UN CARROCCIO DI SCAZZI - BOSSI CONTRO CALDEROLI: “DEMOCRISTIANO, DICI STRONZATE” – “AL CONGRESSO VIA SIA TU CHE MARONI”

Fabio Paravisi per "corriere.it"

Quando la banda del liscio si è fermata per il comizio, il palco era solo la più banale delle strutture assemblate per l'occasione. Sono bastati venti minuti per trasformarlo nel palcoscenico di una terapia di gruppo, di uno psicodramma collettivo in cui due dei pezzi più grossi della Lega si sono detti pubblicamente in faccia quello che pensavano del partito e di loro stessi.

La scena: Festa della Lega di Spirano, nei campi attorno a San Rocco, domenica sera. Prima uscita pubblica del segretario provinciale Daniele Belotti, per il quale è stata preparata una torta a sorpresa, comizio di Umberto Bossi come pezzo forte della serata, e ospite a sorpresa Roberto Calderoli: «Non ci dovevo nemmeno venire», dice con l'aria di uno capitato per caso. L'Umberto arriva con il canonico ritardo, sferra pugni alle mani di chi le porge, bacia i bambini. Padrone di casa il sindaco Giovanni Malanchini che, forse fiutando l'aria, sfoggia una maglietta con Bossi e Maroni che si stringono la mano.

Il vecchio leader va direttamente al palco e comincia stroncando il governo e difendendo tra la perplessità generale l'acquisto degli aerei F35 che «avrebbero portato lavoro in Piemonte». Poi passa a un pezzo forte di questi giorni, l'attacco alla gestione Maroni: «C'è gente che manda circolari per dire di mettersi in cravatta e non indossare niente di verde, che preferisce lo slogan Prima il Nord, mentre invece solo la Padania può dare la vera identità. Non si sbatte fuori la gente, perché se non si può parlare non c'è democrazia». Calderoli, subito dopo, inizia elogiando il neoeletto Belotti e promette: «Se va in galera per avere difeso la Lega e l'Atalanta io vado in galera con lui».

Bossi sembra inquieto: quando Calderoli elogia Invernizzi per la «serata delle ramazze» fa un'espressione schifata, e quando sente parlare di Flavio Tosi, invita il segretario del Veneto ad andare a quel paese (eufemismo). Ed è qui che l'ex ministro decide di parlare chiaro: «Tosi è un fratello padano. Noi abbiamo perso il senso di fratellanza. Umberto, quello che dici tutti i giorni su Maroni non va d'accordo con la fraternità e la riconoscenza».

Bossi si fa ridare il microfono e chiarisce: «Nella Lega attuale la riconoscenza è la virtù del giorno prima. Qui c'è gente che tratta la base a calci. Adesso ti ridò il microfono ma non dire stronzate». Ma Calderoli non si ferma, cercare di assumere un tono scherzoso ma va giù pesante: «Avevi detto che non volevi fare come Salomone che rischiava di dover tagliare il bambino in due. Ma con quello che dici ogni giorno su Maroni, qui tagli il partito a pezzi con lo spadone. Dovresti ringraziare Maroni, che ha anche vinto in Lombardia».

E Bossi: «Sì, grazie a Berlusconi». Calderoli: «Ma va. Maroni ha vinto e se il partito è al 4% è perché la gente vede che litighiamo. Basta litigi a casa nostra. Chi se ne frega se lo slogan è Prima il nord o la Padania, l'importante è la libertà e tenere i soldi a casa nostra». E allora il senatùr si lancia: «Sei un democristiano».

L'ex ministro tiene botta: «Questa non me l'avevano ancora detta. Ma ti sfido: al prossimo congresso tu e Maroni ve ne andate con un sorriso e lasciate il posto a un giovane, che ho già in mente».

Come risposta Bossi si affaccia al palco e grida tre volte "Padania!", per sentire il pubblico rispondere ogni volta: "Libera!". Poi si gira soddisfatto: "Questo è il vero partito, non quello dei cravattari. Io metterò una norma contro le espulsioni». Calderoli non si placa: «Sono state espulse in tutto dieci persone, dici che sono troppe, magari erano poche. Ma senza quella norma avremmo ancora Belsito». Bossi: «Chi espelle ha solo paura». Calderoli: «Ma sei d'accordo almeno sulla fratellanza?». Bossi: «Certo».

Calderoli: «Allora Maroni è tuo fratello?». Bossi: «Maroni l'ho creato io». Calderoli: «Io vi avviso: se mi fate girare le scatole vi espello tutti e due. Lo so anche io che era più facile essere fratelli quando si era in un partito che aveva il 12%. Bossi: «Forse perché una volta c'era un certo Bossi come segretario». Calderoli: «Tu sei il papà e noi siamo tutti tuoi figli. Ma bisogna essere un papà vero, non di quelli che vanno tutte le sere al bar a giocare a carte».

Con un certo sollievo alla fine il microfono arriva nelle mani di uno stupefatto Belotti, al quale tocca la chiosa finale: «In vent'anni di Lega non avevo mai visto niente del genere».


2. CALDEROLI E LO SCONTRO CON BOSSI
Anna Gandolfi per "corriere.it"

Roberto Calderoli, il giorno dopo. «Lo rifarei. E lo rifarò, se necessario». Il placcaggio verbale alla festa della Lega di Spirano segna uno spartiacque: «Lo sconcerto sulle facce dei militanti mentre Umberto Bossi parlava ce l'ho stampato qui, nella mente. Espressioni che - ha spiegato ieri l'ex ministro - non voglio rivedere più».

Gli sguardi basiti dei militanti hanno portato domenica sera Calderoli - leghista della primissima ora, nipote di Enzo Innocente che nel 1984 fu il primo contatto a Bergamo di un ancora sconosciuto Umberto Bossi, plenipotenziario della Lega bergamasca nevralgica per il Carroccio - a chiedere il time-out .

Avrebbe mai immaginato di dover richiamare pubblicamente all'ordine Umberto Bossi?
«Sono stato costretto. Non che privatamente non l'avessi già fatto, a Maroni e Bossi ho scritto anche una lettera aperta».

Ma faccia a faccia su un palco non era mai accaduto. Cosa ha pensato prima di prendere quel microfono?
«Io non dovevo nemmeno esserci, alla festa di Spirano. Poi Daniele Belotti (eletto sabato segretario provinciale, ndr), ha insistito: vieni a Spirano, festeggiamo, c'è anche Bossi. Non pensavo di prender parola.

Poi Umberto ha cominciato a dire quelle cose. Io ero accanto a lui, ho visto il disorientamento dipingersi sulle facce di chi avevo davanti. Immaginiamo il militante o l'elettore che sconcerto può provare sentendo il presidente della Lega parlare così della Lega stessa, del segretario federale o di quelli nazionali. Perché dovrebbero votarci? Mi son detto: adesso basta».
Lei è sempre stato uno dei colonnelli più vicini al senatùr.
«E mi sono sentito di correggerlo in pubblico proprio perché sono al di fuori delle parti. Ci voleva qualcuno con un'anzianità di servizio e di lavoro svolto che potesse fare certe dichiarazioni. Ho preso il microfono per il bene della Lega ma anche per il suo, di Bossi: i militanti rischiano di non capirlo più».

Uno scontro del genere è inedito.
«Infatti poi Bossi mi ha dato del democristiano».
Per voi leghisti, «l'offesa».
«Ma il democristiano tende a tenere le cose nascoste, io ho fatto il contrario. Non si era mai visto, ora è il caso che si veda, perché la situazione è estrema».

Per dare una spiegazione a certe uscite del senatùr, nel partito si dice: «È mal consigliato». Non è una versione un po' comoda?
«C'è ancora chi butta benzina sul fuoco».
Lui sembrava convinto.
«Qualcuno lo sollecita in direzione errata. Bossi potrebbe essere davvero il simbolo del movimento, il presidente della Lega dovrebbe essere garanzia di unità. Invece non è così. Purtroppo».

Lei ha parlato di un nuovo segretario federale.
«Deve arrivare il momento in cui il testimone viene passato da Bossi e Maroni, che si è detto d'accordo, a un nuovo segretario. Quel passaggio dovrà avvenire col sorriso, non essere subìto. Altrimenti tutti prenderemo una musata».
Nomi?
«Non ne brucio».

Bossi scalpita. La nuova guardia non ha alcuna colpa?
«Tutti, io mi cito per primo, forse abbiamo mancato in termini di riconoscenza, di coinvolgimento al punto giusto. Però anche Umberto deve riuscire a farsi coinvolgere. Invece spesso quando c'è da prendere una decisione se ne va».
Non riuscite proprio a uscire da questo pantano.
«Io ho messo tutto il mio impegno, quest'anno e anche prima, per tenere Bossi e Maroni vicini. Evidentemente ci sono cose che non si riescono più a risolvere».

Mai pensato di mollare?
«Qualche volta sì».

Detto da uno dei pezzi da novanta della Lega, fa specie. «Se stai lavorando su un progetto e qualcuno viene a dirti: quel progetto non vale niente, lì ti cadono le braccia».

Quel qualcuno è Bossi quando dice che «la Lega così non va lontano»?
«Quando mi dice, ad esempio, che la macroregione è un progetto che non va da nessuna parte. Poi però mi passa».

Bergamo, primo congresso provinciale dell'era maroniana. Ai militanti si è seccata la gola a furia di dire che non se ne può più di fratture ai vertici.
«A Bergamo si prefigurava un congresso con divisioni, poi c'è stato un compattamento. In quel caso, l'appello all'unità è stato ascoltato».


In alto dovrebbero imparare dal basso.
«Assurdo che invece di dare il buon esempio, i vertici stiano dando quello cattivo. Ora basta».
Quanto sta rischiando la Lega?
«Di periodi brutti ne abbiamo passati».

Ma in passato Calderoli non aveva mai pensato di lasciare.
«Vero. Io non riesco ad accettare una cosa: quando ci facciamo male da soli. Supereremo anche questo, ma solo parlando chiaro: certe cose che prima avrei taciuto, ora le dirò apertamente. È una regola che, da domenica, mi sono dato».
Lei con Maroni non è sempre andato d'accordo.
«Abbiamo discusso nel '94, ora siamo nel 2013».

Ma lui e Bossi, in privato, si confrontano?
«Appunto. A me vanno bene tutte le considerazioni e le critiche, ma nelle sedi competenti. Se uno non dice niente in segreteria politica, poi esce sui giornali con certe interviste, non è corretto».

Calderoli placca Bossi.
«Ho detto cose che credo pensino tanti militanti».
Ma quella direttiva con l'obbligo di mettere la cravatta esiste davvero?
«Mai vista né letta. Da noi le cravatte obbligatorie? Io stesso quando sono stato eletto al Senato nel 2001, dove c'è quell'obbligo, la cravatta me la sono dovuta far prestare all'ingresso. Figuriamoci...».

 

 

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