformismo che spinge a stare attenti a quello che si dice ma soprattutto a quello che si pensa. Era un programma che non faceva male a nessuno».
Perché accettò?
«Mi adularono: sei l’unico adatto a renderlo non volgare, mi dissero. Pensavo sarebbe durato qualche mese, invece sono state 300 puntate all’anno moltiplicate per cinque anni».
Le ragazze?
«Venivano dall’estero: inglesi, olandesi, molte dai Paesi dell’Est».
Le italiane non volevano spogliarsi?
«No, in tutto penso ce ne siano state due. Le ragazze straniere invece venivano perché non c’era la diffusione internazionale del programma e a casa loro non le vedeva nessuno».
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Era il conduttore e la star del programma, avevano un debole per lei?
«Per il programma erano truccate e ben vestite, insomma vestite quel che si poteva.
Ma appena si spegnevano le luci erano dimesse, tutte molto seriose, si facevano molto gli affari loro, le ricordo sempre con i sacchetti di plastica della spesa, nessun gusto per la moda. A fine serata venivano portate con un pulmino nei loro residence e sparivano nelle tenebre».
Ha rovinato la poesia... Nessuna tentazione?
«Nessuna storia clamorosa, solo un piccolo flirt con una ragazza concluso quando lei se n’è andata».
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Braccia corte o mani bucate?
«Talmente bucate che non avevo più le mani. Viaggiavo in Mercedes, ero scapestrato, anche perché pensavo che la mia vita sarebbe stata sempre così. Finito Colpo Grosso è arrivata la doccia fredda: da 300 a zero puntate».
Era un’etichetta a vita?
«Qualcuno — non io — sostiene che se non avessi fatto Colpo Grosso , che per molti era un marchio indelebile, avrei potuto avere un altro tipo di carriera. Ma io non rinnego il passato».
La spesa più folle?
«Una Mercedes Sec che costava 160 milioni di lire. Non pagai le ultime cinque rate, andai alla concessionaria, lasciai il Mercedes e tornai a casa con una Toyota. E poi avevo velleità da immobiliarista: giocavo a Monopoli, mi compravo case che regolarmente dovevo rivendere»
L’orgoglio?
«Quando mi chiamò l’agenzia di Quentin Tarantino perché stavano girando Jackie Brown e avevano bisogno di un mio brano da inserire nel film. All’inizio pensavo di essere a Scherzi a Parte. Invece era vero: aveva visto un film, La belva col mitra con Helmut Berger, in cui c’era anche la mia musica. Con quei sei minuti sonori in Jackie Brown mi sono garantito l’eternità».
Inferno o Paradiso?
«Non ho limiti nel bere, nel mangiare, nel fumare. Secondo i ben pensanti sono un po’ irregolare: quelli come me vanno all’inferno».
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