BERSANI SI VERGOGNA DEI BIG DEL PD? - CLAMOROSO AL CAMPOVOLO DI REGGIO EMILIA: CULATELLO SLOGGIA DAL PALCO I CAPIBASTONE SINISTRATI (CHE IN TEORIA LO APPOGGIANO CONTRO RENZI), LI UMILIA CON UN PASS DI SERIE B E LI TIENE NASCOSTI IN UN BUDELLO DI POCHI METRI - SOLO VELTRONI (CHE TIFA DI NASCOSTO RENZI E FORSE AVEVA INTUITO LA MOSSA ANTI-CARIATIDI) EVITA LA FIGURACCIA E DISERTA IL “CULATELLO DAY”…

Michele Smargiassi per "la Repubblica"

Anna Finocchiaro signorilmente si rinfresca con un ventaglio giallo e rosso. Beppe Fioroni non s'è tolto la cravatta ed è paonazzo. Livia Turco, giacca rossa sulle ginocchia, ha trovato uno strapuntino di fortuna dietro un traliccio. Rosi Bindi s'aggira con un sorriso ineffabile. Enrico Franceschini cerca un cono d'ombra. Piero Fassino segue il discorso immerso nel testo scritto.

Enrico Letta si appoggia alla transenna, tanto è alto e ci vede lo stesso. Massimo D'Alema sceglie di rimanere appartato in fondo, imperturbabile in pieno sole. E Walter Veltroni? Non c'è, non s'è visto, che l'abbia saputo in anticipo o meno è forse l'unico dirigente storico del Pd ad avere schivato l'imbarazzo di finire nel limbo della nomenklatura.
Il palco è tutto di Pierluigi Bersani. Non proprio tutto, veramente: ci sono una quarantina di sedie, ma sono stati ammessi ad occuparle solo i sindaci delle zone terremotate e i volontari di questa Festa Democratica.

Tutti gli altri, ex ministri, ex segretari, ex premier che siano, vengono fatti accomodare, muniti di un pass di serie B, nel varco che separa il palco dalle transenne del comizione finale. Un recinto, anzi un budello largo pochi metri, dove stanno in piedi, sotto il sole spietato dell'ultima vampa d'estate. Per la prima volta niente cremlini schierati dietro il segretario. Si fa fatica a non leggerci un simbolo. Sono tutti lì, non sono stati rottamati, ma neppure saliti all'altare: restano due ore in piedi, come tutti i militanti, al loro livello, in una specie di limbo, appunto, che sembra lo specchio della condizione del ceto politico di questa Italia.

«Un partito senza padroni», lo qualifica Bersani al microfono. E senza casta, afferma la coreografia che ha scelto. Un partito, prima di tutto. «Bandiera? Cartello?», volontari distribuiscono, insistenti, centinaia di stendardi Pd. Il piazzale del campovolo ne è così saturo che uno speaker implora di lasciare almeno un corridoio visuale alle telecamere della diretta di YouDem. Non è una dimostrazione di potenza.

In realtà è uno dei comizi meno pre-organizzati della storia delle Feste del partito, i soldi per i pullman scarseggiano. È una affermazione di essenza. Significa che il Pd di Bersani si vuole mostrare come un partito che non si vergogna di esserlo, neanche sotto lo schiaffo dell'antipolitica. «Bersani, è passata la Lega, passerà anche Grillo», lo confortano. Partito, ma né proprietario né carismatico. Un partito di cui si definisce «garante», di cui vuole essere il candidato premier ma non il grande fratello.

Infatti per cognome lo chiamano, come fra colleghi, anche se gli danno del tu, «ciao Bersani»: niente Beppe e neppure Matteo, anche i coretti sono «Ber-sa-ni Ber-sa-ni», forse Pier-lu-i-gi fa troppe sillabe, forse è un modo per dire che un partito è un progetto collettivo e non il fan-club di una star.

Eppure è la sua personale giornata, di Bersani. Chiaro come il sole che la sua corsa per le primarie comincia ora. «Bersani siamo di Firenze ma siamo qui», è detto tutto. Aleggia innominato lo sfidante Renzi che proprio qui a Reggio ha preso la sua buona dose di applausi. Ora è il turno degli altri. Volonterosi, decisi. Uno s'è dipinto la maglietta «Ragassi non siamo mica qui a pettinare le bambole», un gruppetto intona un coretto tifoso ad uso telecamere. Temono.

«Con Bersani vinciamo tutti, con Renzi diventiamo il partito di una persona, come tutti gli altri». Ma rottamatori ce n'è pochi, in giro. «Bisogna rottamare le idee sbagliate, non le carte di identità», grida Angelo di Como. Gli dà manforte una da Ivrea: «Se quello là avesse rottamato Napolitano, ora stavamo come la Grecia». Jessica da Forlì scrive a spray il suo lenzuolo: «Bersani presidente lo vogliono la gggente», le frutterà un bacio del segretario.

Bersani day. Personalizzazione? Le primarie non possono evitarlo. Ma lui sembra aver capito che ai duelli politici, a differenza di quelli veri, si va senza padrini. Forse ha detto bene qualche ora prima Sergio Staino, il disegnatore papà di Bobo, che è il più identitario fra i simboli del Pd: «Guardate in faccia le persone prima di votarle». Bersani ieri ha promesso di cambiarle, le facce del Pd, intanto ha scelto di far salire sul palco solo la sua.

 

BERSANI CON LA POVERA BIMBA IN BRACCIO jpegBERSANI A REGGIO EMILIA Rosi Bindi ENRICO LETTA MATTEO RENZI A CHARLOTTE PER LA CONVENTION DEL PARTITO DEMOCRATICO AMERICANO jpegWALTER VELTRONI

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