CIRINO ACCESO SUL “FOGLIO” - “MA DI COSA SI LAMENTANO? LA LEGGE SEVERINO FU VOTATA DA FALCHETTI E COLOMBINE’’ - “BERLUSCONI A QUELL’EPOCA ERA STATO GIÀ CONDANNATO IN PRIMO GRADO E IL PDL AVEVA ANCORA LA MAGGIORANZA ALLA CAMERA”

Paolo Cirino Pomicino per "il Foglio"

Un'intera estate passata dai politici a parlarsi addosso su di un solo tema, la condanna di Berlusconi e i suoi effetti sulla cosiddetta agibilità politica del leader del Pdl. Eppure le cose sono, nella loro drammaticità, di una chiarezza elementare. Va detto innanzitutto che il gruppo dirigente del Pdl non è all'altezza di una legislazione coerente con uno Stato di diritto alla stessa maniera di come non lo è il centro-sinistra. Con un'aggravante, però, che i gruppi dirigenti del Pdl si fanno male da soli.

E ci spieghiamo. La eventuale decadenza dal seggio senatoriale di Silvio Berlusconi non è il frutto della condanna comminata perché la Cassazione ha annullato proprio le pene accessorie (l'interdizione dai pubblici uffici) ritenuta dalla suprema corte, accusa compresa, eccessiva rinviando così il tutto alla corte di Appello di Milano. Berlusconi decadrà grazie ad una legge folle, a nostro avviso con larghi profili di incostituzionalità, che dichiara ineleggibile chi ha subito una condanna al di sopra dei due anni.

Questa legge fu proposta anche quando noi eravamo alla Camera dei deputati e quando vedemmo questa distorsione costituzionale preparammo un emendamento secondo il quale erano incandidabili anche coloro che "avessero chiesto ed ottenuto o disposto carcerazioni preventive per almeno sette volte a persone poi giudicate innocenti con sentenze passate in giudicato".

Non era, la nostra, una furbizia parlamentaristica ma solo un modo per dire che in uno Stato di diritto l'elettorato passivo è un diritto costituzionale di ognuno e ad un tempo del popolo sovrano. L'unica autorità che può eliminare, transitoriamente o definitivamente, quel diritto è quella giudiziaria attraverso la interdizione dai pubblici uffici.

La legge non andò avanti sino a quando non intervenne il noto governo tecnico di Mario Monti che fece passare quella norma che penalizza anche chi non è stato interdetto dai pubblici uffici. E meno male che al ministero di grazia e giustizia c'era un grandissimo avvocato. Ma la follia vera fu l'acquiescenza a questa norma del Pdl che aveva ancora la maggioranza alla Camera.

E' il caso di dire che chi è causa del suo mal pianga se stesso. In quell'occasione falchetti e colombine del Pdl restarono in un silenzio complice o stolto, perché il loro leader a quell'epoca era stato già condannato in primo grado. Dopo questa frittata legislativa davvero non si comprende, allora, l'arrogante richiesta di falchetti e colombine di far finta di niente continuando a consigliare errori a Silvio Berlusconi.

Stando così le cose ha ragione Ferrara nel dire che la leadership politica non viene tolta da una condanna ma è altrettanto vero che uno dei maggiori partiti del paese non può ritenere che la condanna del proprio leader sia diversa da quella degli altri italiani perché ne andrebbe la capacità stessa del Pdl di essere partito di governo. In questo frangente la strada è una e una sola.

Uno statista non fa votare l'assemblea cui appartiene per applicare una legge che lui stesso e il suo gruppo politico ha approvato. Uno statista si dimette prima gridando, come è nel suo diritto, la propria innocenza e la faziosità di alcuni magistrati inquirenti e giudicanti ( faziosità, peraltro, che è sotto gli occhi di tutti) ma è lui stesso a difendere la sacralità della legge, delle Camere che le approvano e della giustizia che le applicano pur commettendo errori o eccessi.

Una volta dimessosi, la sua leadership nel Pdl resta intatta, anzi viene rilanciata anche agli occhi del paese perché è un leader che fa scudo con la propria sofferenza allo Stato di diritto. Va ai servizi sociali e può direttamente o indirettamente chiedere la grazia con le procedure previste dal nostro ordinamento e nel contempo sostenere a spada tratta il governo nell'interesse del paese.

E' tempo, però, che tutti i partiti mettano mano alla riforma della giustizia eliminando lungaggini, anomalie ed eccessi non più tollerabili. A cominciare da quella custodia cautelare che viene applicata molto spesso senza alcuna responsabilità dai magistrati competenti. Il Paese deve sapere che ad oggi oltre 10mila detenuti sono in attesa del primo grado di giudizio e quasi il 50% verrà prosciolto per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato.

In un paese civile la custodia cautelare, al netto dei reati di sangue e della criminalità organizzata, può essere applicata solo per pochissimi giorni con gli arresti domiciliari, il tempo necessario, cioè, per la perquisizione, il ritiro del passaporto e le eventuali misure interdittive.

La libertà della persona è un diritto naturale inalienabile così come sancito anche dalla carta dei diritti dell'uomo approvata dall'Onu e non può che essere limitata se non dopo una condanna con le sole poche eccezioni descritte.

Anche in queste settimane abbiamo sentito di arresti da parte di giudici andati poi in ferie, tanto la libertà degli altri è un optional. Noi speriamo davvero che siano gli stessi magistrati a battersi in prima linea per limitare eccessi ed abusi del proprio potere così come speriamo che i leader politici facciano essi per primi scudo con la propria persona allo Stato di diritto ed alle sue leggi.

 

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