LIKE A VIRGIN - IL FALLIMENTO DI VIRGIN MEGASTORE IN FRANCIA DIVENTA UNA ROGNA PER HOLLANDE - IL MINISTRO DELLA CULTURA AURÉLIE FILIPPETTI HA PROMESSO DI TROVARE UNA SOLUZIONE PER TUTTI I MILLE DIPENDENTI LICENZIATI - INVECE DI DARSI DA FARE E INVENTARE NUOVE VIE DI BUSINESS, TUTTI PUNTANO IL DITO CONTRO I MOSTRI DELL’ONLINE, AMAZON E APPLE...

Da "il Foglio"

Oggi la direzione di Virgin Megastore Francia depositerà il bilancio davanti al tribunale del Commercio di Parigi, dopo che i sindacati sono stati informati delle difficoltà finanziarie dell'azienda controllata dal fondo Butler Capital Partners - 22 miliardi di euro di debiti - e dell'impossibilità di pagare creditori e stipendi. Sarà poi nominato un amministratore che dovrà vedere che cosa fare dei mille dipendenti dei 26 megastore sparsi per la Francia.

Da settimane, nell'enorme punto vendita sugli Champs-Elysées, protestano i dipendenti con i celebri gilet rossi. Il ministro della Cultura, l'intraprendente Aurélie Filippetti, ha accolto i gruppi sindacali e ha promesso loro che otterrà la migliore soluzione possibile "per ciascuno dei mille". Il problema, secondo Filippetti, è cruciale per il suo dicastero: "Sono tutti i punti vendita di prodotti culturali a essere minacciati a causa dell'ascesa dei grandi siti online che sfuggono a ogni forma di concorrenza leale, visto che non sottostanno allo stesso regime fiscale degli altri in quanto non sono basati in Francia".

La colpa è di Amazon e di Apple, che hanno stravolto il mercato dei prodotti culturali di massa - musica e libri, ma pure l'hi-tech non si sente bene - e che considerano i megastore fisici così obsoleti da non occuparsene più, impegnati come sono a farsi la guerra uno con l'altro, online.

La crisi dei megastore non è solo francese: Virgin Megastore ha già abbandonato l'Italia e l'Inghilterra (il fondatore è l'inglese Richard Branson), e sempre da noi i negozi della Fnac - brand francese, controllato dal colosso del lusso di François-Henri Pinault, che ha più di diecimila dipendenti e un piano di licenziamenti pronto - saranno ceduti entro la fine del mese al fondo Orlando Italy, dopo mesi di scioperi negli otto negozi Fnac in Italia (che impiegano circa 600 persone). Ma c'è un tratto tipicamente francese nella gestione della crisi: Filippetti vuole salvare a tutti i costi Virgin Megastore - "assomiglia tanto al ministro- nazionalizzatore Montebourg", ci dice una fonte velenosa parigina - per contribuire alla battaglia dell'anno del presidente François Hollande: quella contro la disoccupazione.

Libération, giornale della gauche in grandissima forma, dedicava ieri la sua copertina alla marcia funebre per i megastore, con un editoriale in cui il direttore Nicolas Demorand diceva che ora anche i patron della grande distribuzione subiscono quel che i piccoli negozi di dischi e di libri hanno già patito anni fa, con la concorrenza degli store online fatti di "depositi, di robot e di qualche umano a gestirli", aggressivi e senza regole. La vendetta del "dumping" o, come dice un addetto ai lavori citato in un articolo di Libération, "un impietoso darwinismo economico".

Questo darwinismo economico s'inserisce in un contesto come quello francese che tende a rifiutare ogni cambiamento. Ancora ieri mattina il Figaro riportava in prima pagina uno studio di Ernst & Young che confermava "l'eccezione fiscale" francese: tassi di prelievo fiscale tra i più alti del mondo (52 per cento, seconda soltanto alla Svezia), con un aumento delle imposte dirette a individui e aziende a discapito di quelle indirette.

Un processo "controcorrente" che fa inorridire molti commentatori - "l'ossessione della fiscalità", secondo Gaëtan de Capèle - e che per ora fa sorridere i vicini europei che seguono divertiti le fughe dei ricchi, come quella coreografica di Gérard Depardieu. La commissione europea da Bruxelles ha tentato di addolcire gli animi, pubblicando ieri un rapporto in cui emergeva che nel collasso dei redditi delle famiglie in tutto il continente, soltanto Germania e Francia (e l'accoppiata piace a Parigi: più si sta in scia con Berlino, più si è al sicuro) si salvano, "grazie a un sistema di protezione sociale e a un mercato del lavoro più robusto".

Entrambe le condizioni in Francia sono in via di trasformazione, mentre l'Europa tocca il picco più alto del tasso di disoccupazione: il debito non consente più protezioni sociali esose e il mercato del lavoro ha già mostrato la sua debolezza lasciando scappare almeno tre milioni di persone ora disoccupate.

E mentre il governo elabora piani di rilancio occupazionale e la ministra Filippetti si macera nel tentare di salvare Virgin Megastore dagli avvoltoi del Web - basterebbe che anche i grandi gruppi diventassero forti online, suggerisce in modo neppure troppo originale il fondatore dell'Observatoire société et consommation, Philippe Moati - c'è già chi sta investendo negli spazi sui Campi Elisi che potrebbero rimanere vuoti se la crisi di Virgin Megastore finirà con la chiusura. A luglio i locali erano stati acquistati dal Qatar Investment Authority, il fondo di Doha che sta pensando di farne uno showroom per Volkswagen, di cui è azionista. I qatarioti e i tedeschi sono pronti a pugnalare il cuore di Parigi.

 

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