1. ALFANO (PRO)CACCIATO NEI GUAI: BASTANO POCHE ORE PER FAR SALTARE LA FOLLE LINEA DI DIFESA DECISA DAL GOVERNINO LETTA-ALFANO. OGNI TESTA CHE ROTOLA UN’INTERVISTA: IL VENTILATORE DELLA MERDA KAZAKA ALLORA È SOLO AI PRIMI SCHIZZI… 2. IL CAPRONE ESPIATORIO PROCACCINI SMENTISCE IL MINISTRO A SUA INSAPUTA: “HO RICEVUTO L'AMBASCIATORE KAZAKO AL VIMINALE PERCHÉ ME LO DISSE IL MINISTRO SPIEGANDOMI CHE ERA UNA COSA DELICATA. IL GIORNO DOPO SPIEGAI AL MINISTRO ALFANO CHE IL DIPLOMATICO ERA VENUTO A PARLARE DELLA RICERCA DI UN LATITANTE” 3. ALFANO HA INVECE AFFERMATO DI ESSERE STATO INFORMATO SOLO DALLA BONINO 4. IL POVERO CAPRONE PROCACCINI “NAUSEATO E INGIUSTAMENTE OFFESO” SE NE VA E SCARICA I VERTICI DELLA POLIZIA: “MAI NESSUNO MI HA INFORMATO DELL’ESPULSIONE”

1. PROCACCINI CONTRADDICE ALFANO: "INFORMAI IL MINISTRO"
Fiorenza Sarzanini per "il Corriere della Sera"


Ha scelto di andarsene prima di essere cacciato, al termine di una carriera durata quarant'anni e segnata dalla fiducia massima di tutti i ministri che si sono avvicendati all'Interno. Ma non ha nascosto di essere «nauseato, per quanto è accaduto». Perché Giuseppe Procaccini è un uomo delle istituzioni e mai sarebbe rimasto al suo posto dopo il terremoto provocato dall'espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua, di appena 6 anni, il 31 maggio scorso a bordo di un jet privato messo a disposizione dalle autorità kazake.

Ma mai avrebbe immaginato che potesse finire così. Il prefetto paga per tutti e nella lettera di dimissioni consegnata lunedì sera al titolare dell'Interno Angelino Alfano lo ha scritto esplicitamente: «Dopo tanti anni di carriera vado via, ma sono stato ingiustamente offeso». Il motivo lo ha spiegato in maniera chiara a tutti coloro che lo hanno chiamato ieri per esprimergli solidarietà: «Ho ricevuto l'ambasciatore kazako al Viminale perché me lo disse il ministro spiegandomi che era una cosa delicata. L'incontro finì tardi e quindi quella sera non ne parlai con nessuno. Ma lo feci il giorno dopo, spiegando al ministro che il diplomatico era venuto a parlare della ricerca di un latitante. Lo informai che avevo passato la pratica al prefetto Valeri».

Procaccini lo dice adesso che ha già sgomberato l'ufficio, consapevole che il ministro continuerà a negarlo, come del resto ha fatto ieri di fronte al Parlamento. Eppure è proprio questa circostanza a tenere aperta la vicenda, il caso politico che continua a far fibrillare il governo. Perché riapre gli interrogativi sulla catena informativa arrivata fino al vertice del Viminale. «Ho saputo di questa storia per la prima volta quando sono stato contattato da Emma Bonino», ha sempre sostenuto Alfano.

Procaccini fornisce una diversa versione. Nega di avergli parlato dell'espulsione e dell'avvenuto rimpatrio, ma conferma di averlo informato relativamente al colloquio avuto con il diplomatico. Esattamente come ha sempre fatto nel corso della sua carriera, non a caso è famoso al Viminale per i continui «appunti» che redige.

Del resto, sia pur velatamente, ne lascia traccia proprio nella lettera al ministro, il suo ultimo atto ufficiale: «Le confermo che ho mantenuto una linearità istituzionale priva di ogni invasività, cercando di operare da tramite funzionale circa la presenza nel nostro Paese di un pericoloso latitante armato».

È questo il nodo. Il capo di gabinetto ribadisce che nessuno gli parlò del fatto che Mukhtar Ablyazov fosse un dissidente. Lo ribadisce adesso che ha deciso di farsi da parte: «Nessuno mi parlò mai dell'espulsione di sua moglie e di sua figlia. Anzi. Al termine del blitz Valeri mi comunicò che il latitante non era stato trovato e per me la vicenda si chiuse lì. Non sapevo nulla dell'espulsione. Nessuno mi ha informato di quanto accaduto relativamente alla pratica gestita dall'ufficio Immigrazione».

Lo scrive anche nella missiva consegnata ad Alfano: «Sono testimone di quanta distorsione profonda dalla realtà sia stata consumata in questi giorni da una comunicazione velenosa, offensiva, fantasiosa e stancante. Devo confessarle che ho continuamente ripercorso la vicenda e mi sono anche interrogato se qualcosa mi fosse sfuggita, ma tutto mi riporta alla obiettiva circostanza di non essere stato informato».

Non sono stati facili questi ultimi giorni al Viminale. Perché via via che filtrava la ricostruzione di quanto accaduto in quei quattro giorni di fine maggio, Procaccini e il ministro si sono confrontati in continuazione. E in alcuni momenti c'è stata anche tensione forte, confronto aspro per la necessità di tenere una posizione che diventava sempre meno credibile.

Tra otto mesi il prefetto va in pensione. Non avrebbe mai creduto di poter andare via prima. Lo scrive in modo forte, diretto: «Penso che per un capo di gabinetto dell'Interno ci sia un livello diverso di obblighi e responsabilità. L'essenza della mia funzione mi impedisce di replicare esplicitamente ma è poi la funzione stessa che è fondata sul rispetto, la fiducia senza condizioni, la stima e l'autorevolezza interna. Gli attacchi indecenti minano e incrinano tale delicato ruolo e influenza, o rischiano di farlo, il rapporto fiduciario con gli uomini delle forze di polizia, del soccorso e i tanti colleghi e collaboratori. Eppure fino a ieri l'ho sentita la fiducia, ne sono stato fiero nei tanti anni di servizio pubblico, soprattutto cercando di dare un esempio. È vero che è amaro e ingiusto lasciare in questo modo, ma l'Amministrazione ha ancora più bisogno dell'esponente apicale motivato».

C'è un aspetto della sua vita privata che Procaccini svela nella lettera proprio per dimostrare il dolore e lo sgomento per l'esito di questa storia. E infatti, dopo aver sottolineato il suo «totale impegno personale», scrive: «Ciò mi ha sicuramente limitato nella mia dimensione familiare e ne ho sempre sofferto, soprattutto quando ho visto il mio amato figliolo Fabrizio andare pian piano via. Di lui ricordo che mi disse con un filo di voce: "Avrei voluto che tu fossi orgoglioso di me". Eppure io lo sono stato immensamente e spero che lui sappia quanto e nell'assistere al suo saluto gli ho promesso che avrei cercato di agire perché lui fosse orgoglioso di me. Anche questo è per me motivo di tormento e non posso non tenerne conto mentre vengo ingiustamente offeso. Del resto la soddisfazione di aver lavorato tanti anni in una posizione che non potevo neanche immaginare di ricoprire mi lascia senza rimpianti».

Procaccini sa che la parola fine non è stata ancora scritta e conta «sulla pacata riconsiderazione delle azioni, affinché si possa riportare alla ragione i tanti preconcetti, le tante malevolenza espresse e favorite e le tante affermazioni oltraggiose e quelle avventatezze nei giudizi che sono propri di un periodo amaramente senza "rispetto"».


PROCACCINI: FU ALFANO A CHIEDERMI DI INCONTRARE L'AMBASCIATORE KAZAKO
Da "Repubblica.it"


Alle tre del pomeriggio, la voce di Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del ministro dell'Interno Angelino Alfano, non suona ancora come quella di un ex, quale pure ormai è. Né ha la remissività dell'agnello sacrificale. "Guardi - dice al telefono - Non sono abituato a smentire notizie vere. Quindi le confermo che mi sono dimesso ieri sera (lunedì, ndr). Ma le dico anche che il mio è un gesto di buona volontà per il bene dell'Amministrazione. Per svelenire questo incredibile clima. Ora sono fuori dal ministero per meditare un po'. Diciamo che adesso il mio stato d'animo è particolare. Domani, magari, tornerò nel mio ufficio per raccogliere le mie cose".

Procaccini racconta di aver saputo dall'ambasciatore kazako della presenza di un "pericoloso latitante" del suo paese e di aver ricevuto l'ambasciatore su richiesta del ministro Alfano. Il capo di gabinetto racconta anche di aver poi informato di nuovo il ministro il giorno successivo, il 29 maggio.

E conferma anche di non aver avuto alcuna informazione che, in realtà, si trattava di un dissidente kazako. Procaccini afferma inoltre di non aver saputo niente del fermo e dell'espulsione della moglie e della figlia di Ablyazov, di averlo poi appreso dai giornali. Ma agli atti dell'inchiesta ci sarebbero le telefonate del consigliere d'ambasciata kazako, mentre la donna e la bimba venivano caricate sull'aereo, verso il numero di cellulare del prefetto. Procaccini nega di aver ricevuto queste telefonate e aggiunge: "Mai nessuno mi parlò dell'espulsione".

 

GIUSEPPE PROCACCINI jpegalfano proca big ENRICO LETTA ALLA CAMERA TRA ALFANO E BONINO FERUCCIO DE BORTOLI ANGELINO ALFANO ALMA SHALABAYEVA KAZAKHSTAN ABLYAZOV ABLYAZOV famigliabonino amato enrico letta FRANCESCO CALTAGIRONE AUGUSTA IANNINI ANGELINO ALFANO ANGELINO ALFANO E MOGLIE ablyazovANGELINO ALFANO FERUCCIO DE BORTOLI alfano bersani GIUSEPPE PROCACCINIABLYAZOV CON LA FIGLIA

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