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“DAGOSPIA HA VINTO, L’EGEMONIA CULTURALE È SUA” – STEFANO FELTRI: “HO SEMPRE ODIATO DAGOSPIA, E L’HO SEMPRE LETTO. E ADESSO CHE CELEBRA I SUOI 25 ANNI DI ESISTENZA È ORA DI FARNE UN BILANCIO ONESTO: HA VINTO LUI, ROBERTO D’AGOSTINO, HA IMPOSTO LA SUA EGEMONIA IN ITALIA, E PERSINO OLTRE” – “DAGOSPIA È DIVENTATO COSÌ RILEVANTE DA FUNGERE DA AGENDA UNICA DELLA DISCUSSIONE GIORNALISTICO-POLITICA: SOLO QUELLO CHE ESCE SU DAGOSPIA ESISTE” – “D’AGOSTINO USAVA I MEME PRIMA DEI MEME, È STATO UN INFLUENCER PRIMA DEGLI INFLUENCER, E HA INTERCETTATO ANCHE IL GRANDE BISOGNO DELLA NOSTRA EPOCA DELL’INFORMAZIONE: NON TANTO GLI SCOOP, MA LA GERARCHIA DELLE NOTIZIE. I LETTORI VOGLIONO SAPERE COME E COSA PENSARE…”

Estratto da “Appunti, la newsletter di Stefano Feltri”

 

stefano feltri

Ho sempre odiato Dagospia, e l’ho sempre letto. E adesso che celebra i suoi 25 anni di esistenza è ora di farne un bilancio onesto: ha vinto lui, Roberto D’Agostino, ha imposto la sua egemonia culturale e giornalistica in Italia, e persino oltre.

 

Dagospia ha contribuito a distruggere il modello di business dei grandi giornali sedicenti autorevoli, ma ha anche rivelato i loro limiti più profondi, strutturali, e alla fine ha sottratto loro anche l’autorevolezza. E se lo meritano, nel senso che D’Agostino si merita di aver conquistato quella forse inattesa autorevolezza che ha ora e i giornali si meritano di averla persa.

 

Può sembrare una discussione di nicchia, di categoria, ma l’impatto di Dagospia va ben oltre il ristretto e decadente mondo dei giornalisti […]

 

Cos’è Dagospia (davvero)

DAGO CON LA REDAZIONE DI DAGOSPIA (LUCA DAMMANDO, ASCANIO MOCCIA, FRANCESCO PERSILI, ALESSANDRO BERRETTONI, RICCARDO PANZETTA, GREGORIO MANNI, FEDERICA MACAGNONE)

Per chi non lo legge - pochi - bisogna prima spiegare cosa fa Dagospia: saccheggia il meglio dei giornali tradizionali, in prevalenza italiani, copia, condensa, traduce.

 

Usa il lavoro di altri per dare “copertura” ai fatti del giorno - l’articolo viene dall’Ansa, dal Corriere, da Repubblica, dal trash del Daily Mail - riprende (cioè: copia citando) gli scoop, almeno quelli che ritiene degni di visibilità, e poi a tutto questo aggiunge tre cose.

 

Articoli di firme, editorialisti, diciamo, come Marco Giusti o Giampiero Mughini, e pezzi originali - i Dagoreport - che grazie anche all’anonimato dell’autore garantiscono quasi sempre analisi originali ed esplicite che nessun giornale pubblicherebbe così.

 

Poi ci sono gli scoop, grandi e piccolissimi. Dalla rottura tra Francesco Totti e Ilary Blasi alla “frociaggine” denunciata da Papa Francesco.

 

DAGOSPIA CITATA DA THE GUARDIAN PER LO SCOOP SUL PAPA E LA FROCIAGGINE

Per due volte Dagospia ha dato notizia di miei cambi di lavoro prima che potessi informare i colleghi (questo dice molto sull’efficacia del sito, ma anche sulla riservatezza dei giornalisti italiani e delle aziende editoriali).

 

Ho sempre odiato Dagospia, dicevo, per una questione molto concreta: ho lavorato per quasi quindici anni nei giornali che Dagospia saccheggia. Sapevo quanto costavano quegli scoop che, pochi minuti dopo la pubblicazione, erano sulla home page del sito di D’Agostino.

 

STEFANO FELTRI

A Domani avevo ingaggiato Selvaggia Lucarelli per avere un impatto digitale maggiore, e ogni cosa interessante che Selvaggia scriveva dietro paywall per Domani finiva su Dagospia accessibile a tutti, magari con qualche minimo taglio che giustificava la dicitura “estratto” e che faceva da argine alla mia incazzatura.

 

Per qualche anno ho pensato che si potesse agire per vie legali, fermare questo saccheggio, poi ho capito che D’Agostino conosceva i giornalisti e gli editori italiani, mentre io li avevo fraintesi: non è lui che saccheggia i giornali, sono i giornalisti che lo implorano di rilanciare i loro scoop o presunti tali, sono gli editori a temere le critiche e a inseguire gli ammiccamenti, a gongolare per la visibilità […]

 

ANDREA GIAMBRUNO LEGGE DAGOSPIA NELL AEREO ROMA-MILANO

Insomma, Dagospia non si può fermare in Italia perché sono i giornalisti e gli editori a non credere nei loro giornali, a soffrire quando i loro articoli vengono pubblicati soltanto dalla testata che paga loro lo stipendio. E segnalare all’editore la “ripresa” da Dagospia è garanzia di applausi, da colleghi, superiori, direttori e amministratori delegati, oltre che editori.

 

Inoltre, giornalisti ed editori hanno paura di D’Agostino: sanno che può usare contro di loro le armi che più temono, il pettegolezzo, la satira, la derisione, ma anche l’analisi dei loro bilanci, lo sputtanamento dei loro conflittucci di interessi, delle raccomandazioni, le manifestazioni delle loro vanità.

 

il new york times incorona dagospia servizio la vita in diretta

Insomma, ero io che non avevo capito bene come funziona l’informazione in Italia. Non D’Agostino.

 

Fin dalla stagione pre-social, poi, Roberto D’Agostino ha capito che se vuoi essere credibile come giornalista è utile anche costruire il personaggio: ci provano in tanti, D’Agostino come sempre estremizza tutto.

 

Non la t-shirt nera o il dolcevita o la camicia senza giacca che alcuni giornalisti usano come segno distintivo. Molto di più. La barba da santone, i tatuaggi, le nottate da DJ (molti anni fa mi è perfino capitato di vederlo all’opera: sarò andato in discoteca tre volte in vita mia e a Roma l’unica è stata con D’Agostino, qualcosa vorrà dire ma non so cosa), le luminarie kitch sul terrazzo visibili dal Lungotevere, gli occhiali da sole.

 

dago su chi

D’Agostino usava i meme (spesso bruttissimi) prima dei meme, è stato un influencer prima degli influencer, e come quelli più svegli tra gli influencer è diventato subito content-creator, ma ha intercettato anche il grande bisogno della nostra epoca dell’informazione: non tanto gli scoop, ma la gerarchia delle notizie.

 

I lettori vogliono sapere come e cosa pensare, più che avere sempre nuovi input che aggravano l’overload informativo.

 

[…]

 

D’Agostino lo ha capito prima di tutti, prima di Francesco Costa con il suo Morning, prima dell’infinita lista di podcaster-divulgatori-youtuber che rifriggono quello che hanno letto sui giornali cercando di “spiegarlo bene”.

 

stefano feltri

Molti anni fa, c’era ogni giorno una rassegna stampa su Dagospia che scarnificava i giornali per segnalare quello che era utile, dandogli un contesto […]

 

Poi l’intero sito è diventato così rilevante da fungere da agenda unica della discussione giornalistico-politica: solo quello che esce su Dagospia esiste. All the news that fit to print è lo slogan del New York Times, Dagospia ha saccheggiato anche quello, senza dichiararlo. Sono sicuro che D’Agostino potrebbe tradurlo in romanesco in modo efficace, io non ci provo neanche.

 

Qualcuno ricorda una prima pagina di Repubblica negli ultimi dieci anni? O un titolo rilevante del Corriere della Sera, che usa formule sexy tipo “G7-La prima volta del Papa”? Tutti però ricordiamo i titoli di Dagospia, ma soprattutto il suo lavoro di selezione, di ritaglio, di gerarchia.

 

ARCHIVIO DI DAGOSPIA

[…] Dagospia non è meglio dei giornali che ha contribuito a uccidere, ma sicuramente non è peggio. […] Soprattutto, Dagospia ha una funzione sociale imprescindibile: rappresenta la classe dirigente italiana, in particolare quella all’incrocio tra media e politica (che spesso sono quasi la stessa cosa) per come è davvero, non per come pretende di essere.

 

Le persone normali, quelle che non sanno bene cosa sia Dagospia, sono spesso inorridite dalla sua home page: ma perché tutte quelle parolacce, quelle volgarità? E perché le notizie di politica o finanza sono mischiate a tette e culi? Che c’entra il cruciverba, la rubrica quasi–porno, l’indovinello su di chi è la scollatura prorompente, i videogiochi, l’auto-marchetta all’ultima intervista televisiva di D’Agostino?

 

intervista a dago su chi

La risposta è che, appunto, Dagospia rispecchia la gerarchia degli interessi della classe dirigente: deputati, imprenditori di Confindustria, banchieri, direttori. Amano raccontare di leggere soltanto il Guardian, il Financial Times, o il New York Times, ma quando poi sbirci i loro smartphone sono sempre su Dagospia, e non sempre per leggere il retroscena sul risiko bancario.

 

Vogliono quello che in una definizione imprecisa viene riassunto come “gossip” ma che è qualcosa di più pervasivo, diciamo che è il lubrificante del capitalismo relazionale e della politica clientelare. E’ l’informazione, la maldicenza, l’allusione, che alimenta la continua catena di WhatsApp criptici, appuntamenti per caffè riservati, commenti sussurrati a fine cena.

 

maria rosaria boccia e lo scoop di dagospia la storia instagram

Qualunque cosa sia quello che fa Dagospia, è l’essenza del potere romano, ma ormai anche milanese (il potere, in Italia, ha caratteristiche romane anche a Milano o Trieste).

 

Negli anni più sbrindellati, quando D’Agostino non era ancora limitato da quella autorevolezza che gli anni e il declino delle altre testate gli hanno conferito, Dagospia ha dato un contributo decisivo anche a stabilire l’auto-percezione della classe politica.

 

C’era quella rubrica, Cafonal, con le foto di Umberto Pizzi: ogni evento, ogni serata, ogni presentazione di libri o commemorazione era rappresentata come una grande abbuffata, un assalto rapace di una classe parassitaria a un Paese visto come un enorme vassoio di tartine. Tutti vogliono servirsi, e in fretta, prima che lo facciano gli altri.

 

Mi è capitato di partecipare a diversi eventi che poi vedevo rappresentati dai Cafonal di Dagospia: non erano poi così volgari come sembravano sul sito, le persone non sempre spregiudicate come sembravano in quelle foto, tra bocche spalancate, fronti sudate, cravatte allentate, zigomi deformati da chirurghi disinvolti.

 

DAGO DAL DENTISTA

Però che conta il mio ricordo personale? Quella stagione rimarrà nella memoria collettiva attraverso il racconto di Dagospia: era l’Italia della Casta, il libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, e dei Cafonal di Dagospia.

 

[…]

 

Poi tutta quella roba è finita, spazzata via dalla combinazione di tecnocrazia e populismo, le due facce inevitabili di quella medaglia che è la fine dei partiti e delle leadership carismatiche tradizionali.

 

Il declino ha confinato giornalisti e intellettuali a una dimensione cortigiana, senza nessuna pretesa di superiorità rispetto ai politici che raccontano.

 

STEFANO FELTRI E CARLO DE BENEDETTI A DOGLIANI 2020

Ognuno si è scelto la corte alla quale appartenere e lì si è incistato, con l’unica ambizione di far finire i propri articoli nella rassegna stampa della Camera in modo da farli leggere ai propri referenti (che i giornali non li comprano neanche quando li possiedono).

 

E in un’Italia mediatica così cortigiana è rimasto soltanto il racconto di Dagospia, egemone per mancanze di ogni alternativa.

 

Roberto D’Agostino è il grande raccontatore del declino italiano, del suo potere sempre più provinciale, della sua politica minore, così poco interessante che ormai i talk show in onda ventiquattro ore al giorno non osano quasi più invitare politici per timore di affossare l’audience.

 

DAGO CON IL LIBRO ULTRA CAFONAL - FOTO LAPRESSE

Meglio invitare i giornalisti che rappresentano i vari partiti o le varie correnti, contenti di sacrificare la propria autonomia intellettuale (sempre presunta, non sempre dimostrata) in cambio di qualche minuto in prima serata.

 

Oppure meglio invitare D’Agostino stesso, […]  che mette in ridicolo quello stesso meccanismo che è chiamato a commentare, e del quale è parte da sempre, a modo suo.

 

Dagospia ha vinto, l’egemonia culturale è sua, altro che di Alessandro Giuli con i suoi culti neopagani o del povero Gennaro Sangiuliano che sognava una destra ispirata a Benedetto Croce mentre lui s’ispirava a Maria Rosaria Boccia.

 

Resta una domanda: ma nei prossimi 25 anni, come farà Dagospia a raccontare un’Italia che ormai si specchia nel suo sito e ne replica i tic (“Melonismo senza limitismo”, le battute più triviali (“l’affare s’ingrossa”), le ossessioni?

 

Se tutta Italia, o almeno tutta l’Italia del potere è diventata una grande home page di Dagospia che guarda a D’Agostino come una volta guardava a Eugenio Scalfari, come farà Dagospia a fare Dagospia nei prossimi 25 anni?

dago su chi. TWEET SULLO SCOOP DI DAGOSPIA SULLE PAROLE DI PAPA FRANCESCODago e Pizzi - CafonalDAGO SCOOP SULLA AFFETTUOSA AMICIZIA TRA CHIARA FERRAGNI E SILVIO CAMPARAALESSANDRO GIULI - PENSIERO SOLARE - MEME BY DAGOSPIARedazione di Dagospia - Messa di ringraziamentoDAGOSPIA CITATA DALLA BBC PER LO SCOOP SUL PAPA E LA FROCIAGGINE DAGOSPIA CITATA DA REUTERS PER LO SCOOP SUL PAPA E LA FROCIAGGINEintervista a dago per i 25 anni di dagospia - valerio cappelli per il corriere della sera

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