LA BOLDRINI NON LEGA CON MARONI: ADDIO DUPLEX LEGA-PD

Giovanni Cerruti per "La Stampa"

Forse bastava una telefonata. E invece no, nemmeno quella. «Davvero?». Davvero, spiegano a Roberto Maroni con un sms, quando sono le nove del mattino. È bastata una notte e addio, i lavori in corso sono già finiti. L'accoppiata Boldrini-Grasso non poteva piacere. Meglio, molto meglio quell'accordo che partiva con Anna Finocchiaro presidente del Senato. «Ma a quanto pare il Pd ha voluto tirar giù la saracinesca», dice Massimo Bitonci, capogruppo al Senato. E Davide Caparini, deputato bresciano: «Complimenti, così riescono nella grande impresa di farci votare Schifani al Senato».

La telefonata a Maroni è arrivata troppo tardi. «A cose fatte», dice lui con un certo fastidio. «Ora ci sono due schieramenti, e con questi due Presidenti di Camera e Senato ci spingono a rafforzare l'alleanza con il Pdl». Un bicchiere ancora mezzo pieno: «Meglio per il nostro progetto nelle regioni del Nord, avremo più tempo. Provino a metter su un governo Pd e "grillini", se ci riescono. E poi vedremo quanto dura». Mercoledì Maroni sarà a Roma, con la delegazione che sale al Quirinale per le consultazioni. Difficile che in tre giorni gli umori possano cambiare. E a questo punto è impensabile che altre telefonate possano bastare.

Perché ai leghisti, per cominciare male la giornata, il nome di Laura Boldrini non è mai piaciuto e non piace. «Ma come, proprio lei che sulle questioni di profughi e immigrazione si è sempre messa di traverso, quando Bobo era al Viminale?», dice il senatore milanese Massimo Garavaglia. Gianluca Pini, deputato romagnolo è più spiccio. «Ma se gli pisciava in testa un giorno sì e l'altro pure». Su Grasso, invece, meno turbamenti. Anche se i buoni rapporti con Maroni pare siano appena formali, collaborazione senza troppe scosse negli anni al ministero degli Interni e nulla più.

«Non c'è più nulla da trattare», annuncia ai senatori il capogruppo Bitonci. La saracinesca è chiusa e si possono buttare le bozze dell'intesa, i sei punti che il senatore bergamasco Giacomo Stucchi venerdì pomeriggio riassumeva così: «Via il patto di stabilità, interventi per lavoro e sviluppo, riduzione dei parlamentari, riduzione fiscale, fine del bicameralismo perfetto e infine riforma elettorale». Un programma per almeno due anni di governo. Ma in una notte la disponibilità della Lega è svanita. Boldrini e Grasso due ostacoli impossibili da superare.

«Peccato - dice a sera Bitonci -, per colpa del Pd si è persa una grande occasione. Si stavano creando le basi per una legislatura di riforme». E bastano queste poche frasi per intravvedere una certa delusione. «Tra Bersani, Grillo e Monti si son voluti creare una loro maggioranza -insiste Sergio Divina, senatore trentino -. Ora si mettano a governare, se ci riescono. Noi eravamo all'angolo del ring, ora siamo fuori. E prima di capire come andrà a finire aspettiamoci qualche intemerata di Grillo dal suo blog». E non sembrano i migliori auguri di buon lavoro, al contrario é lo sfogo di chi non l'ha presa bene.

Maroni domani riunisce i suoi a Milano, in via Bellerio. Ci sarà poco da dire. «Faranno nascere, se riescono, un governo sinistra-centro»: Pd più «grillini» o «montiani». L'attesa vera è per mercoledì, con l'inizio delle consultazioni al Colle. Sperando che non vada a finire come nella Lega si teme, con nuove elezioni alle viste. E queste sì che sarebbero un rischio da evitare, per una Lega ha appena preso il Pirellone con Maroni, e va bene, ma ha perso un terzo dei voti. Non è detto che ritornino in cassa così in fretta. E la Lega ha bisogno di tempo. E di un governo.

 

 

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