LA STRATEGIA DELL’ISOLAMENTO - IL NO DI CAMERON ALLA REVISIONE DEL TRATTATO DI LISBONA È UNA MOSSA CHE SI SPIEGA SU TRE LIVELLI: AVREBBE RISCHIATO DI PERDERE LA LEADERSHIP DEL SUO PARTITO, STORICAMENTE EUROSCETTICO - SECONDO: VOLEVA EVITARE UN COLPO AL CUORE FINANZIARIO DI LONDRA (PARIGI E BERLINO PUNTANO SULLA FINANZA PER AUMENTARE LE ENTRATE) - TERZO: NON ESISTE ALCUNA GARANZIA CHE L´EURO-ACCORDO FUNZIONERÀ - SENZA CONTARE CHE LE AGENZIE DI RATING POTREBBERO DECLASSARE IL DEBITO DEGLI STATI PIÙ IMPORTANTI D´EUROPA…

John Lloyd per "la Repubblica" (Traduzione di Marzia Porta)

Ieri le prime pagine della maggior parte dei quotidiani più venduti nelle edicole della Gran Bretagna acclamavano il primo ministro David Cameron come un eroe. Essendosi rifiutato di unirsi agli altri membri dell´Unione Europea nell´approvare un trattato concepito per salvare l´euro, questi ha visto il proprio nome elevato all´Olimpo dei grandi, accanto a quello Margaret Thatcher. Il primo ministro ha difeso la Gran Bretagna; riaffermato l´interesse nazionale; privilegiato l´attuale democrazia britannica a scapito della remota prospettiva di una possibile democrazia chiamata Europa.

Per eccesso di semplificazione, i tabloid hanno causato confusione. E non è la prima volta. Certo non possono sapere - poiché nessuno può saperlo - se il veto di Cameron si tradurrà o meno in un vantaggio per la Gran Bretagna. Non lo sapremo prima di Natale. Forse lo si scoprirà l´anno prossimo. Il primo ministro non ha scelto tra "Gran Bretagna ed Europa", ma tra due incognite.

Chi critica la sua scelta ritiene che così facendo Cameron abbia isolato la Gran Bretagna dalle politiche che vengono discusse e adottate dai Paesi dell´Ue - suo principale partner commerciale. La Gran Bretagna, che non è mai entrata a far parte del "club dell´euro", oggi rischia di vedersi (di fatto, se non de iure) estromessa da tutti i suoi processi decisionali.

La decisione di Cameron ha fatto andare su tutte le furie i principali architetti dell´iniziativa: la cancelliera Angela Merkel, in primo luogo, e il presidente Nicolas Sarkozy. L´emergere di un´Europa "a due velocità" - o meglio, a tre - appare oggi molto più probabile. Con la Gran Bretagna nella corsia esterna, i membri Ue che non hanno adottato l´euro in quelle centrali, e i Paesi dell´euro che occupano l´anello interno. La principale motivazione del veto - ovvero, il desiderio di salvaguardare il centro finanziario della City londinese - potrà forse solo ritardare dei cambiamenti ormai inevitabili, dal momento che l´"inner core" del sistema economico potrebbe accordarsi su ampie modifiche da apportare al mercato del lavoro e alle aliquote fiscali, ivi compresa la "Tobin tax" sulle transazioni finanziarie.

Ma ancora più convincenti, per lo stesso Cameron, sono le seguenti argomentazioni: innanzitutto, quella prettamente politica (che nessun primo ministro, in nessuna parte del mondo, può ignorare). Il suo partito ha quasi unanimemente sposato un atteggiamento euroscettico, che varia dal moderato (la posizione di Cameron) all´irremovibile (come nel caso di coloro che vorrebbero che la Gran Bretagna uscisse completamente dalla Ue). Accettando il piano europeo, Cameron avrebbe allontanato da sé il proprio partito, e forse perso la sua stessa leadership.

Tuttavia l´aspetto prettamente politico non basta a riassumere la situazione. La City di Londra rappresenta per la Gran Bretagna un interesse di importanza vitale, poiché contribuisce enormemente alla base tributaria e dà lavoro a centinaia di migliaia di individui. È, insieme a New York, uno dei due maggiori centri della finanza mondiale. E benché la Gran Bretagna possa ancora contare su delle industrie fiorenti, nessuna credibile espansione della sua base industriale potrebbe mai compensare degli ingenti danni arrecati alla City. Qualsiasi primo ministro avrebbe cercato di proteggerla, come ha fatto Cameron - soprattutto se si pensa che tanto Parigi che Berlino hanno chiaramente manifestato l´intenzione di voler puntare sul settore finanziario per aumentare le entrate.

Né si può fingere di ignorare che non esiste alcuna garanzia che l´accordo funzionerà. O che sarà ratificato dai Parlamenti di quei ventisei Paesi i cui leader lo hanno sottoscritto. Benché questi abbiano accettato di realizzare, e in tempi molto rapidi, un´unione fiscale che prevede sanzioni automatiche per chi non sottostà alla regole comuni, i rappresentanti eletti dei Paesi da loro rappresentati - tutte democrazie - potrebbero affermare, e a ragione, che la questione meriti di essere dibattuta, messa al voto. E forse, respinta.

I mercati, infine, non hanno ancora emesso il loro verdetto. Nelle settimane che ci separano dal Natale le temutissime e controverse agenzie di rating potrebbero procedere al downgrading di qualcuno degli Stati più importanti d´Europa - come già hanno fatto con alcune delle più importanti banche di Francia e Germania, appesantite dal debito greco e italiano.

I tassi di interesse del debito sovrano potrebbero tornare a salire, sino a raggiungere livelli insostenibili. E l´implementazione di una reale (anziché retorica) disciplina fiscale tra Paesi le cui posizioni economiche e finanziarie sono così diverse - e delicate, e indebolite dalla crisi - diventerebbe addirittura più difficile. Come ha commentato ieri Robin Niblett, direttore dell´istituto di politica estera Chatham House: «In questo momento, per il Regno Unito, la decisione di rimanere in panchina potrebbe non essere così malvagia».

Oggi nei centri politici d´Europa si prova una profonda amarezza nei confronti di David Cameron e della Gran Bretagna. Su un punto, tuttavia, occorre riflettere: Cameron (a dispetto di quanto suggerito dai titoli dei giornali) non ha compromesso l´esito dell´accordo. Questo infatti andrà avanti, attraverso una serie di patti intergovernativi.

La Gran Bretagna potrebbe aver compiuto la scelta sbagliata, e in tal caso ne pagherà le conseguenze. Ma se questo ennesimo piano non dovesse funzionare, non sarà per colpa della Gran Bretagna - che tradizionalmente se ne sta in panchina, e la cui influenza sull´eurozona è da sempre marginale. I prossimi mesi ci diranno quanto pericolosa, o quanto saggia, è stata la sua decisione.

 

David CameronNICK CLEGG LEADER DEI LIBERALDEMORATICI INGLESIANGELA MERKEL NICOLAS SARKOZYbarroso

Ultimi Dagoreport

sergio mattarella quirinale

DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È IMBUFALITO PER I ‘’COLPI DI FEZ’’ DEL GOVERNO MELONI. A FAR SOBBALZARE LA PRESSIONE ARTERIOSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO STATI I SUOI CONSIGLIERI QUIRINALIZI - QUANDO HA LETTO SUI GIORNALI IL SUO INTERVENTO A LATINA IN OCCASIONE DEL PRIMO MAGGIO, CON LA SEGUENTE FRASE: “TANTE FAMIGLIE NON REGGONO L'AUMENTO DEL COSTO DELLA VITA. SALARI INSUFFICIENTI SONO UNA GRANDE QUESTIONE PER L'ITALIA”, A SERGIONE È PARTITO L’EMBOLO, NON AVENDOLE MAI PRONUNCIATE – PER EVITARE L’ENNESIMO SCONTRO CON IL GOVERNO DUCIONI, MATTARELLA AVEVA SOSTITUITO AL VOLO ALCUNI PASSI. PECCATO CHE IL TESTO DELL’INTERVENTO DIFFUSO ALLA STAMPA NON FOSSE STATO CORRETTO DALLO STAFF DEL COLLE, COMPOSTO DA CONSIGLIERI TUTTI DI AREA DEM CHE NON RICORDANO PIU’ L’IRA DI MATTARELLA PER LA LINEA POLITICA DI ELLY SCHLEIN… - VIDEO

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE AMERIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....