aung san suu kyi

UN NOBEL MACULATO SANGUE - AUNG SAN SUU KYI, SIMBOLO DELLA LOTTA PER I DIRITTI UMANI E NOBEL PER LA PACE NEL 1991, DEVE RISPONDERE, AL TRIBUNALE INTERNAZIONALE DELL'AJA, ALLE ACCUSE DI GENOCIDIO NEI CONFRONTI DELL’ESERCITO VERSO I MUSULMANI ROHINGYA DURANTE IL SUO GOVERNO - SEBBENE LEI NON SIA FORMALMENTE IMPUTATA, LA SUA IMMAGINE E’ SEGNATA…

Alessandro Ursic per “la Stampa”

 

AUNG SAN SUU KYI

Da simbolo della lotta per la democrazia e i diritti umani, a primo difensore di un esercito - lo stesso che l' ha tenuta prigioniera per 15 anni - accusato di genocidio contro una minoranza etnica. Alla Corte internazionale di giustizia dell' Aja, ieri Aung San Suu Kyi è rimasta impassibile ascoltando gli orrendi crimini contro i musulmani Rohingya di cui la Birmania da lei guidata si è macchiata. Sebbene lei non sia formalmente imputata, l' immagine simbolo di quanto la reputazione della «Signora» sia cambiata gli occhi del resto del mondo è tutta qui.

 

Papa con Aung San Suu Kyi

Con i fiori tra i capelli Avvolta in un tradizionale vestito birmano e con i capelli raccolti tenuti insieme con gli usuali fiori, Suu Kyi (74 anni) non ha proferito parola prima, durante o dopo l' udienza davanti ai 17 giudici della più alta corte dell' Onu, dove il caso è finito su iniziativa del Gambia con l' accusa che la Birmania ha violato la Convenzione sul genocidio.

 

Abubacarr Tambadou, ministro della Giustizia del piccolo Paese africano a maggioranza musulmana, ha implorato il premio Nobel per la Pace a «fermare questi atti barbari che continuano a mettere sotto choc la nostra coscienza collettiva». Tambadou, un ex procuratore al tribunale per il genocidio in Ruanda, ha letto testimonianze dei sopravvissuti a crimini che comprendono «omicidi, torture e stupri di massa», oltre a «bambini bruciati vivi nelle loro case e in luoghi di culto».

aung san suu kyi

 

La risposta di Suu Kyi, che dal 2016 è la leader di fatto della Birmania nonché ministro degli Esteri, arriverà oggi. Dato l' intento dichiarato di «proteggere il nostro interesse nazionale», sarà probabilmente in linea con le sue dichiarazioni degli ultimi due anni: una difesa dei militari e della controffensiva scatenata nell' agosto 2017 contro «terroristi» Rohingya nel nord dello Stato Rakhine, ribadendo la sua legittimità.

 

E ciò anche se tali operazioni hanno fatto fuggire in Bangladesh oltre 700mila uomini, donne, bambini e anziani, con immagini satellitari a dimostrare come interi villaggi Rohingya siano stati rasi al suolo, innumerevoli testimonianze di sopravvissuti ancora sotto choc nei pietosi campi profughi in Bangladesh, e persino un rapporto dell' Onu che parlava di genocidio.

barack obama incontra aung san suu kyi 5

 

«LA SANTA MODERNA»

Il contrasto tra l' immagine di moderna santa di Suu Kyi e la sua freddezza nello sminuire tali orrori era evidente già durante quel massiccio esodo di Rohingya, solo cinque anni dopo altre violenze che avevano spedito in campi profughi 140mila persone.

 

È vero che le operazioni militari del 2017 erano iniziate dopo attacchi contro le forze di sicurezza che avevano causato una dozzina di morti. Ma la sproporzione tra quei crimini e la terra bruciata dell' esercito era lampante. Gli ammiratori stranieri di Suu Kyi all' inizio preferivano credere che lei non avesse colpe: dopotutto, l' esercito è un potere a sé in Birmania, e «la Signora» era al governo da solo un anno. Ma poi la sua risolutezza nel negare il problema è continuata. E come i militari, lei stessa nega ai Rohingya persino il loro nome, considerandoli «bengalesi» clandestini senza diritto di cittadinanza.

In patria Suu Kyi rimane popolarissima anche per la linea dura contro i Rohingya, disprezzati da una popolazione in maggioranza buddista terrorizzata dalla prospettiva della crescita demografica dei musulmani.

 

AUNG SAN SUU KYI

Anche ieri, all' esterno della Corte c' era un gruppetto di sostenitori, mentre a Yangon migliaia di suoi fan sono scesi nelle strade per darle man forte a distanza. Con le elezioni previste il prossimo novembre, le possibilità che Suu Kyi - nota per la sua irremovibilità - ceda alle pressioni internazionali sono minime. La lotta di 56 Paesi Suu Kyi non finirà in carcere.

 

Aung San Suu Kyi al Parlamento di Belfast

Formalmente questo è un procedimento tra il Gambia - con l' appoggio di 56 Paesi musulmani - e la Birmania. Per la sentenza dei giudici dell' Aja ci vorranno anni, e in ogni caso la Corte non ha il potere di far rispettare eventuali pene, anche se un verdetto di colpevolezza potrebbe portare a sanzioni internazionali e a un enorme danno d' immagine per il Paese. Ma Suu Kyi, la sorridente icona che sfidò i torvi generali sordi di fronte ai desideri della sua gente, ora è l' immagine di un potere stanco che non riconosce i diritti più elementari di un altro popolo. Ed è una pena che «la Signora» si è auto-inflitta.

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