MORIREMO DEMOLETTIANI? LA CONTA AL SENATO DIRA’ SE LETTANIPOTE E’ RIUSCITO A FAR FUORI RENZI E BERLUSCONI IN UN COLPO SOLO

Da www.ilretroscena.it

Se l'operazione andrà davvero in porto, lo diranno solo i numeri di oggi in Aula. Per il resto, ieri è stato davvero fatto tutto il possibile da Enrico Letta per portare a casa un risultato che avrebbe del clamoroso, sfilare l'ingombro di Silvio Berlusconi, che con i suoi carichi giudiziari avvelena la prospettiva di vita del governo e delle larghe intese, ma rimanere al timone del Paese con i "berlusconiani".

Un'operazione costruita da giorni, certosinamente, grazie alla sapiente regia del Colle, ma anche ad una accorta scenografia di cortine fumogene che hanno coperto fin quasi all'ultimo minuto utile i passi di quel drappello di ministri che ha di fatto costruito la fronda nel Pdl. Tutti i congiurati avevano lavorato sottotraccia nei giorni scorsi, sapendo che solo ieri sarebbe stata la giornata clou, quella in cui si sarebbe deciso davvero se l'azione doveva andare avanti o andava abortita, o posticipata.

Anche perché ieri, i congiurati si aspettavano i "puntelli" dall'estero di maggiore pressione, dichiarazioni di peso, attese e inattese - da Rehn a Schultz, fino alla telefonata di Barroso- che per tutto il giorno hanno evidenziato il rischio incomprensibile di far saltare il governo proprio adesso. E sembra persino che quest'asse governativo si aspettasse un segnale forte da Mario Draghi, che però poi non è arrivato.

Ma i ministri azzurri, da Lupi a Quagliariello, come altri parlamentari del centrodestra già in rotta di collisione con la linea dei falchi, erano pronti in realtà sin da domenica. Quello che mancava -fino a ieri mattina peraltro- era solo la certezza della scelta di Alfano, che di per se pesava -almeno nelle previsioni- un buon numero di parlamentari in uscita in più. E la verità è che nessuno dei frondisti, fino a 24 ore fa, era disposto a mettere la mano sul fuoco sulla sua presenza, fino in fondo, a questa partita.

Poi, dopo l'ennesima pressione dei colleghi di governo, arriva la decisione finale di Angelino e scatta il redde rationem con il padre politico che apre una spaccatura storica nel centrodestra e forse imprevista in queste dimensioni. Un braccio di ferro durato tutto il giorno, fra alti e bassi, con le due squadre che -a fasi alterne- credevano di aver quasi vinto la partita. Una miriade di cambi di direzione, svolte, mosse inaspettate e telefonate, con la partecipazione di personaggi come Gianni Letta che tenteranno più volte la mediazione, proponendo rimpasti impotabili per le colombe, con l'entrata nel governo di nuovi elementi di provata fede berlusconiana, come Gelmini o Carfagna.

O nuovi patti di governo rifondativi e altre alchimie che possano riequilibrare quell'architettura che è andata ormai in pezzi. Ma la summa della giornata, il senso vero del cambiamento di passo, sta tutto in quell'incontro del pomeriggio a Palazzo Grazioli quando, dopo l'uscita dei ministri, Alfano e Berlusconi rimangono soli e il Cavaliere, per la prima volta, ha la plastica percezione di trovarsi di fronte ad un interlocutore che non piegherà al suo volere. Il leader del Pdl tenta la mediazione con l'ex delfino, sapendo che una frattura sarebbe letale in ogni caso per il suo disegno politico.

Chi ha parlato con Alfano subito dopo quell'incontro, racconta che il Cav. abbia messo sul piatto tutto il disponibile e anche l'indisponibile. Il coordinamento di Forza Italia, la testa dei falchi, il voto su Iva e Imu con una prospettiva per il governo ben più lunga dei sette giorni minacciati solo il giorno prima e finanche una retromarcia sulle dimissioni dei ministri. Berlusconi promette, vende benissimo la sua merce, ma Alfano questa volta non compra a scatola chiusa. Gli chiede di avere subito le deleghe con un atto scritto, tangibile, ma l'altro si tira indietro.

Ormai è la guerra, di cifre soprattutto dove ognuno dei contendenti gioca le sue carte ingigantendo le proprie truppe e tentando di tirare l'altro a piegare in extremis. Verdini contatta tutti i coordinatori regionali e rassicura, dicendo che "gli scissionisti non gli risulta che arrivino neppure a 15", altri sul fronte avverso daranno cifre differenti per tutta la notte. Si parla di trenta, quaranta senatori già passati con Alfano, ma i più accorti tra i fuorusciti rivedono la cifra al ribasso, " i certi sono solo 24". In realtà, nessuno sa con certezza l'entità delle truppe al seguito e nessuno può calcolare davvero quale effetto psicologico si svilupperà oggi in Aula a favore di uno o dell'altro contendente.

Ci saranno altri vertici, aspri e convulsi, ma anche durante la notte -fra urla e pianti dei fedelissimi- l'accordo non arriva. Ma per tutta la giornata di ieri è Letta il vero regista e lavora in perfetta sintonia con Napolitano. Incontra tutti a Palazzo Chigi e tiene sotto stretta osservazione anche l'altro fronte, le reazioni nel suo partito. Sa bene che i renziani vanno monitorati con cura, perché rappresentano il vero ostacolo ad un disegno che potrebbe lasciarlo in sella ben oltre il 2015.

E fedele alla massima per cui gli avversari più diretti si tengono assai stretti, incontra il Sindaco di Firenze platealmente, con ostentata cordialità e dopo vengono fatte filtrare dichiarazioni che parlano di "incontro sereno" e di patti di non belligeranza. Ma non è esattamente così.

Il primo cittadino di Firenze mastica amaro questa volta, perché sa bene che se l'operazione andrà in porto, non solo lui dovrà aspettare per la premiership, forse assai più del previsto, ma potrebbe cambiare l'intero scenario politico se, a seguito del consolidamento delle larghe intese, quel gruppo che sta per nascere e che andrà a formare tra poco la costola italiana del Ppe diventerà il futuro "Centro" politico in grado di attrarre i moderati anche del Pd oltre che del Pdl, con tanti saluti ad un bipolarismo secco, miglior terreno di caccia per il Sindaco. Ecco perché la quiete non può che essere solo superficiale alle latitudini renziane.

Ma anche nell'area degli ex Ds il clima non è poi tanto migliore. Se Letta andrà avanti, almeno fino al 2015, il Congresso si farà subito e Renzi inevitabilmente si dovrà prendere il partito subito. E tutta la rappresentanza che sostiene Cuperlo e che sperava -spedendo Renzi a Palazzo Chigi- di tenersi stretto il Pd, si ritroverebbe marginalizzata nel suo stesso partito, con in più un segretario e un premier entrambi "juniores" della famiglia democristiana. Forse, il peggiore incubo di D'Alema e compagni.

 

LETTA E BERLULetta e Berlusconi Matteo Renzi LETTA E RENZI LETTA-RENZIletta napolitano x LETTA E napolitano OLLI REHN MARIO DRAGHI ED ENRICO LETTA FOTO INFOPHOTO Reichlin e Cuperlo LA CONDANNA DI BERLUSCONI PELLEGRINAGGIO A PALAZZO GRAZIOLI GIANNI LETTA

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