boccia di maio

VUOI VEDERE CHE CONFINDUSTRIA SI SPACCA? - GLI IMPRENDITORI DEL NORD SI RIBELLANO AL CAMPANO BOCCIA, ACCUSATO DI ESSERE TROPPO MORBIDO SUL "DECRETO DIGNITÀ" - BONOMETTI E ZOPPAS GUIDANO LA RIVOLTA E LUIGINO DI MAIO MINACCIA DI FAR USCIRE ENEL ED ENI DA VIALE DELL'ASTRONOMIA (CON IL RISCHIO CHE CONFINDUSTRIA PORTI I LIBRI IN TRIBUNALE)

vincenzo boccia filippo tortoriello (3)

Nicola Porro per “il Giornale”

 

Il decreto dignità, un obbrobrio che ricorderemo come la Fornero del lavoro, ha un piccolo merito. Ha fatto capire a tutti la situazione in cui versa la Confindustria. O meglio una parte di essa. Quella, per intenderci, che sogna il metodo Marcegaglia e che non passa il questionario di Emma. Il metodo prevede un certa perseveranza. Il rampollo di una famiglia di industriali (ma la cosa vale anche per le prime generazioni in cerca di veloce fortuna cardinalizia) viene avviato al cursus honorem di viale dell'astronomia sin da giovanissimo: meglio che tenerlo in azienda.

 

emma marcegaglia

La prima attività si svolge a Roma e poi tra Santa Margherita e Capri. Poi si viene cooptati tra i grandi. Qualche cda del sistema confindustriale. Una fitta rete di rapporti romani. Nel caso della Marcegaglia con qualche inciampo, come il suo vicino di banco, Antonello Montante paladino della legalità indagato per questioni siciliane. E poi rapporti con la stampa e la capacità unica di contare i voti, con i quali scalare le assemblee confindustriali.

 

VINCENZO BOCCIA CONFINDUSTRIA

Obiettivo: la poltrona pubblica. Insomma il metodo Marcegaglia è quello che affascina una parte dell'associazione datoriale: la carriera in Confindustria, non per difendere l'interesse legittimo delle imprese, ma per recuperare un buon posticino di lavoro al termine del proprio mandato. Fate questo test agli attuali vertici di Confindustria, “il questionario di Emma”: chi di voi accetterebbe la presidenza dell'Eni e dell'Enel? Ai molti che direbbero di sì, occorerebbe togliere ogni incarico sociale.

 

Questo banale ragionamento la Casaleggio & associati lo ha fatto da tempo. E lo ha spiegato bene al ministro di Maio. Che lo ha girato con astuzia a suo favore. Per la verità anche Matteo Renzi aveva capito il giro del fumo. Se la confindustria romana, quella con sede nel palazzone all'Eur e che ogni anno spende circa 500milioni di euro per stare in piedi, si permette di criticare il governo oltre una certa soglia di rumore e in specie il deCretino, inizia la fase di uscita delle aziende a partecipazione pubblica da Confindustria.

LUIGI DI MAIO DECRETO DIGNITA

 

Fuori Eni, Enel, Leonardo e via cantando. E poi son guai, finanziari of course. Lo ha fatto la Fiat, proprio a tempi della Marcegaglia, non si capisce perchè aziende a controllo statale non possano fare altrettanto. In fondo non sarebbe uno scandalo. Anzi a vedere è più uno scandalo andare all'assamblea annuale di Confindustria, quella che si tiene a maggio, e notare come le prime file siamo zeppe di manager pubblici, banchieri e politici. E l'industria dove è?

 

MATTEO ZOPPAS

Essa c'è. Ed è viva e vegeta. Basta vedere cosa sta succedendo nelle associazioni territoriali, quelle che vanno dalla Liguria al Friuli Venezia Giulia, dal Veneto all'Emilia, dal Piemonte alla Lombardia, tutte del nord e tutte firmatarie di un appello, edulcorato rispetto alle intenzioni iniziali, pubblicato dal Foglio e ispirato da un industriale doc come Marco Bonometti, presidente degli industriali della Lombardia. Sono arrabbiati, nerissimi con le “favole” raccontate nel decreto dignità. E lo voglino denunciare in tutti i modi.

Sui giornali, nei dibattiti, sembra che ci sia una doppia regia. Di critica attutita da parte di Roma, speriamo ci smentiscano nelle prossime ore. E di feroce, circostanziate e dura opposizione della Confindustria del Nord. Da segnalare anche le uscite del sempre moderato presidente veneto Matteo Zoppas, che sul decreto dignità va giù nettissimo.

ASSEMBLEA CONFINDUSTRIA

 

Ecco il paese, quello industriale, sembra sempre più spaccato in due. Con i romani che adottano il metodo Marcegaglia e gli industriali del nord che più che aspirare alla carta di credito da vicepresidenti o ad un incarico pubblico, continuano a fare i sindacalisti delle imprese. Il rischio, più probabile di quanto si immagini, è che la Confindustria si spacchi. Più che appellarsi al buon senso dei suoi rappresentanti nordici, che non ce la fanno obiettivamente più, conviene che a Roma qualcuno rinsavisca.

 

Ps: vi ricordate quanta propaganda confindustriale fu fatta per il si al referendum renziano. Il quotidiano schierato, il centro studi piegato, le interviste dei suoi vertici tutte nella stessa direzione. E ora che potrebbero a miglior ragione difendere gli interessi diretti delle loro imprese e dei loro lavoratori, sembrano invece adottare un linguaggio felpato, da circolo degli scacchi. Maddai.

 

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