AVVOCATI CON LE BARBE FINTE - AGENTI DEI SERVIZI SI FINGEVANO DIFENSORI DI MAFIOSI PER INCONTRARLI IN CELLA E OTTENERE INFORMAZIONI (IN CAMBIO DI SOLDI): È IL ‘PROTOCOLLO FARFALLA’, PER CUI MARIO MORI È SOTTO ACCUSA

Salvo Palazzolo per “la Repubblica

 

MARIO MORIMARIO MORI

Due agenti segreti dell’Aisi si fingevano avvocati per incontrare in carcere un confidente davvero particolare, il capomafia di Bagheria Sergio Flamia. Un comportamento che la procura di Palermo ritiene illegittimo. Ecco perché l’inchiesta sugli 007 ha già un’ipotesi di reato ben precisa, «falso ideologico». E al vaglio dei pm c’è proprio la posizione dei due agenti, che hanno operato fra il 2008 e il 2012.

 

toto riinatoto riina

L’inchiesta è quella sul “Protocollo Farfalla”, il patto stipulato nel 2004 fra i vertici dei Servizi, all’epoca c’era il Sisde diretto da Mario Mori, e il dipartimento delle carceri, che avevano come obiettivo (questo dichiaravano) la gestione di alcuni confidenti al 41 bis. Da qualche giorno, gli accertamenti sul “Protocollo Farfalla” e sulle visite degli 007 nelle carceri fanno ufficialmente parte dell’inchiesta bis sulla trattativa Stato-mafia. I pm Di Matteo, Tartaglia, Del Bene e Teresi ipotizzano infatti che durante quegli incontri segreti in carcere fra agenti e capimafia possa essersi consumato un dialogo dai contorni poco chiari.

 

Claudio FavaClaudio Fava

Il vice presidente della commissione antimafia Claudio Fava avanza l’ipotesi che il “Protocollo Farfalla” sia servito «a sapere per tempo chi intendeva collaborare, e forse a organizzare qualche depistaggio». Di certo, non si è mai saputo cosa hanno rivelato ai servizi segreti gli otto capimafia che nel 2004 avevano accettato di fare da confidenti. «Troppe notizie sono state negate alla commissione antimafia». Fava parla di una «Gladio nelle carceri» e denuncia: «Mentre certamente i magistrati non erano stati informati, ho ragione di pensare che sia stato ben informato il presidente del consiglio dell’epoca, Silvio Berlusconi».

 

giuseppe lumiagiuseppe lumia

Del “Protocollo Farfalla” parla anche Salvatore Riina durante le sue passeggiate in carcere. Il 9 settembre dell’anno scorso, è il suo compagno dell’ora d’aria, il pugliese Alberto Lorusso, a introdurre il tema: «Alla televisione disse che c’è stato un patto». Riina coglie al volo: «Questa è la figlia di quello che hanno ucciso a Barcellona». Il riferimento è a Sonia Alfano, la figlia del giornalista assassinato nel 1993, ex presidente della commissione parlamentare europea.

 

Le intercettazioni di Riina sono state depositate a luglio al processo trattativa. Dice Lorusso, che sembra informatissimo: «C’è uno scontro, una guerra tra la procura e i servizi, questo coso si chiama protocollo farfalla, una cosa segreta che ci sono 200 dei servizi che tengono i detenuti per fare in modo che non escono le notizie perché vanno alla procura. L’ha detto questa Alfano». Riina risponde in maniera sibillina: «I servizi segreti hanno spalle ovunque, ne hanno avuto assai informazioni». E fa un riferimento che resta poco chiaro: «Perciò, questo colloquio quando diciamo che lo facciamo...».

SERGIO FLAMIA 
SERGIO FLAMIA

 

A qualche colloquio fa riferimento Riina? Poi, iniziano a parlare di donne. Il capo di Cosa nostra accenna a sua moglie, «è stata previdente». Lui, invece, si vanta di essere «un uomo di scienza». E parla di regali: «Perché io facevo preparare i cioccolatini ». Parole poco chiare, ma comunque inquietanti, che sono state oggetto di una riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza presieduto dal prefetto di Palermo.

 

«Quelli di Riina sono riferimenti pericolosissimi contro Sonia Alfano», dice il senatore Giuseppe Lumia. Sonia Alfano si dice preoccupata: «La mia colpa è aver parlato del protocollo Farfalla ». E si chiede perché queste parole di Riina non siano state segnalate al Viminale.

 

 

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