I NO TAV STANNO EVOLVENDO: DA MANIFESTANTI PACIFICI A GRUPPETTI PARAMILITARI SUL MODELLO DEI TERRORISTI BASCHI

Massimo Numa per "La Stampa"

Trentasette scontri tra forze dell'ordine e attivisti No Tav nel 2011 nell'area del cantiere della Maddalena di Chiomonte (Torino); diciotto nel 2012 e due nei primi quattro mesi e mezzo del 2013. Nel 2011, centinaia di feriti da una parte e decine dall'altra; nel febbraio 2012, durante il definitivo allargamento del cantiere, l'attivista dell'area anarchica Luca Abbà, cade dal traliccio dove è salito per protesta, restando gravemente ferito. Il 23 marzo 2013 la marcia contro la Tav, da Susa a Bussoleno. Migliaia di persone e zero incidenti.

Ma ad attaccare il cantiere, la notte dell'8 febbraio scorso, sono solo una trentina di attivisti incappucciati. Prima lanci di pietre, poi l'incendio di una centrale elettrica. Si spengono i fari e vengono lanciati bengala ad altezza d'uomo e bombe carta, pietre e bulloni con le fionde. Per un miracolo non si fa male nessuno.

L'azione coglie di sorpresa tutti, persino i capi e tutti i comitati del movimento No Tav. Ormai le frange più estreme si muovono in modo autonomo. E l'altra notte alle 3,30 il secondo attacco. Di nuovo una trentina di attivisti. Volto coperto da passamontagna, vestiti di nero, armati di molotov e di bengala. Li lanciano con un rudimentale mortaio. Questa volta l'obiettivo sono i lavoratori che stanno scavando il tunnel geo-gnostico.

L'azione è divisa in tre fasi. Gli attivisti chiudono due cancelli del cantiere con catene d'acciaio, in una zona lontana dal piazzale dove è in corso la costruzione del tunnel geo-gnostico; i reparti anti-sommossa si spostano immediatamente verso la zona dove partono gli ordigni. In quel momento, altri antagonisti aprono con una cesoia, a pochi metri da una baracca di lamiera che fa da presidio No Tav, il cancello del varco 8bis. Una decina di incappucciati, percorso il camminamento che sovrasta la volta della galleria, gettano le molotov nel piazzale, ingombro di mezzi.

Un generatore si incendia, altri ordigni cadono a pochi metri dall'ingresso del tunnel. A questo punto la priorità, per le forze dell'ordine, è quella di mettere in sicurezza i lavoratori. Li fanno uscire uno alla volta, protetti da un cordone di agenti, sino una zona isolata, sotto un viadotto. Solo allora, le forze dell'ordine possono reagire all'attacco, mettendo in fuga i black bloc con un lancio massiccio di gas lacrimogeni.

I militari, con i visori a raggi infrarossi hanno visto scendere i No Tav dalla montagna, dalle frazioni di Cels e Ramat, nel comune di Exilles e solo per questo è possibile evitare conseguenze, anche gravi, alle persone. Ieri mattina ritrovano molotov inesplose, maschere antigas, ordigni esplosivi, tubi di lancio, cesoie e tronchesi di grosse dimensioni.

È l'ultima mutazione del movimento. Dalle manifestazioni con migliaia di persone del 2005, pacifiche, volte alle protesta non-violenta, agli attacchi in stile paramilitare del 2013. Per tentare di capire cosa è successo, bisogna ancorarsi a una data: autunno-inverno 2009. In quel periodo, partono i sondaggi in Val Susa, dopo quattro anni di stop seguiti alla presa e alla distruzione del cantiere di Venaus.

I No Tav, affiancati dai capi dei centri sociali torinesi, emigrati in Val Susa, promettono che «non sarebbe stato mai piantato un chiodo nel suolo della Val Susa». La Digos di Torino cambia strategia e militarizza i cantieri. Le trivelle entrano in funzione con successo e niente è più come prima.

Il secondo passaggio cruciale avviene nella primavera-estate del 2011. Il movimento occupa l'area della Maddalena di Chiomonte e lancia una sfida al governo. Il portavoce storico, Alberto Perino, chiama alla mobilitazione generale.

La mattina del 27 giugno, a difendere il presidio della «Libera Repubblica della Maddalena», si presentano solo un migliaio di attivisti. Lo scontro dura due ore, il presidio viene sgomberato e il cantiere allestito. Gli operai di Italcoge e Martina (aziende della Val Susa) creano la prima area protetta. Il 3 luglio 2011, il movimento tenta - senza mai nasconderlo - «di riprendersi il cantiere». Sogna una Venaus 2. Finisce in un disastro: duemila manifestanti da tutta Europa attaccano il cantiere, centinaia di feriti e decine di arresti.

Il procuratore di Torino Giancarlo Caselli, in una conferenza stampa, spiegherà la linea delle accuse: «Contestiamo i singoli reati, non le idee». Il modulo di lotta, ora, sembra essere mutato ancora, importato dai No Tav dei Paesi Baschi: continui sabotaggi e attentati. Ma anche approcci ravvicinati: un operaio della Ltf, la società che gestisce i lavori, aggredito e ferito giorni fa.

 

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