CARROCCIO FUNEBRE - ESPLODE LA RABBIA DELLA BASE LEGHISTA: BOSSI COL VOTO SU COSENTINO HA BRUCIATO I CONSENSI GUADAGNATI STANDO ALL’OPPOSIZIONE - PIOVONO DISDETTE PER LA MANIFESTAZIONE DI MILANO DEL 22 GENNAIO, CHE DOVEVA DARE UNA SPALLATA AL GOVERNO E COMINCIARE LA CAMPAGNA ELETTORALE - SU RADIO PADANIA E FACEBOOK INSULTI CONTRO IL “CERCHIO TRAGICO”, GLORIA PER MARONI - MA SOLO LA MORTE DI BOSSI PERMETTERA’ A BOBO DI PRENDERE IL POTERE…

1- CARROCCIO, RABBIA IN ONDA - COSENTINO: LA BASE ATTACCA SU RADIO PADANIA. A RISCHIO IL CORTEO A MILANO.
Alessandro Da Rold per "Lettera43"

Traballa la manifestazione della Lega Nord prevista per il 22 gennaio a Milano, dove il Carroccio avrebbe voluto dare la spallata al governo. Tutta colpa del voto su Nicola Cosentino alla Camera di giovedì 12 gennaio, con il partito spaccato tra maroniani e bossiani.

Il leader Umberto Bossi sostiene che la base leghista non è tanto amica dei magistrati. «Mai stati forcaioli», ha sottolineato. Per questo, secondo il Senatùr, il no all'arresto del depatato del Popolo della Libertà, sostenuto a gran voce anche dal padano Luca Paolini, dovrebbe essere cosa gradita ai militanti del Carroccio.

MILITANTI SUL PIEDE DI GUERRA.
In realtà, buttando un'occhiata ai social network, ascoltando Radio Padania e sentendo i militanti sul territorio quella che si racconta è tutta un'altra storia. Anzi, non solo Roberto Maroni sarebbe furioso per l'esito della votazione su Nick 'o mericano, ma pure l'ex ministro della Semplificazione Roberto Calderoli starebbe masticando molto amaro.

Il motivo è presto detto. Calderoli aveva riposto grandi speranze nella manifestazione sotto la Madonnina. Un evento che doveva riportare la Lega di lotta in piazza, su cui già si fantasticava sui numeri. Migliaia di pullman in arrivo dalle valli bergamasche e del Trevigiano. Invasione di piazza del Duomo e, magari, proteste sotto palazzo Marino contro il sindaco arancione Giuliano Pisapia.

MANIFESTAZIONE A RISCHIO.
Un sogno che, però, si è rotto a Montecitorio. Diverse sezioni, secondo quanto risulta a Lettera43.it, avrebbero infatti già annullato la loro partecipazione. Non solo. In via Bellerio piovono disdette pure per il prossimo raduno del parlamento della Padania, il 28 gennaio.
Insomma, quella che secondo Bossi dovrebbe essere una vittoria del garantismo, rischia di rivelarsi un boomerang. Almeno per il Cerchio magico. «È la giornata più nera da quando sono nella Lega», ha ammesso amaro un dirigente del Carroccio. «Avevamo recuperato consensi stando all'opposizione. Ora abbiamo ricevuto una dura battuta d'arresto. Speriamo di rialzarci, ma sarà dura».

La rabbia vera degli attivisti è scoppiata appena reso noto il risultato del voto. In molti sulla radio della Carroccio, durante la trasmissione Che aria tira, condotta da Roberto Ortelli, hanno criticato l'atteggiamento dei capi del movimento che in Commissione avevano votato a favore dell'arresto, per poi cambiare idea in Aula negando l'arresto del pidiellino. La maggior parte degli insulti sono stati rivolti a Paolini e al suo intervento.

«BOSSI È UN VENDUTO».
Insomma un delirio, finito in una rissa tra il conduttore che cercava di difendere Bossi, accusato di «essere un venduto», e colpevole «di aver salvato un camorrista» e gli ascoltatori inferociti. Come Carlo, da Brescia, secondo cui le prove contro Cosentino si «sarebbero trovate se la Lega avesse avuto la dignità di consegnare Cosentino alla magistratura».

Lo sdegno è dilagato anche sul profilo Facebook di Maroni. «Bobo siamo con te. Ora facciamo un congresso nazionale e cacciamo Bossi», ha scritto Furia Padana. L'ex capo del Viminale non ha risposto, ma è probabile che nelle prossime settimane faccia di nuovo sentire la sua voce. In particolare sul territorio, dove ha già in agenda diversi comizi, nelle sezioni leghiste di Veneto, Piemonte e Lombardia.


2 - LA RABBIA DI MARONI "CAMBIAMO UMBERTO O FINIAMO COME IL PRC"
Alessandra Longo e Rodolfo Sala per "la Repubblica"

«A questo punto io rappresento la linea dell´opposizione interna: nel gruppo dirigente ho pochi alleati, ma nella base i rapporti di forza si invertono; ecco perché occorre al più presto celebrare i congressi». Invoca il «ricambio», Bobo Maroni, dopo l´ennesima giravolta di Bossi sul caso Cosentino, «una cosa che fa impazzire i nostri militanti». Lo invoca sfogandosi con i suoi fedelissimi, con una truppa che la sconfitta di ieri non sembra affatto aver schiantato. «Non è una sconfitta», gli dicono quasi a consolarlo. Ma di consolazioni il Maroni socio fondatore della Lega sembra non avere bisogno.

Perché il voto di ieri, dopo la drammatica riunione del gruppo parlamentare della Lega, segna uno spartiacque: «Formalizza l´esistenza di una seconda visione dentro la Lega, o c´è una svolta oppure il movimento finirà a causa dei pretoriani che stanno attorno a Bossi». Insomma, è ora di gettare il cuore oltre l´ostacolo, come dicono i colonnelli maroniani in piena sintonia con i rivoltosi del web che per tutto il giorno incitano l´ex inquilino del Viminale a prendersi il partito. «L´unica cosa che escludo è uscire dalla Lega per fare un´altra cosa».

E allora nel mirino non ci sono più solo i «pretoriani» del Cerchio Magico, i viceré della «Lega di famiglia» che tengono Bossi «rinchiuso nel castello di Gemonio, o di via Bellerio». Nel mirino, ed è la prima volta, c´è il Capo: «Certo, lui è il segretario, ed questa la ragione per cui i congressi vanno fatti».

Da tempo si è fatto una convinzione, Bobo. E ieri, con i suoi, ha rimesso in fila parole che portano dritte a uno scontro vero, non più mediato da convenienze diplomatiche. «Bossi ha in mente una successione dinastica, da padre in figlio; ma sa benissimo che ci vuole tempo, e per questo ritarda la convocazione dei congressi, ampiamente scaduti». È quella la sfida, non ci sono altre strade per riportare il Carroccio nei binari: «Di là i pretoriani che circondano Bossi, fuori la base, la nostra gente». Di là il Trota, l´erede designato, di qua il cuore pulsante del movimento, il binomio sindaci-sezioni individuato come forza rigeneratrice di una Lega non più succube del signore di Arcore.

C´è chi mette nel conto, anche tra i maroniani, che la reazione i tanti distinguo pronunciati in questi ultimi tempi (dalla caparbia rivendicazione della fine dell´alleanza con il Pdl fino alla battaglia combattuta ieri) adesso possano scatenare la cacciata dei reprobi. Ma lui, Maroni, fa spallucce, e un po´ imita il Fini dell´addio a Berlusconi: «Che fanno, mi cacciano? E solo perché mi sono schierato per l´arresto di Cosentino?».

Non si può, a meno di non sconfessare «la maggioranza dei nostri militanti». Semmai la sconfessione riguarda Bossi, che durante la tesissima riunione del gruppo, ieri alla Camera, «ha cambiato idea tre volte». Prima il no all´arresto, poi la libertà di coscienza, quindi (dopo la rissa sfiorata tra il "garantista" Paolini e i giovane Dozzo) il sì all´arresto però con libertà di coscienza perché «altrimenti al Nord ci fanno il mazzo».

Errore imperdonabile, per Maroni, ma forse va bene così: «In questo modo Umberto mi ha dato la possibilità di alzare la bandiera della legalità; certo, sono stato sconfitto, ma ho tenuto la posizione, e questo agli occhi dei militanti risulta del tutto evidente». E è pacifico, anche se il Senatùr nega, che «nelle ultime ore qualcosa tra Berlusconi e Bossi c´è stato».
Alla conta, dunque. Non c´è altro da fare, insiste Maroni con un amico: «Senza una svolta finiremo come Rifondazione comunista, un partito di nicchia. Un partito avvizzito. Ma io chiederò i congressi utilizzando la voce della base».

Ma bisogna fare in fretta, e qui l´ex ministro cita Virgilio, fugit irreparabile tempus: «Anche il Pdl sta cercando di creare un nuovo partito del Nord, e spera nella Lega più deteriore, quella della Tanzania», quella dei soldi partito investiti in modo spericolato e per nulla trasparente. Ci vuole anche compattezza: «Molti dirigenti mi dicono basta, finiamola; poi mi giro e non c´è più nessuno». Per fortuna c´è la base, su quella si può contare, soprattutto dopo il vulnus di ieri: «Il ceto politico che prende i soldi è quello più soggiogato e timoroso, sanno che con questa legge elettorale se si espongono rischiano di non essere ricandidati». Dunque, «occorre mettere in moto il cambiamento, o la sconfitta sarà definitiva».

 

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