I SEGRETI DI DON MARCELLO - CHISSÀ SE DELL’UTRI VORRÀ RACCONTARE AI MAGISTRATI DELLA MILANO ANNI ’70, DEGLI INCONTRI COI BOSS, DI COME È NATA “FORZA ITALIA” - QUANTI SEGRETI NASCONDE DAVVERO L’EX SENATORE?

Attilio Bolzoni per "la Repubblica"

SE UN giorno dovesse ricordarsi - e finalmente parlare - della Milano degli anni ‘70 e di quei «signori» impomatati che venivano da Palermo, quanti segreti potrebbe raccontare? Lui, che è stato il custode dell'avventura del Cavaliere fin dagli inizi?
MENTRE organizzava incontri con i boss, lui che ha partecipato alla nascita di Forza Italia, quanti dettagli inconfessabili nasconde ancora nei suoi armadi?

La storia della mafia e dei suoi territori contigui è ricca di tradimenti e risentimenti, doppiezze, infedeltà, interessi. Perché dovrebbe fare mai eccezione proprio don Marcello Dell'Utri, ex impiegato di banca in una cassa rurale di Belmonte Mezzagno (provincia di Palermo, abitanti 11.244, altitudine 356 metri) e vent'anni dopo uno degli uomini più potenti d'Italia al fianco di un milanese che per tre volte sarebbe diventato Presidente del Consiglio?

Forse basta ricordare come - solo un anno e qualche mese fa - parlava Dell'Utri. Erano i giorni in cui bisognava decidere le candidature per le elezioni politiche del febbraio 2013, il "problema" era Marcello già condannato a 7 anni di reclusione per concorso esterno.
Dichiarazione di Berlusconi: «Temo che gli chiederemo un grande sacrificio perché una sua candidatura porterebbe critiche, nonostante le sue straordinarie qualità morali».

Risposta di Marcello: «Dico solo che basta ricordarsi dove sto io, dove sono sempre stato...Continuerò a candidarmi, non lo farò più solo da morto... ». Seconda dichiarazione di Berlusconi: «Vedremo».

Seconda risposta di Marcello: «Io non sono un amico acquisito nella stagione politica, sono un amico di vecchia data... la mia storia è la stessa di Berlusconi. Se Berlusconi mi vuole escludere l'unico modo è di rinnegare il mio passato». E poi: «Forse Silvio di soldi me ne deve ancora...». Tutto chiaro? Gli aveva mandato a dire con il suo stile: stai attento, un onorevole muto è molto più ragionevole di un imputato che rischia la galera, se finisco male io finisci male anche tu.

Il collegio blindato - nel 2013 - Dell'Utri non l'ha avuto e, qualche giorno fa, è stato costretto a fare rotta verso Beirut alla vigilia di una sentenza. E ora cerchiamo di elencare quali segreti custodiscono uno dell'altro, in quali pieghe della vicenda italiana si nascondono antichi patti tra i due, quali personaggi (assassini, trafficanti, mandanti di delitti eccellenti) hanno incrociato l'(ex) Cavaliere all'inizio della sua spericolata scalata.

Sono 25 gli anni della «vicinanza» di Marcello Dell'Utri con la mafia. Prima con l'aristocrazia criminale palermitana, poi con i Corleonesi di Totò Riina. E dietro, dietro c'è sempre l'ombra di Berlusconi. I nomi: si comincia con Antonio Virgilio e Salvatore Enea detto «Robertino », con Jimmy Fauci e Francesco Paolo Alamia. A quel tempo Marcello è segretario particolare di Silvio. È il 1970. Solo frequentazioni pericolose. Poi, il salto. Con certezza è nel 1974. Arriva ad Arcore Vittorio Mangano, uomo d'onore della famiglia di Porta Nuova che fissa la sua dimora fino all'ottobre del 1976 in via San Martino 42. È in quel momento che il legame fra i palermitani del boss Stefano Bontate e la coppia siculo-milanese diventa più strutturato.

In quei mesi tutto si fa alla luce del sole. I capi di Cosa Nostra salgono a Milano per incontrare Berlusconi in via Larga («Alla riunione eravamo presenti io, Tanino Cinà, Stefano Bontate, Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi», rivelerà il pentito Francesco Di Carlo), pranzi, cene, soldi che passano di mano.

Avrà pensato a questo Dell'Utri, l'anno scorso, quando ricordava a Silvio che erano amici di «vecchia data»? Dalla metà degli anni ‘70 alla fine degli anni ‘80: antenne (gli interessi di Bontate nel settore televisivo) e palazzi (il risanamento del centro storico di Palermo), i rapporti con il finanziere Filippo Alberto Rapisarda e quelli con i soci dell'ex sindaco Vito Ciancimino, le telefonate al commercialista (Giuseppe Mandalari) di Totò Riina, gli intrecci con le cosche catanesi. Tutto è dentro le carte su Dell'Utri, la mafiosità dell'ex segretario di Silvio accertata al cento per cento.

Fino al 1992. Poi, è un altro discorso. Poi nasce Forza Italia e Dell'Utri diventa «meno» mafioso, ci sono le stragi Falcone e Borsellino e Dell'Utri allenta il suo abbraccio con quelli di laggiù, una mezza dozzina di pentiti (creduti per tutto il resto) non vengono dichiarati attendibili sulla «disponibilità» di Cosa Nostra a sostenere Forza Italia dopo la fine dei vecchi partiti. Questo certificano gli atti giudiziari in nome del popolo italiano.

Di sicuro, qualche altro dettaglio Marcello Dell'Utri lo conoscerà. Più di quanto abbiano scoperto fino ad ora i giudici. Sul denaro che ha viaggiato da Palermo a Milano, su quell'altro che negli ultimi mesi è arrivato a Santo Domingo (c'è un'indagine per verificare se, per caso, Berlusconi stia restituendo soldi a prestanome di boss nel centro America), sui vincoli con alcune consorterie calabresi.

Di tutta questa melma, una volta, è stato chiesto conto a Berlusconi. Era il 26 novembre del 2002 e i pm di Palermo domandarono al Presidente del Consiglio: ha qualcosa da dire? Lui, Berlusconi, si avvalse della facoltà di non rispondere.

 

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