CAPACI DI TUTTO - ANCHE DI FARE UNA STRAGE PER INVIARE UN “PIZZINO” ALLO STATO

Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"

Quando scelse di uccidere Giovanni Falcone sventrando un pezzo di autostrada, la mafia non si limitò a togliere di mezzo il suo avversario storico. Decise di fare politica con le bombe, come altri avevano fatto in passato, al tempo della strategia della tensione. In quei primi mesi del 1992 Cosa nostra, racconta il pentito Nino Giuffrè, «mirava a un obiettivo ben preciso: cercare che lo Stato entrasse in contatto con Cosa nostra; che si trovasse un nuovo referente politico, perché quello che c'era in precedenza era ormai inaffidabile».

Totò Riina aveva confidato la sua intenzione di disarcionare gli uomini del potere attraverso gli attentati di stampo terroristico; secondo quanto riferito dall'altro pentito Salvatore Cancemi, voleva «fare perdere di prestigio alle persone che erano in sella. Voleva creare... non avere più fiducia, diciamo, del popolo, a quelli che allora guidavano il governo, quelli che guidavano allora. "Li dobbiamo cacciare dalla sella", diceva».

Conclusione dei magistrati di Caltanissetta che hanno chiuso la nuova indagine sull'eccidio del 23 maggio 1992 in cui morirono Falcone, sua moglie Francesca, e tre uomini della scorta: «Appare incontestabile come l'attentato di Capaci, letto alla luce della complessiva strategia stragista posta in essere da Cosa nostra, si proponesse, accanto all'obiettivo di eliminare "il nemico" Falcone (e, dunque, ad un fine immediato di vendetta), il fine di "spargere terrore" allo scopo di "destare panico nella popolazione", di creare una situazione di allarme che facesse apparire difficoltosa la reazione degli organi dello Stato e così costringerli a sedere in maniera convinta al tavolo della "trattativa"».

L'inchiesta condotta dal procuratore Sergio Lari, dall'aggiunto Nico Gozzo e dai sostituti Luciani e Dodero, con l'apporto della Direzione investigativa antimafia guidata dal generale Arturo De Felice, ha portato all'emissione di otto ordini di carcerazione contro altrettante persone già detenute, finora mai coinvolte nella strage di Capaci.

Si tratta di alcuni boss e «manovali», da Salvuccio Madonia al pescatore Cosimo D'Amato (già arrestato su richiesta della Procura di Firenze), passando per un gruppo di «fedelissimi» dei fratelli Graviano, già condannati per le stragi in continente del 1993. A tutti viene contestata l'aggravante delle finalità terroristiche, proprio nella logica della doppia finalità perseguita con l'attentato: eliminare il magistrato simbolo della lotta alla mafia, ma anche destabilizzare il Paese.

«Nel momento in cui ha richiamato i suoi uomini inviati a Roma per uccidere Falcone con i mezzi tradizionali, Riina ha compiuto una scelta politica, approfittando di un momento molto delicato e particolare della vita del Paese - spiega il procuratore Lari -. Momento che purtroppo, mi duole dirlo, ha molte similitudini con quello che stiamo attraversando».

Il magistrato si riferisce alla missione romana organizzata da Cosa nostra a marzo 1992, per colpire Falcone dove viveva durante la settimana; improvvisamente arrivò l'ordine di rientrare perché, spiegò Riina, «avevano trovato cose più importanti giù».

Nella capitale i killer erano quasi pronti per entrare in azione, ma il «capo dei capi» aveva deciso di cambiare strategia, imboccando la strada del terrorismo. Anche il giornalista Maurizio Costanzo doveva morire in quella primavera del '92; non a colpi di pistola, come il magistrato siciliano, ma con un ordigno esplosivo. Operazione sospesa e tentata l'anno successivo, nel 1993, con l'attentato di via Fauro. Quella bomba, che casualmente provocò solo feriti, segnò la ripresa della campagna stragista continuata sul continente, dopo l'arresto di Riina, su input del cognato Leoluca Bagarella e dei fratelli Graviano.

Come ha riferito Giovanni Brusca, l'intenzione era di seminare altri morti anche in Sicilia, ma ci fu l'opposizione di alcuni capimandamento della mafia, e dunque i progetti abortirono; sulla penisola invece, le bombe esplosero perché «passando lo Stretto di Messina uno può fare e sfare tutto quello che gli passa per la mente».

Sono le regole di Cosa nostra, che vent'anni fa «volle fare la guerra allo Stato per poi fare la pace», ricorda il procuratore aggiunto Gozzo. Una pace da cercare attraverso la trattativa imbastita - nella ricostruzione degli inquirenti di Caltanissetta, che su questo punto divergono dalle conclusioni raggiunte dai colleghi palermitani - dopo la morte di Giovanni Falcone.

«Plurimi elementi», scrivono i pubblici ministeri nisseni nel loro atto d'accusa, «inducono a ritenere che Cosa nostra, oltre alla mera "resa dei conti" con i suoi nemici storici, intendesse aprire un canale di comunicazione con ambienti istituzionali, diversi da quelli che l'avevano garantita in epoca antecedente al maxiprocesso, al fine di risolvere alcuni "problemi"». Obiettivo che comportava la necessità «di avere nuovi contatti politici».

Tra le novità emerse nell'operazione di ieri c'è il pieno coinvolgimento della cosca Graviano nell'eliminazione di Falcone, svelata dal pentito Gaspare Spatuzza. Lo stesso al quale, dopo l'uccisione di Paolo Borsellino, Giuseppe Graviano confidò che bisognava «portare avanti cose molto importanti». E che a fine '93 gli raccontò - dice lui - che Cosa nostra aveva «il Paese nelle mani» grazie all'accordo raggiunto con Berlusconi, «quello di Canale 5». Poi, a gennaio '94, i fratelli Graviano furono arrestati. E stragi non ce ne furono più.

 

 

CAPACI-L'AUTO DI FALCONESTRAGE DI CAPACI FALCONE MORVILLO FOTO REPUBBLICA STRAGE DI CAPACI FALCONE MORVILLO FOTO REPUBBLICA STRAGE DI CAPACI FALCONE MORVILLO FOTO REPUBBLICA Strage CapaciStrage di Capaci Palermo strage di capacifalcone giovanni

Ultimi Dagoreport

spionaggio paragon spyware giorgia meloni fazzolari mantovano giorgetti orcel francesco gaetano caltagirone flavio cattaneo

DAGOREPORT - E TRE! DALLO SPIONAGGIO DI ATTIVISTI E DI GIORNALISTI, SIAMO PASSATI A TRE PROTAGONISTI DEL MONDO DEGLI AFFARI E DELLA FINANZA: CALTAGIRONE, ORCEL, CATTANEO - SE “STAMPA” E “REPUBBLICA” NON LI FANNO SMETTERE, VEDRETE CHE OGNI MATTINA SBUCHERÀ UN NUOVO E CLAMOROSO NOME AVVISATO DI AVERE UN BEL SPYWARE NEL TELEFONINO - COME NEL CASO DEGLI ACCESSI ABUSIVI ALLA PROCURA ANTIMAFIA (FINITI IN CHISSÀ QUALCHE SCANTINATO), I MANDANTI DELLO SPIONAGGIO NON POSSONO ESSERE TROPPO LONTANI DALL’AREA DEL SISTEMA DEL POTERE, IN QUANTO PARAGON FORNISCE I SUOI SERVIZI DI SPYWARE SOLO AD AUTORITÀ ISTITUZIONALI - A QUESTO PUNTO, IL CASO È CORNUTO: O SI SONO TUTTI SPIATI DA SOLI OPPURE IL GOVERNO MELONI DEVE CHIARIRE IN PARLAMENTO SE CI SONO APPARATI “FUORILEGGE”. PERCHÉ QUANDO IL POTERE ENTRA NEI CELLULARI DEI CITTADINI, NON C’È PIÙ DEMOCRAZIA…

matteo salvini roberto vannacci giorgia meloni massimiliano fedriga luca zaia

DAGOREPORT – GIORGIA MELONI HA GLI OCCHI PUNTATI SULLA TOSCANA! NELLA REGIONE ROSSA SARÀ CONFERMATO EUGENIO GIANI, MA ALLA DUCETTA INTERESSA SOLO REGISTRARE IL RISULTATO DELLA LEGA VANNACCIZZATA – SE IL GENERALE, CHE HA RIEMPITO LE LISTE DI SUOI FEDELISSIMI E SI È SPESO IN PRIMA PERSONA, OTTENESSE UN RISULTATO IMPORTANTE, LA SUA PRESA SULLA LEGA SAREBBE DEFINITIVA CON RIPERCUSSIONI SULLA COALIZIONE DI GOVERNO – INOLTRE ZAIA-FEDRIGA-FONTANA SONO PRONTI A UNA “SCISSIONE CONTROLLATA” DEL CARROCCIO, CREANDO DUE PARTITI FEDERATI SUL MODELLO DELLA CDU/CSU TEDESCA - PER LA MELONI SAREBBE UNA BELLA GATTA DA PELARE: SALVINI E VANNACCI POTREBBERO RUBARLE VOTI A DESTRA, E I GOVERNATORI IMPEDIRLE LA PRESA DI POTERE AL NORD...

matteo salvini luca zaia giorgia meloni orazio schillaci

FLASH! – L’”HUFFPOST” RIPORTA CHE SALVINI VUOL CONVINCERE LUCA ZAIA A PORTARE IL SUO 40% DI VOTI IN VENETO MA SENZA CHE IL SUO NOME BRILLI SUL SIMBOLO – PER ACCETTARE IL CANDIDATO LEGHISTA STEFANI, LA MELONA INSAZIABILE, PAUROSA CHE L’EX GOVERNATORE VENETO PORTI VIA TROPPI VOTI A FDI, L’HA POSTO COME CONDIZIONE A SALVINI – PER FAR INGOIARE IL ROSPONE, OCCORRE PERÒ CHE ZAIA OTTENGA UN INCARICO DI PESO NEL GOVERNO. IL MAGGIORE INDIZIATO A LASCIARGLI LA POLTRONA SAREBBE ORAZIO SCHILLACI, MINISTRO TECNICO IN QUOTA FDI, ENTRATO IN COLLISIONE CON I TANTI NO-VAX DELLA FIAMMA - AVVISATE QUEI GENI DI PALAZZO CHIGI CHE ZAIA SUI VACCINI LA PENSA ESATTAMENTE COME SCHILLACI…

monique veaute

NO-CAFONAL! – ARCO DI TRIONFO PER MONIQUE VEAUTE, QUELLA VISPA RAGAZZA FRANCESE CHE NEL 1984 GIUNSE A ROMA PER LAVORARE ALL’ACCADEMIA DI FRANCIA DI VILLA MEDICI - DA ABILISSIMA CATALIZZATRICE DI GENIALI E VISIONARIE REALTÀ ARTISTICHE INTERNAZIONALI, DETTE VITA A UN FESTIVAL CHE SCOSSE LO STATO DI INERZIA E DI AFASIA CULTURALE IN CUI ERA PIOMBATA ROMA DOPO L’ERA DI RENATO NICOLINI – L'ONORIFICENZA DI ''COMMANDEUR DE L'ORDRE DES ARTS ET DES LETTRES'' NON POTEVA NON ESSERE CONSEGNATA DALL’AMBASCIATORE FRANCESE SE NON A VILLA MEDICI, DOVE 40 ANNI FA TUTTO È NATO….

de luca manfredi schlein tafazzi conte landini silvia salis

DAGOREPORT - LA MINORANZA DEL PD SCALDA I MOTORI PER LA RESA DEI CONTI FINALE CON ELLY SCHLEIN. L’ASSALTO ALLA GRUPPETTARA (“NON HA CARISMA, CON LEI SI PERDE DI SICURO”), CHE HA TRASFORMATO IL PD DA PARTITO RIFORMISTA IN UN INCROCIO TRA UN CENTRO SOCIALE E UN MEETUP GRILLINO – NONOSTANTE LA SONORA SCONFITTA SUBITA NELLE MARCHE E IL FLOP CLAMOROSO IN CALABRIA, LA SEGRETARIA CON TRE PASSAPORTI E UNA FIDANZATA RESISTE: TRINCERATA AL NAZARENO CON I SUOI FEDELISSIMI QUATTRO GATTI, NEL CASO CHE VADA IN PORTO LA RIFORMA ELETTORALE DELLA DUCETTA, AVREBBE SIGLATO UN ACCORDO CON LA CGIL DI “MASANIELLO” LANDINI, PER MOBILITARE I PENSIONATI DEL SINDACATO PER LE PRIMARIE – IL SILENZIO DEI ELLY ALLE SPARATE DI FRANCESCA ALBANESE - I NOMI DEL DOPO-SCHLEIN SONO SEMPRE I SOLITI, GAETANO MANFREDI E SILVIA SALIS. ENTRAMBI INADEGUATI A NEUTRALIZZARE L’ABILITÀ COMUNICATIVA DI GIORGIA MELONI – ALLARME ROSSO IN CAMPANIA: SE DE LUCA NON OTTIENE I NOMI DEI SUOI FEDELISSIMI IN LISTA, FICO RISCHIA DI ANDARE A SBATTERE…