ignazio marino

CONGELATO MA COMUNQUE PE-CULATO - LE DUE ACCUSE PER MARINO SONO DI PECULATO E FALSO, MA LA PROCURA DI ROMA TIENE IN STAND-BY L'INCHIESTA PER 72 ORE: NON VOLEVA ISCRIVERLO NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI NELLE ORE DECISIVE DELLE DIMISSIONI

Fulvio Fiano Ernesto Menicucci per il “Corriere della Sera - Roma

MARINO MARINO



Braccato dai cronisti, «assediato» dalle opposizioni, scaricato dal Pd e anche dalla Chiesa (durissimo monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas: «Bene l’addio di Marino, le sue dimissioni sono doverose anche se per il Giubileo la città ne soffrirà»). E, ora, con la spada di Damocle dell’inchiesta che ad inizio della settimana prossima potrebbe vedere il suo nome sul registro degli indagati (con l’accusa di peculato e falso in atto pubblico) per la vicenda delle sue note spese. Marino, alla fine, molla: «Mi dimetto, ma ho venti giorni per ripensarci», avverte. 

giuseppe pignatone (2)giuseppe pignatone (2)


Le indagini sono state «congelate» fino a lunedì. Dal vertice di ieri pomeriggio tra il pm Roberto Felici e il procuratore Giuseppe Pignatone viene fuori la linea già seguita altre volte, quella di non influire nelle fasi di passaggio politico. La formulazione ufficiale di un’accusa sarebbe arrivata nelle ore in cui il primo cittadino ballava sul filo delle dimissioni facendo precipitare la situazione. L’inchiesta resta quindi ancora per 72 ore «modello 45», ossia senza indagati e ipotesi di reato.

 

Ma all’inzio della prossima settimana entrambe le caselle potrebbero essere riempite quando verrà conferito l’incarico per gli accertamenti al Nucleo di polizia giudiziaria della Gdf. Le dimissioni arrivate in serata non cambieranno questa linea. E né queste, né l’annunciata restituzione dei 20mila euro spesi con la carta di credito del Campidoglio cambiano la sostanza degli eventuali reati commessi. 

imma battaglia daniele frongia ignazio marino andrea maccaroneimma battaglia daniele frongia ignazio marino andrea maccarone


L’esposto dei consiglieri 5 Stelle Daniele Frongia, Enrico Stefano, Marcello De Vito e Virginia Raggi, presentato dall’avvocato Paolo Morricone, parte dalla richiesta del 15 settembre di accesso alle spese del primo cittadino, passa dalle «anomalie» riscontrate anche da articoli di stampa (citati quelli del Corriere della Sera ), finisce con la giurisprudenza della Corte dei Conti su cosa sia davvero catalogabile come pranzo istituzionale o di rappresentanza. E molte fatture di Marino non sembrano averne i requisiti. 


Una vicenda che ha travolto il sindaco in pochissimi giorni. Fino all’epilogo di ieri, coi caroselli per strada dei suoi oppositori. Marino ha provato a resistere e, per una parte della mattinata, era sembrato persino riuscirci. Perché quando si è presentato in giunta (convocata alle 11, spostata poi alle 12 e ancora alle 13), non tutti gli assessori erano pronti a lasciare. Il primo è stato Stefano Esposito (Trasporti), il più vicino a Matteo Orfini.

DE VITODE VITO

 

Poi Marco Causi: i due «big» entrati a luglio a Palazzo Senatorio per provare a salvare il salvabile. Da lì, è stato un «fuggi fuggi». Da Alfonso Sabella (tra le lacrime) a Luigina Di Liegro, dal «maestro di strada» Marco Rossi-Doria a Maurizio Pucci e Giovanna Marinelli. Estella Marino (Ambiente) era sulla linea del no alle dimissioni («Stiamo facendo molto, andiamo avanti»), Marta Leonori e Francesca Danese erano possibiliste sul restare. Diversi consiglieri (tra cui il «turco» Gianni Paris) sono entrati in giunta per dire che stavano vicino a Marino, e lui si è commosso.

 

alfonso sabella assessore alla legalita per ignazio marinoalfonso sabella assessore alla legalita per ignazio marino

Il sindaco, in quel momento, ha pensato di poter resistere, sebbene anche Sel gliele avesse cantate chiare: «Rapporto fiduciario finito». I vendoliani, col Pd, erano pronti alla mozione di sfiducia, o alle dimissioni in massa. Ma, fino a che Orfini non ha convocato tutti al Nazareno, dando il suo «aut aut», sui numeri non c’erano certezze. Sono stati Causi e Sabella a «gelare» Marino: «In dieci siamo pronti a lasciare. È finita». Chissà se il sindaco, come Giulio Cesare, avrà pensato in quel momento «Tu quoque...». 
 

 

 

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