camillo ruini silvio berlusconi oscar luigi scalfaro

COMPLOTTO! IL CARDINAL RUINI CONFERMA CHE C'ERA UN PIANO DI OSCAR LUIGI SCALFARO PER FAR CADERE BERLUSCONI: “IO E SODANO RIMANEMMO IN SILENZIO IMBARAZZATO. LA NOSTRA DECISIONE DI OPPORCI FU UNANIME” – QUANDO ERA CONTRARIO ALLO SPOSTAMENTO A SINISTRA DEGLI EX DEMOCRISTIANI DEL PPI: “SAPEVO CHE ELETTORALMENTE SAREBBERO FRANATI. LI AVVISAI: ‘PRENDERETE AL MASSIMO IL 15%’. MI RISPOSERO: ‘NON ANDRÀ COSÌ, AL SUD VINCEREMO NOI’. AVEVO RAGIONE IO…” – “LA TENDENZA PREVALENTE NEL PPI FU DI DEMONIZZARE BERLUSCONI, INCOLPANDOLO DI AVER RUBATO I LORO VOTI E DI RAPPRESENTARE UN PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA. NON ACCETTAI QUESTA LINEA…”

Estratto dell’articolo di Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”

 

camillo ruini

Ancora og­gi, per tutti resta «Sua Eminenza». È Camillo Ruini, che ha guidato la Conferenza episcopale italiana dal 7 marzo 1991 al 7 marzo 2007, attraversando i grandi cambiamenti del Paese. Ma non solo da uomo di Chiesa. Perché fuori dal Vaticano il cardinale era considerato «un leader politico» […]. Nei 16 anni che vanno dal crollo della Prima Repubblica all’apice dell’era berlusconiana ha avuto infatti una forte influenza nelle decisioni dei partiti, nelle scelte legislative dei governi e persino in alcuni passaggi referendari.

 

Il suo racconto inizia dalla fine della Democrazia cristiana […]: «[…]E, quando mi trovai a presiedere la Cei, difesi finché possibile il rapporto con la Dc. Con il senno di poi, posso dire che forse sono andato anche un po’ oltre il possibile».

 

In che senso?

giulio andreotti camillo ruini

«Nel senso che già all’inizio degli anni Novanta non c’era ormai più niente da fare. Feci ancora un tentativo, firmai un articolo su Avvenire in cui dicevo che il rapporto tra la Chiesa e la Dc si basava su un punto imprescindibile: la ritenevamo l’unica forza in grado di appoggiare e garantire principi e valori per noi irrinunciabili.

 

Ma questo rapporto non sarebbe sopravvissuto se i politici si fossero disimpegnati. In tal caso, ne avremmo preso atto. E quell’alleanza […] si sarebbe sciolta. Era un messaggio rivolto ai dirigenti della Dc, per far capire che era loro responsabilità tenere una certa linea».

 

Poi arrivò Tangentopoli e spazzò via tutto.

camillo ruini massimo dalema

«Senza Mani Pulite non sono affatto sicuro che i politici della Prima Repubblica sarebbero durati ancora a lungo. Ma non c’è dubbio che la fine fu provocata da Mani Pulite».

 

Quale era il suo giudizio sulla stagione giudiziaria?

«Il giudizio era e resta negativo. Emersero effettivamente problemi di legalità, ma ero sconcertato nel vedere amici cari morire sotto il peso di accuse mai dimostrate. Assistere a metodi che sembravano intimidatori […]. Constatare gli sconfinamenti di potere e quel meccanismo unilaterale in base al quale c’era chi veniva salvato e chi no».

Mino Martinazzoli

 

[…] La Dc è caduta.

«Ed è stato un brutto modo di cadere. Quando accadde ci interrogammo, perché anche per noi si poneva un problema. Dissi subito: “Un altro partito dei cattolici è impossibile”. Percepii che, storicamente, non c’era più lo spazio».

 

Non poteva essere il nascente Partito popolare italiano a prenderne l’eredità?

«In quel periodo di passaggio da un partito all’altro ero molto ricercato da uomini politici della Dc e di altre forze che volevano consultarmi. Da Mino Martinazzoli a Giovanni Spadolini».

silvio berlusconi camillo ruini

 

Che c’entrava una personalità laica, come il repubblicano Spadolini, in quel dibattito […]?

«Spadolini venne da me per opporsi al cambio di nome della Dc. Mi chiese di fare qualcosa per impedirlo. Ricordo le sue parole: “Da storico le dico che il nome Democrazia cristiana è il nome della vittoria dei cattolici. Partito popolare è invece il nome della sconfitta”. Gli risposi: “Presidente, sono d’accordo con lei, ma non decido io”».

 

Tentò di dissuadere i dirigenti della Dc?

«Ci provai quando mi vennero a parlare del cambio del nome. Lo dissi a Martinazzoli, a Rosa Russo Jervolino, a Rosy Bindi. Ma niente. E pensare che Martinazzoli […] condivideva le mie preoccupazioni. Però poi non si muoveva conseguentemente. Non so perché».

 

karol wojtyla camillo ruini

Quali erano le sue «preoccupazioni»?

«La collocazione politica era il tema per me più importante. Temevo che il partito, spostandosi a sinistra, avrebbe perso il suo elettorato. Il Ppi si era definito “alternativo” alla Lega, che allora era la destra emergente, mentre si era dichiarato “antagonista” della sinistra. Questo era il grande cambiamento. Fino ad allora la Dc era stata “alternativa” al Pci, la sua forza elettorale si reggeva sul rappresentare i cattolici ma anche, e forse soprattutto, sull’essere la diga al comunismo. Venuto meno questo, sapevo che elettoralmente sarebbero franati».

 

Glielo disse?

BERLUSCONI BOSSI BUTTIGLIONE CASINI FINI FITTO

«Li avvisai: “Prenderete al massimo il 15%”. Mi risposero: “Non andrà così, al Sud vinceremo noi”. “Non illudetevi”, conclusi. Purtroppo avevo ragione e Martinazzoli si dimise da segretario subito dopo il voto del 1994».

 

Quando vinse Silvio Berlusconi.

«Che era l’altro tema in vista delle elezioni. Nel Ppi c’era chi, come Rocco Buttiglione, spingeva per allearsi con Berlusconi: personalmente ritenevo fosse molto importante stabilire un’intesa con lui […]. In quella fase lo vidi per la prima volta, ma alla fine l’intesa tra lui e i Popolari non fu possibile. E, all’indomani del risultato, la tendenza prevalente nel Ppi fu di demonizzare Berlusconi, incolpandolo di aver rubato i loro voti e di rappresentare un pericolo per la democrazia. Non accettai questa linea».

 

E lo fece sapere.

marcello pera camillo ruini

«La domenica successiva al voto, sull’inserto di Avvenire per la diocesi di Roma, feci pubblicare un breve articolo redazionale. C’era scritto che si prendeva atto di questa novità politica con interesse, in attesa di verificarla alla prova dei fatti. L’intenzione era di aprire una porta, non di chiuderla. E mi attirai le critiche molto dure di quanti, come il mio amico Beniamino Andreatta, dissentirono da questa posizione».

 

Mentre Berlusconi la apprezzò.

«Dopo essere diventato presidente del Consiglio fu molto gentile a venire da noi alla Cei. Si mise a disposizione. Disse che il suo governo sarebbe stato pronto a intensificare i rapporti con la Chiesa».

 

E sulla parte dei principi e dei valori?

«A parole diceva di essere totalmente d’accordo con noi».

 

Ma delle «parole» lei non si fidava.

camillo ruini carlo azeglio ciampi

«All’interno della Chiesa discutemmo sulla posizione da prendere […]. Mantenere con il Ppi il rapporto che avevamo avuto con la Dc era ormai impossibile. In ogni caso non volevamo alcun tipo di nuovo collateralismo. Con nessuno. Nemmeno con Berlusconi».

 

Quale fu allora la decisione?

«Nel 1995, nel suo discorso conclusivo al convegno ecclesiale di Palermo, Giovanni Paolo II dichiarò che la Chiesa non avrebbe dovuto coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito.

 

OSCAR LUIGI SCALFARO

“Ma — aggiunse — ciò non implica in alcun modo una diaspora culturale dei cattolici”. Voleva dire che non si può ritenere compatibile con la fede l’adesione a forze politiche che si oppongono o non prestano attenzione ai principi della dottrina sociale della Chiesa: sulla persona, sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace. Fu una linea saggia e producente».

 

A cosa si riferisce?

«Allungando un po’ lo sguardo, i momenti salienti furono il referendum sulla procreazione assistita: puntando sull’astensione ottenemmo il 74%. E più tardi l’opposizione alla legge del governo di Romano Prodi sui Dico, che apriva le porte al riconoscimento delle unioni tra omosessuali. Non ero più presidente della Cei, ma guidai ancora io quel passaggio. E grazie alla manifestazione del Family day quel provvedimento si fermò. Ecco, sia il referendum sia il Family day furono esempi del modo in cui la Chiesa si posizionò in proprio, esprimendo direttamente la sua posizione».

 

Ma sempre opposta al centrosinistra.

camillo ruini silvio berlusconi angelo sodano

«Non proprio. Infatti con Francesco Rutelli alla guida della Margherita fu possibile avviare un rapporto collaborativo. E ci impegnammo in tal senso. Rutelli fece degli interventi precisi e competenti sulla questione della procreazione assistita, dicendo che si sarebbe astenuto, come avevamo chiesto. La nostra posizione autonoma dava quindi dei risultati. Piuttosto non consideravamo Berlusconi un pericolo per la Repubblica, tutto qui».

 

A tale proposito, nel libro […] «Il Colle d’Italia», si racconta di un pranzo al Quirinale che sarebbe avvenuto subito dopo l’estate del 1994. C’è scritto che l’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro avrebbe invitato lei, il cardinale Angelo Sodano e monsignor Jean-Louis Tauran per chiedervi di «aiutarlo a far cadere il governo Berlusconi». E che la vostra risposta sarebbe stata un «silenzio imbarazzato».

(Impiega un po’ prima di rispondere) «Effettivamente andò così. La nostra decisione di opporci a quella che ci appariva come una manovra — al di là della indubbia buona fede di Scalfaro — fu unanime.

 

silvio berlusconi camillo ruini

E pensare che Scalfaro era stato per me un grande amico. Rammento quando De Mita nel 1987 gli aveva offerto di diventare presidente del Consiglio, in opposizione a Craxi e con la benevolenza del Pci. Scalfaro allora era venuto da me e mi aveva detto che avrebbe rifiutato.

 

“Fa bene”, avevo risposto. E infatti a palazzo Chigi sarebbe poi andato Amintore Fanfani. Per questo rimasi colpito dal modo in cui aveva cambiato posizione, così nettamente (altra pausa). Penso che Berlusconi abbia mostrato i suoi pregi e i suoi limiti, come tutti gli altri politici, ma che non abbia avuto in alcun modo fini eversivi. I pericoli per la Repubblica semmai erano altri».

 

È rimasto legato a qualche capo dello Stato?

«A Carlo Azeglio Ciampi. Una personalità intelligente e seria. È stato un ottimo presidente per l’Italia e siamo stati molto, molto amici. Ancora adesso quando telefono alla moglie, che ha 102 anni, è felice di sentirmi».

camillo ruini GIANNI LETTA E OSCAR LUIGI SCALFARO camillo ruini romano prodi CAMILLO RUINI 19CAMILLO RUINI PAPA RATZINGERCARDINALE CAMILLO RUINICARDINALE CAMILLO RUINIkarol wojtyla. camillo ruini camillo ruini karol wojtylaCAMILLO RUINI 1CAMILLO RUINI 5CAMILLO RUINI PAPA FRANCESCOcamillo ruini gianfranco fini camillo ruini e silvio berlusconiCAMILLO RUINI 43silvio berlusconi e camillo ruinicamillo ruini e silvio berlusconi camillo ruini karol wojtyla karol wojtyla camillo ruini camillo ruini 2 oscar luigi scalfaro

 

Ultimi Dagoreport

sergio mattarella quirinale

DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È IMBUFALITO PER I ‘’COLPI DI FEZ’’ DEL GOVERNO MELONI. A FAR SOBBALZARE LA PRESSIONE ARTERIOSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO STATI I SUOI CONSIGLIERI QUIRINALIZI - QUANDO HA LETTO SUI GIORNALI IL SUO INTERVENTO A LATINA IN OCCASIONE DEL PRIMO MAGGIO, CON LA SEGUENTE FRASE: “TANTE FAMIGLIE NON REGGONO L'AUMENTO DEL COSTO DELLA VITA. SALARI INSUFFICIENTI SONO UNA GRANDE QUESTIONE PER L'ITALIA”, A SERGIONE È PARTITO L’EMBOLO, NON AVENDOLE MAI PRONUNCIATE – PER EVITARE L’ENNESIMO SCONTRO CON IL GOVERNO DUCIONI, MATTARELLA AVEVA SOSTITUITO AL VOLO ALCUNI PASSI. PECCATO CHE IL TESTO DELL’INTERVENTO DIFFUSO ALLA STAMPA NON FOSSE STATO CORRETTO DALLO STAFF DEL COLLE, COMPOSTO DA CONSIGLIERI TUTTI DI AREA DEM CHE NON RICORDANO PIU’ L’IRA DI MATTARELLA PER LA LINEA POLITICA DI ELLY SCHLEIN… - VIDEO

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE AMERIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO

banca generali lovaglio francesco gaetano caltagirone philippe donnet alberto nagel milleri

DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL ANDRÀ IN PORTO (SBARAZZARSI DEL CONCUPITO “TESORETTO” DI MEDIOBANCA ACQUISENDO BANCA GENERALI DAL LEONE DI TRIESTE), L’82ENNE IMPRENDITORE ROMANO AVRÀ BUTTATO UN PACCO DI MILIARDI PER RESTARE SEMPRE FUORI DAL “FORZIERE D’ITALIA’’ - UN FALLIMENTO CHE SAREBBE PIÙ CLAMOROSO DEI PRECEDENTI PERCHÉ ESPLICITAMENTE SOSTENUTO DAL GOVERNO MELONI – A DONNET NON RESTAVA ALTRA VIA DI SALVEZZA: DARE UNA MANO A NAGEL (IL CEO DI GENERALI SBARRÒ I TENTATIVI DI MEDIOBANCA DI ACQUISIRE LA BANCA CONTROLLATA DALLA COMPAGNIA ASSICURATIVA) - PER SVUOTARE MEDIOBANCA SOTTO OPS DI MPS DEL "TESORETTO" DI GENERALI, VA BYPASSATA LA ‘’PASSIVITY RULE’’ CONVOCANDO  UN’ASSEMBLEA STRAORDINARIA CHE RICHIEDE UNA MAGGIORANZA DEL 51% DEI PRESENTI....