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ORFINI, TIPINI POCO FINI - IL COMPAGNO MATTEO, UNA SERPE COMUNISTA NEL RENZISMO DI GOVERNO - L’ALLEANZA TATTICA COL PREMIER: RENZI GUARDA A BLAIR, ORFINI ALLA CAMERA HA VOLUTO LO STESSO SCRANNO DI TOGLIATTI

Giancarlo Perna per “Libero Quotidiano”

MATTEO 
ORFINI
MATTEO ORFINI

 

In questa ondata di Mattei, sbuca anche Matteo Orfini, il presidente del Pd. È il terzo Matteo, dopo Renzi e Salvini, il solo di sinistra. Erede del vecchio Pci, Orfini è stato allevato da Massimo D’Alema con lo sguardo rivolto all’indietro sulle defunte Botteghe Oscure.

 

Si racconta che, appena eletto deputato nel 2013, abbia chiesto per sé lo scranno numero 26 sul quale posò le terga Palmiro Togliatti. Quando gli fu detto di no, Matteo non fece una piega accettando pragmaticamente il responso. Il realismo - tipico della dottrina comunista, da Togliatti a D’Alema - è la sua caratteristica principale. Ferreo nelle convinzioni anticapitaliste e antiborghesi, Orfini si adatta duttilmente alle circostanze per meglio raggiungere gli obiettivi. Lo prova il patto che l’anno passato, diventando presidente del Pd, ha stretto con il segretario (e premier) Renzi.

 

I due sono agli antipodi. Per carattere - Renzi gigione, Orfini muffoso - e per cultura: Renzi guarda a Blair, Orfini studia Gramsci. Entrambi se ne fanno un baffo delle idee dell’altro, certi che saranno le proprie a prevalere. La loro è un’alleanza tattica con un obiettivo comune: fare fuori i vecchi che gli intralciano il cammino.

 

MATTEO ORFINI AL KARAOKE DI RADIO ROCKMATTEO ORFINI AL KARAOKE DI RADIO ROCK

Per Orfini significa spazzare via quelli della ditta, dal mentore, Max D’Alema, a Pierlù Bersani che ha sempre considerato un citrullo. Liberato dalle mummie, sarà lui a prendere la guida della sinistra piddina. A quel punto, rotta l’intesa con Renzi, si batterà per rovesciarlo e sostituirlo.

 

Questo il machiavellico programma, di cui si è avuto un assaggio ieri, con la perfida uscita su Gianni De Gennaro (confermato dal premier alla guida di Finmeccanica). Chiunque abbia visto, sia pure in tv, il minuto Orfini si meraviglierà che un tipo così somigliante a un seminarista del Patriarcato ortodosso possa covare piani tanto bellicosi.

 

Uomo dai piccoli gesti controllati, Matteo ha le mani giunte, la barba da pope e la fronte stempiata di chi si affida più allo zelo volonteroso che non al magnetismo che un’avara natura gli ha negato. Eppure questo politico che si è costruito pezzo a pezzo sottoponendosi, per 35 dei suoi 40 anni di vita (è dell’agosto 1974),alle tutele successive dei genitori e di D’Alema, è oggi una bomba a orologeria.

 

cena di finanziamento del pd a roma  matteo orfinicena di finanziamento del pd a roma matteo orfini

Siamo di fronte ad una metamorfosi in atto,come quella annunciata dai borbottii di un vulcano. Vi racconterò perciò, nell’ordine, le due facce di Matteo: quella consolidata, nota a tutti, e la temibile serpe che sta invece per uscire dalla muta. Prima parte. Nato a Roma da dignitosa famiglia intellettuale, Orfini si iscrisse ai Ds poco dopo la dentizione.

 

La mamma Franca, giornalista-fotografa, collaborava con L’Espresso. Il babbo Mario era regista tv. Il ragazzo bazzicava i Prati, quartiere piemontese della capitale, squadrato come la pianta di Torino. Un’urbanistica tagliata conl’accetta che influisce sulla psiche dei residenti tra i quali si annovera D’Alema, di cui è nota l’acribia.L’incontro di Matteo con Max avvenne alla Sezione Ds di Piazza Mazzini, al centro del rione. Orfini, allievo del vicino Mamiani, liceo prediletto dalla sinistra, appena libero si fiondava colà.

 

matteo orfinimatteo orfini

Diventato segretario della Sezione, si legò a filo doppio con D’Alema. Max, allora deputato Ue, se lo portò a Bruxelles, lo fece portavoce e lo infilò in Italianieuropei, la sua fondazione. A metà degli anni Duemila, se un perdigiorno voleva chiarimenti sugli arzigogoli di D’Alema si rivolgeva a questo ragazzetto spuntato dal nulla. Il quale, abbeverandosi a un padreterno di quella fatta, finì per trascurare gli studi. Aveva scelto Lettere classiche per fare l’archeologo ma, non essendosi mai laureato, ha partecipato a scavi solo da dilettante. In cambio, divenne la copia del maestro. Sarcastico, compiaciuto di sé, sufficiente nel tono, nasale nella voce.

 

Non riuscì però a eguagliarlo nell’antipatia. Quando, nel novembre 2009, Bersani divenne segretario del Pd, Baffino pretese per il suo pupillo un seggio nel sinedrio, in quota Italianieuropei. Fin lì, Matteo aveva vissuto di rendita, all’ombra dell’ingombrante protettore. Seconda parte. La prima incrinatura con D’Alema - preannuncio del volo che stava per spiccare - è del 2011. Si era aperta la lizza per il comando della corrente dalemiana di Roma. Matteo già si sentiva a cavallo, quando Max scelse il più anziano Umberto Marroni, oggi deputato. Orfini, che nel fondo è narciso, se ne adontò.

 

matteo orfini maria elena boschi  sul palco centrale della festa dell unitamatteo orfini maria elena boschi sul palco centrale della festa dell unita

I due diradarono i rapporti fino a interromperli del tutto. Oggi, si prendono a pesci in faccia. D’Alema va dicendo che il giorno in cui riconquisterà il Pd «non avrà pietà dei traditori» e intende Orfini. Orfini, di rimando, ha tacciato D’Alema di «linguaggio da bar», riferendosi agli improperi di Max contro Renzi da lui accusato - da che pulpito! - di «arroganza e personalismo».

 

Una difesa che,come sappiamo, non implica adesione alle tesi di Renzi ma discende dai loro accordi. Il patto tra i due è del giugno 2014 quando il dalemiano Gianni Cuperlo - a disagio con Renzi -lasciò la presidenza Pd e fu sostituito da Orfini, anche lui della corrente di sinistra, variante giovani turchi. Stessa provenienza ma pasta diversa.

 

mario lavia claudio cerasa matteo orfini e maria elena boschimario lavia claudio cerasa matteo orfini e maria elena boschi

Dalemian-togliattiano fino all’osso, Orfini ha realisticamente preso atto che è il fiorentino a d avere il vento in poppa e, assecondando lo spirito dei tempi, si è messo sulla sua scia in attesa del proprio momento. Nel frattempo - e in ciò consiste il patto - marciano uniti contro i matusa del Pd.Con l’obiettivo di consegnare il partito e il Paese alla nuova casta dei quarantenni di cui si autoproclamano condottieri.

 

Stefano Fassina e Matteo Orfini Stefano Fassina e Matteo Orfini

 L’accordo stretto da Orfini ha spostato verso Renzi diversi della sinistra dem:il ministro dell’Agricoltura, Martina, Roberto Speranza, Andrea Orlando,il sindaco di Pesaro, Ricci, altri. Orfini aveva preparato per tempo l’uscita dall’orbita di Max. Era ancora appollaiato sulla sua spalla, quando fondò la rivista online, Left Wing.

 

I collaboratori furono il primo abbozzo di una squadra propria. Dal 2013, Left Wing ha anche una versione cartacea. L’orientamento politico è tra i più sinistri. Tempo fa uscì un numero monografico dedicato al Pd,con foto omaggio delle Botteghe Oscure, storica sede del Pci, fieramente ostentata per non dimenticare le radici sovietiche del partito.

 

Matteo Orfini e Massimo DAlema Matteo Orfini e Massimo DAlema

Dimostrazione esemplare della storcinatura celebrale del Nostro. Annualmente, Left Wing organizza una kermesse con salsicce, genere Festa dell’Unità. Nell’edizione 2014 furono messe in vendita, dieci euro al capo, magliette con la faccia di Togliatti. La ministra Maria Elena Boschi, ospite della fagiolata, è stata fotografata con indosso il Migliore. L’ultima annotazione è che Matteo può anche contare su una milizia personale, quella dei Giovani democratici - età tra i 14 e i 29 anni -, l’ex Fgci.

 

Questa costola del Pd è stata a lungo creatura di Fausto Raciti, attuale capo del Pd siciliano che, giovanissimo (classe 1984) e molto legato a Orfini, ne era la voce ventriloqua. Per Matteo, tuttavia, tanta gioventù a disposizione è un’arma doppio taglio: ottima nella battaglia contro gli attempati di oggi, infida tra dieci anni quando anchelui inciamperà nei cinquant’anni. Perché chi la fa, l’aspetti.

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