STO IN ANSIA, DUNQUE SONO – IL GRANDE GIANNI BRERA RIVISITA CARTESIO TRA IRONIA E SAGGEZZA: LO STATO DI ANSIA È UN SINTOMO ELETTO NEL QUALE È COSTANTEMENTE IMPLICITA L’IDEA DI PROGRESSO SPIRITUALE E MATERIALE: NONCHÉ TEMUTA, L’ANSIA VA DUNQUE PADRONEGGIATA

Estratto del libro “Introduzione alla vita saggia” di Gianni Brera pubblicato da “la Repubblica

 

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Introduzione alla vita saggia

Perfettamente conscio e abbastanza fiero di essere un animale privilegiato, l’uomo scopre nei secoli che la sua stessa sensibilità lo pone ogni giorno di fronte a problemi esistenziali qualche volta spaventevoli. Lo stato di ansia è tuttavia un sintomo eletto, nel quale è costantemente implicita l’idea di progresso spirituale e materiale: nonché temuta, l’ansia va dunque accettata e padroneggiata secondo i dettami della scienza.

 

Nessuno sa da quanti mai secoli il bipede uomo si sia scoperto l’anima. Era un corpo vivo, stavo per scrivere animato!, con impulsi via via contenuti dalla convenienza o dalla necessità: l’ora del tempo e la dolce o perfida stagione, gli umori della femmina, la minaccia del nemico di istinti consimili o della belva mostruosa e bruta, l’ambiente occasionale.

 

In quel bipede sempre meno peloso e belluino, l’intelligenza coincide con l’idoneità a sopravvivere e riprodursi. I fenomeni naturali trovano rispondenze nella sua sensibilità sempre più raffinata.

 

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Lo aiuta la memoria a contrapporre casi consimili se non addirittura nuovi. Impara a vivere quando l’equilibrio fra sé e il mondo consiste di sensazioni di anno in anno più controllate e valide. L’anima è una entità impalpabile che il bipede uomo coglie in se stesso come si ravvisa un paesaggio, un ambiente particolare. Talora, l’impressione è sgomentevole, perché ai baratri interni non aveva mai pensato (visto che in qualche modo connetteva): ed eccoli sorprendentemente bulicare di impulsi imprevedibili, captare ed esprimere flussi ormonici in sintonia con altri che sono di amici o amanti, di nemici o amanti possibili.

 

Nasce l’homo ludens, che mima giocando la vita. Salta dall’albero e compie azioni che lo divertono nella misura in cui gli forniscono beni, sentimenti nuovi, soddisfazioni. Dimentica le mani posteriori tenendosi ritto per giungere ai frutti più alti. Adegua le mani posteriori alla necessità di un vivere sempre più dinamico, e scopre, alla lunga, di avere due piedi.

 

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L’homo faber costruisce imitando per successive osservazioni su quanto lo circonda e magari l’opprime. La zattera è desunta dalla formica navigante impavida sulla foglia. La barca è casuale opera del fuoco sul greve tronco abbattuto dalla folgore. I pesci vengono isolati e tolti dall’acqua con graticci dai quali gradualmente si giunge alla rete. La zanna che trafigge i maldestri viene sottratta alla belva e impiegata con mosse più abili e varie.

 

Quando la difficoltà della lotta consiglia più ampie distanze, la zanna si allunga in ramo appuntito a giavellotto. Una scimmia impigliata nella liana suggerisce l’idea del ramo elastico nella cui corda incoccare la freccia. Come gli uccelli del cielo costruiscono i loro nidi sui rami più alti, così astuti animali si scavano tane a riparo di venti e di piogge.

 

Il fuoco atterrisce le belve e riscalda la prole inetta dell’uomo. Sul fuoco si cuociono carni che i denti non bastano a tritare e masticare. Saper produrre il miracolo del fuoco significa dominare il mistero della notte, padroneggiare il buio e incominciare a vedere anche in se stessi. Il repertorio filosofico dell’uomo è ricco, a pensarci, non meno che astruso. E come i primitivi davano forme umane alle loro divinità, così io, disinvolto manipolatore di concetti, oso ridurre l’anima a un’immagine che molti considereranno, magari a torto, un pochino banale.

 

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Per me, dunque, l’anima è una fiammella che arde più o meno intensamente a seconda degli elementi che costituiscono il nostro organismo: se questi elementi sono nobili, la fiamma che brucia «dentro di noi» sarà vivida e lingueggiante; se non sono nobili, di una ben misera fiammella si tratterà, dunque di un’animula senza luce particolare.

 

Ma all’immagine non mi fermo: per renderla più plausibile, giova infatti completare il concetto visivo con l’aggiunta di un beccuccio comune, al quale confluiscono microscopici canali più o meno sgombri «secondo disposizione naturale e secondo i fenomeni che avvengono intorno a noi».

 

Ecco il punto. Risaliamo agli astri e pensiamo, se ci accomoda, che sia il loro influsso a dilatare quei canali microscopici, traverso i quali giunge l’essenza degli elementi che fanno ardere la fiammella dell’anima. Risaliamo anche a Dio, se vogliamo, ma solo per pregarlo che generosamente dilati o restringa (ipotesi necessaria!) quei piccoli dilettosi canali lubrificati dagli humores.

 

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Per essere schietto, mi fermo a tale ipotesi arcana e poi torno subito in terra con la coscienza perfettamente a posto. Nessuno vi impone di dubitare della scienza perché credete già in Dio e viceversa. Non è neppure vero in assoluto quello che Goethe versifica in termini così aridamente ispirati alla logica: «Chi esercita l’arte o la scienza / ha già una religione; / chi non esercita né arte né scienza / abbia invece una religione».

 

Conosco scienziati che seguitano a pregare con le semplici parole imparate dalla mammina e artisti che bestemmiano con accanimento degno solo di chi non è eretico in alcun modo. Ma quando arrivo all’immagine mia dell’anima, debbo subito ricordarmi del parroco di Orbetello: invitato a salire sugli splendidi “S55” della transvolata atlantica, rifiutò energicamente, affermando che lui «stava sempre volentieri lontano dai superiori». Io dunque rimango in terra. Qui vivo e vegeto con crescente soddisfazione animale (che è proprio tutto dire).

 

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La fiammella che arde dentro di me qualche volta sonnecchia fino a darmi il timore che alla lunga si debba spegnere molto miseramente; qualche altra volta lingueggia dandomi l’impressione anche fisica di scaldarmi, anzi di surriscaldarmi oltre ogni limite decente. Le mie ansie, per dirla schietta, oscillano fra il timore che si spenga e la speranza che arda troppo. Vedi come l’ho presa larga per riconoscermi uomo anche nelle debolezze derivanti dalla mia sensibilità! Parafrasare Cartesio è piuttosto facile, a questo punto: «Sto in ansia,dunque sono».

 

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