COME RAGIONA UN ANARCHICO - “SE DISTRUGGI UN OGGETTO LO PUOI RICOSTRUÌ. SE DISTRUGGI LA PERSONA CHE SONO TRENT’ANNI CHE SI FORMA, CI VOGLIONO ALTRI TRENT’ANNI PER ARRIVA’ ALLA CAPOCCIA COME LA SUA” - PARLA ALESSANDRO SETTEPANI, UNO DEGLI INDAGATI PER L’ATTENTATO AL MANAGER DELL’ANSALDO ADINOLFI: “PUOI DINAMITARE IL PARLAMENTO O SPACCARE UN BANCOMAT, OGNI ATTACCO È BENVOLUTO” - DAI CAPI IN CARCERE PARTONO I “PIZZINI” CON GLI ORDINI PER I NUOVI ATTACCHI…

1- «HANNO SPARATO, È STATO BELLO PUOI DINAMITARE IL PARLAMENTO»
Egle Priolo per "Il Messaggero"

«Non è una briscola o un tresette. È una guerra». Parla Alessandro Settepani dalla sua casa in via Baciadonne. È il 26 maggio dello scorso anno e si compiace di uno scontro a fuoco in Grecia tra anarchici e polizia.

Lo racconta alla sua compagna, mentre anche i carabinieri del Ros lo stanno ascoltando. «Hanno tirato fuori le pistole e hanno cominciato a sparare... è stato bello». Settepani parla di «integrità» e di «serietà» dei compagni dell'organizzazione greca denominata Cospirazione delle cellule di fuoco.

«Sti tipi invece di arrendersi e consegnarsi - dice Settepani - hanno tirato fuori le pistole e hanno cominciato a sparare... è stato bello perché insomma alla fine... gente giovane... e uno è rimasto ferito... gli sbirri tutte e due feriti... uno di loro è scappato con la macchina degli sbirri... e ce l'ha fatta... e l'altro è rimasto ferito ed è stato arrestato».

L'uomo sembra contento di quanto accaduto e prosegue così: «Ma ti rendi conto che grande, che grande... che serietà, che integrità». «Per me qualsiasi attacco è benvoluto - insiste - se tu fai l'attacco... se lo puoi fare... puoi prendertela o con un semplice disgraziato bancomat o con il Parlamento... cioè puoi sia dinamitare il Parlamento ma puoi anche, che ne so, sporcare questo (inc)... È sempre un attacco... La cosa più importante per me è che avvenga l'azione diretta».

Dai verbali emergono altri particolari inquietanti, come la realizzazione in diretta del logo della Fai-Fri che incastrerà, sette mesi dopo, i dieci eversori. I carabinieri seguono questa creazione (cinque frecce nere e una stella con dentro una A) praticamente in diretta, come ricostruisce il sostituto procuratore Manuela Comodi nella sua richiesta di custodia cautelare.

Prima durante una telefonata tra Gabriel Pombo da Silva, in carcere ad Aachen, in Germania, e Stefano Fosco, l'ideologo del gruppo, nella sua casa a Pisa. «E andiamo ad utilizzarlo - dice Fosco - perché stiamo aspettando che esce prima in una rivista messicana e dopo andiamo a... Non è pubblico... ancora non si può pubblicare... però già è in marcia (sulla buona strada)». «Senti, lo voglio, lo voglio un pochino più piccolino - risponde Pombo da Silva - perché me lo voglio tatuare, sai?».

Quel «disegnetto» un mese dopo la telefonata sarà utilizzato sulla rivendicazione contenuta nel plico esplosivo giunto in Germania, il 7 dicembre 2011, e anche nei successivi attentati del 9 dicembre contro il direttore di Equitalia e del 12 dicembre all'ambasciata greca a Parigi. Tutti spediti dall'Italia, come posta prioritaria. A cui va aggiunta anche la rivendicazione dell'attentato a Roberto Adinolfi dell'Ansaldo a Genova.

A rielaborare il simbolo come richiesto da Pombo da Silva sono lo stesso Fosco ed Elisa Di Bernardo. Che decidono, come spiega Manuela Comodi, «di sostituire la scritta "Federazione Anarchica Informale" e "Fronte Rivoluzionario Internazionale" abbreviandola con gli acronimi maggiormente intellegibili, "Fai" e "Fri"».

Quella del simbolo, però, non è l'unica indicazione che arriva dal carcere. Dall'utenza fissa dell'istituto penitenziario di Aachen Pombo da Silva contatta ancora la casa di Fosco e Di Bernardo, a Pisa. Il detenuto e l'ideologo parlano di una presa di posizione dell'ala moderata del gruppo anarchico.

In particolare, come ricostruisce il gip di Perugia Lidia Brutti nella sua ordinanza, Pombo da Silva esprime «accesa indignazione per il contenuto del comunicato anonimo denominato Lettera alla galassia anarchica, i cui ignoti autori venivano tacciati di vigliacco attendismo». Il detenuto indica a Fosco «la necessità di procedere subito con una risposta emblematica». E lo fa con queste parole: «Perdere tempo con questi imbecilli... Gli diamo una risposta. Pum pum pum. E continuiamo con le nostre cose».

Le loro cose arrivano solo una settimana dopo. La telefonata è del 30 novembre e il 7 dicembre in Germania arriva il primo pacco bomba. Il primo «pum». La tripletta andrà avanti con gli attentati del 9 e del 12.

2- DAL CARCERE CON IL «PIZZINO» PARTÌ L'ORDINE DI COLPIRE
Egle Priolo per "Il Messaggero"

Gli ordini per colpire, in Italia e all'estero, escono dal carcere anche per telefono. La connessione tra eversori liberi e detenuti è costante, come ha spiegato il comandante del Ros Giampaolo Ganzer. Ma se non è possibile usare il telefono come fa Gabriele Pombo da Silva, raggiunto in un carcere tedesco dall'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Perugia, allora si usano mezzi meno tecnologici. Come i «pizzini», messaggi arrotolati in un calzino o tra i fazzoletti, che agevolmente vengono portati fuori dall'istituto penitenziario.

Un escamotage usato da Sergio Maria Stefani, detenuto ad Alessandria per il presunto attentato al treno Ancona-Orte del 2009, con l'aiuto della convivente Katia Di Stefano per far arrivare messaggi e documenti a Stefano Fosco, l'ideologo del gruppo. Un passaggio di foglietti che il sostituto procuratore Manuela Comodi racconta grazie alle telecamere nascoste nella stanza colloqui del carcere.

È il 30 novembre 2009, i due stanno parlando vicini, dalla stessa parte del tavolo, e Stefani consegna alla compagna un documento che ha appena tirato fuori da un calzino. Lei lo prende e, in silenzio, lo nasconde dentro la sua scarpa.

Nel colloquio seguente, Stefani le chiede se è tutto arrivato a Fosco e se «sta su internet il comunicato». Il documento, in effetti, come conferma lo stesso Fosco in una lettera, è stato pubblicato sul blog Culmine a firma di «Alcuni prigionieri di guerra dal carcere di Alessandria».

I due parlano ancora e Stefani «riferisce quale fosse il modus operandi che l'associazione eversiva di appartenenza doveva attuare e quali fossero gli obiettivi da colpire», prendendo come esempio l'Unabomber statunitense Theodor John Kaczynski, uno che «ammazzava i professori universitari, perché diceva: se distruggi un oggetto lo puoi ricostruì... se distruggi la persona che sono trent'anni che si forma, ci vogliono altri trent'anni per arriva' alla capoccia come la sua. Uno per scagliare un attacco deve pure mettese in testa che lo deve scaglià dove nuoce».

Dopo il colloquio, mentre entra la guardia carceraria, Stefani insiste con la Di Stefano per prendere la bottiglietta d'acqua sul tavolo. «Occhio alla bottiglia, te po' servì». «La donna, intuendo il messaggio convenzionale - conclude Manuela Comodi -, prendeva subito sia la bottiglia che il pacchetto dei fazzoletti di carta riposti sul tavolo e riusciva a portarli fuori dal carcere. È evidente che questa manovra costituisce altro sistema per veicolare messaggi all'esterno, eludendo i controlli di routine».

 

 

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