VIAGGIARE SENZA MUOVERSI - È MORTO SEBASTIANO VASSALLI: 'HO FATTO COSE BUONE E ANCHE OTTIME, CHE PERÒ NON HANNO AVUTO UN SUCCESSO CLAMOROSO PERCHÉ L’UMANITÀ È UN MARE DOVE I MOVIMENTI AVVENGONO IN SUPERFICIE. PIÙ SI SCENDE IN PROFONDITÀ PIÙ TUTTO SEMBRA (MA NON È) IMMOBILE'

Mario Baudino per "La Stampa"

 

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Ha trascorso tutta la maturità piantato in mezzo alle risaie, ma Sebastiano Vassalli è stato uno dei grandi scrittori del «bastione alpino» (secondo la definizione ormai classica di Carlo Dionisotti a proposito della geografia nella letteratura italiana), nato a Genova e profondamente piemontese, radicato nelle asprezze e timidezze della sua gente, in quella certa durezza contemplativa che ne caratterizza una buona (anzi ottima) pattuglia di scrittori.

 

Laurea in lettere con una tesi sull’arte contemporanea e la psicanalisi discussa con Cesare Musatti, anni da insegnante, poi solo scrittura, sprofondato nella piana del riso in faccia alle Alpi. E le Alpi, nell’immagine totemica del Monte Rosa, rifulgono come una promessa nell’ultimo romanzo, «Terre selvagge», ambientato ai tempi dell’invasione di Cimbri e Teutoni nella piana novarese. Quasi un addio.

 

Vassalli se n’è andato a 73 anni, 71 dei quali trascorsi qui, nella terra che non era nei padri (peraltro rifiutati: raccontò di essere cresciuto con certe zie a Novara proprio perché abbandonato dalla famiglia), e che era profondamente sua. Ciò non gli ha impedito di viaggiare molto (nella letteratura), per esempio verso la Marradi di Dino Campana, la sua figura ispiratrice e paterna, il suo «babbo folle»: cui dedicò nel ‘78 il suo libro forse più celebre, «La notte della cometa», che ne segnò la definitiva affermazione, oltre che una svolta profonda nella sua scrittura.

 

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Ma anche nel Sud Tirolo, cui aveva dedicato un reportage, «Terra e sangue», appena ristampato da Rizzoli con il titolo «Il confine». E’ all’altezza di quegli anni che matura il suo vero destino di scrittore.

 

Era nato nella neoavanguardia del Gruppo ‘63, e alla poetiche che circolavano in quegli anni si ispirarono con decisione i suoi primi libri, da «Narcisso» a «Tempo di màssacro», sarcastica ricognizione del mondo bipolare d’allora, con fantasioso turbinio di accenti tonici (oltre alla rivista «Pianura», da lui fondata qualche tempo dopo). Uscirono per Einaudi, nella collana dedicata agli sperimentalisti, e segnarono l’inizio di una lunga fedeltà, non esente da brontolii, e di una profonda amicizia a fasi alterne con l’editore e con Roberto Cerati, il direttore commerciale ex deus ex machina dello Struzzo.

 

Molto tempo dopo, nel suo delizioso «Alla guida dell’Einaudi», (Mondadori), Mimmo Fiorino, l’autista personale del «principe», ricordò che «a furia di stare per conto suo magari era diventato un po’ taciturno», anche se a volte «saltavano fuori dei battibecchi in casa editrice, tanto che in certi periodi aveva anche pubblicato altrove. Ma tutte le volte il dottor Einaudi in persona andava a riprenderselo, e il brutto momento passava». Scomparsi Einaudi e Cerati, a poco a poco maturò la decisione di lasciare una casa editrice dove forse nessuno andava più «a riprenderselo».

 

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Di qui il passaggio alla Rizzoli, che ne sta ripubblicando l’opera. Vassalli era uno che per conto suo, tutto sommato, stava bene. Ha avuto una esistenza travagliata, per quanto si riferisce al privato, amara, costellata di addii. E una grande fiducia nella letteratura, intesa anche come gesto solitario, in fondo sprezzante. 

 

Nella canonica di Pisnengo, in mezzo alle risaie, lui che amava scolpire il legno (a vent’anni era incerto se diventare scrittore o pittore) fece costruire un piccolo monumento alla zanzara, dedicato beffardamente ad altri intellettuali che invece facevano il diavolo a quattro contro l’invasione delle loro case di campagna. Per molti aspetti lo si poteva definire un bastian contrario, in realtà si teneva semplicemente lontano da riti e miti dei circoli letterari.

 

Una delle ultime polemiche fu contro la sensazione dominante che Elena Ferrante dovesse assolutamente vincere il premio Strega. Meglio vinca il peggiore, scrisse, e cioè un «essere umano». Non era un bastian contrario professionale, solo che il vivere un po’ isolato gli permetteva una certa distanza dai luoghi comuni e dalle «idées reçues».

 

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Il suo mondo era ai piedi del bastione, ma ad esso non si riduceva. «La Chimera» (strega e cinquina del Campiello nel 1990) recupera la storia documentata di una ragazza del ‘600, in un borgo ai piedi del Monte Rosa, che è troppo bella per non avere in sé, agli occhi di preti e benpensanti, qualcosa di diabolico; «Marco e Mattio» (1992) ricostruisce un caso psichiatrico del primo Ottocento tra le Dolomiti bellunesi; «Il Cigno» (1993) ricostruisce lo scandalo del Banco di Sicilia, a fine Ottocento; «Le due chiese» (2010) narra la storia di un paese - ancora in montagna, dalla prima guerra mondiale ai giorni nostri. Quest’anno aveva vinto il premio alla carriera del Campiello. 

 

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Vassalli ha scritto tantissimo, alternando i romanzi einaudiani con saggistica e memorialistiche per la casa editrice Interlinea di Novara, dove ha pubblicato anche «Un nulla pieno di storie», la sua autobiografia in dialogo con Giovanni Tesio. Non si è chiuso nel «genere» del romanzo storico (per esempio «Comprare il sole» parla dei giorni nostri, di una ragazza «postfemminista» con l’ossessione dei soldi) ma certo scavando nella storia, attaccandosi e flebili documentazioni e integrandole con la letteratura ha offerto il meglio di sé. Quest’anno era stato autorevolmente candidato al Nobel dall’Università di Gotheborg. Non si sa come abbia reagito.

 

Sebastiano VassalliSebastiano Vassalli

«Credo di avere fatto alcune cose buone e anche ottime, che però non hanno avuto un successo clamoroso e non possono averlo perché l’umanità è un mare dove i movimenti avvengono in superficie. Più si scende in profondità, più tutto sembra (ma non è) immobile» dice nell’autobiografia. Ha raccontato, per metafore ma non solo, qualcosa che potremmo definire - ammesso che esista - un nostro carattere nazionale. O quantomeno un’indole collettiva.

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