AUTUNNO D’ANSIA PER IL BANANA: IN ARRIVO IL GOVERNO DEL RIBALTONE PD-FUORISCITI GRILLINI?
Ugo Magri per "la Stampa"
Il primo impulso di una super-berlusconiana impetuosa come la Santanché è di accettare la sfida: «Epifani e Bersani già pensano a un governo con gli ex-grillini? Io risponderei "prego, accomodatevi", anzi gli darei una bella mano a liberarsi di noi. Così loro metterebbero in piedi un pasticcio inguardabile che si reggerebbe tre mesi, poi si tornerebbe alle urne e a quel punto il centro-destra prenderebbe il 60 per cento dei voti...».
Per tutti i «duri» del Pdl, che vivono la convivenza col Pd come una camicia di forza, la fine del tentativo Letta sarebbe l'inizio della ricreazione. Niente più prove di maturità politica e gioiose cavalcate nelle praterie della protesta. Un sogno a occhi aperti. Peccato che il Capo non la pensi affatto come loro.
La prospettiva di essere ricacciato all'opposizione, al Cavaliere garba poco o nulla. Spiegano personaggi della sua cerchia che avrebbe troppo da perdere per infilarsi di propria iniziativa in un pericolo così grande: «La mission di un governo sorretto dagli ex-grillini sarebbe una e una sola: far fuori Berlusconi». Attraverso una vera legge sul conflitto d'interessi. Oppure dichiarandolo incompatibile col Parlamento. O magari allungando i tempi della prescrizione, in modo che non possa più approfittarne per schivare le condanne. Le modalità sarebbero tante.
«Se il piano di Bersani andasse in porto», è il discorso più gettonato dalle parti di Arcore, «Silvio rischierebbe di perdere il partito, le aziende e la libertà personale». Il centrodestra si ritroverebbe senza leader, perché al momento non dispone di ricambi... E' un'eventualità presa molto sul serio: da tempo il Cavaliere nota lo sgretolamento dei Cinque Stelle. Sa che i fuoriusciti grillini ancora non basterebbero a fare massa critica, però si rende ben conto che ormai è solo questione di settimane, al massimo mesi.
Il «governo del ribaltone», come lo bollano i berluscones, potrebbe maturare in autunno, più o meno in coincidenza con la legge finanziaria e con la sentenza di Cassazione su Mediaset. Di qui l'amore appassionato per le larghe intese, il grande abbraccio a Letta, l'alto senso di responsabilità . Non c'è uno solo, tra gli strateghi del Pdl, che ritenga possibile una crisi sull'Iva e addirittura sull'Imu, due bandiere della campagna elettorale. Brunetta fa la voce grossa, pretende il rispetto degli impegni, a chi lo prende alla lettera sembra che il governo sia sempre lì per cadere.
In realtà , il capogruppo alla Camera brandisce una pistola scarica: Berlusconi gli ha vietato di sparare. Deciderà lui, se e quando premere il grilletto. Nell'ultima cena coi discepoli, mercoledì scorso a Palazzo Grazioli, è stato categorico, colpi di testa non ce ne saranno in quanto «faremmo il gioco dei nostri avversari». L'intervista di Bersani al «Corsera» gliene ha dato l'ultima conferma.
Insomma, al netto della propaganda, il Pdl è costretto a muoversi con enorme prudenza. A costo di piegare la testa e di subire. Se non vuole giocarsi il Fondatore, il partito che da settembre tornerà alla vecchia sigla di Forza Italia, deve metterlo in condizione di difendersi. «Non abbiamo interesse a provocare crisi», confermano Gasparri, Cicchitto e la Carfagna, sempre più contraltare moderato delle cosiddette «amazzoni». Poi, si capisce, in politica tutto può cambiare molto in fretta.
Nulla esclude che il calcolo berlusconiano delle convenienze possa d'improvviso cambiare. E nessuno si spinge a immaginare cosa potrebbe succedere già mercoledì prossimo, nel caso in cui la Corte costituzionale dovesse dare torto al Cavaliere sul legittimo impedimento. Alla domanda, i più stretti collaboratori sfuggono allargando le braccia. La reazione berlusconiana resta anche per loro un punto interrogativo.
In compenso, quello stesso giorno Silvio riceverà una buona notizia. Salvo colpi di scena, la Giunta per le elezioni di Palazzo Madama nominerà il relatore sull'incompatibilità con lo scranno parlamentare, evocata in base a una legge del '57. Per effetto di una cabala procedurale indipendente dalle scelte politiche, l'incarico verrà affidato al senatore Augello, esponente (spesso critico) del suo stesso partito. Può darsi che Berlusconi lo interpreti come un segno benevolo del destino.


